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Mi chiedono di commentare la pubblicità che sta facendo ridere tanti, quella del «cinque léttere, abira», sottolineando che è una parodia riuscita male e che nessun romano riderebbe. Detto che trovo davvero difficile immaginare qualcuno a Roma che non sappia scrivere birra, mi limito a sottolineare che – se proprio… – nessun romano direbbe «abìra, cinque lettere» – quella sì, ignoranza del romanaccio – perché in romano la parola “abìra” proprio non esiste, è abbìra con due “b”, come assedia per la sedia. E come in italiano si scrive “va bene”, ma si pronuncia “vabbene” e attaccato si scriverebbe proprio vabbene, o come si scrive “da vero” ma si pronuncia “davvero” e si scrive attaccato “davvero”. Se proprio volete sapere il nome, si chiama raddoppiamento fonosintattico.
Insomma, i signorini della Treccani permettono? Forse questo potrebbe esservi d’aiuto.
Giovanni: “in italiano si scrive “va beneâ€, ma si pronuncia “vabbeneâ€.
Nel romanesco sommariamente ripulito che in TV spacciano per italiano, semmai; quaggiu’ al Nord se va bene, va bene, se no va bene lo stesso.
Shylock scrive::
No, nell’Italiano di Petrarca e Boccaccio, oltre che quello che c’è nelle grammatiche, oltre a – ancora – quello più etimologicamente corretto.
Ma non la scriverebbero doppia magari.
Mi è stato fatto notare che la cosa interessante delle ragazze di Ostia è che non parlassero proprio romanesco ma romanesco di borgata: caldo invece di callo diventa cardo.
Giovanna scrive::
Non ci avevo pensato, è vero! Però io direi il contrario, che romanesco è cardo, mentre romanesco di borgata è callo.
eggrazie!
Dovrebbe essere così, il romanesco di borgata iperregolarizza, per questo il trasteverino noantri diventa noartri e per questo dicono bira, credo.
Giovanni Fontana scrive::
Appunto, sei rimasto a Pietro Bembo; voi toscani (mica tutti, peraltro: quelli come te) me parete gli arabi che ancora se la tirano col Medioevo: ormai il toscano serve solo a Pieraccioni e Panariello per far ridere, fattene una ragione.
@ Shylock:
Resta il fatto che, quando scrivi, sai che si deve scrivere “davvero”. Poi, puoi pronunciarlo anche davero, si fa sia a Roma che nel tuo Veneto.
@ Giovanni Fontana:
Infatti ‘davvero’ e’ un raddoppiamento ormai cristallizzato da secoli anche nello scritto, mentre ‘vabbene’ e’ una forma di parlato regionale, interessante dal punto di vista sociolinguistico, ma che non puo’ certo valere come norma scritta per l’intera koine’.
Shylock scrive::
Mentre “vabene” no?
‘Va bene’, verbo piu’ avverbio. Poi c’e’ chi lo pronuncia senza pausa e chi no, chi raddoppia la consonante e chi no; vivaddio, i talebani della Crusca (anzi, mi sa che pure quelli sarebbero miscredenti per te) si tengono a bada con le pernacchie, non servono nemmeno le bombe.
Shylock scrive::
Appunto! Quella cosa lì “va bene”, si pronuncia in un determinato modo, come sai che “gl” si pronuncia in un determinato modo, e non come in glicerina.
Poi è chiaro che ognuno può fare icché (!) gli pare.
Ahaha, sei passato al riformismo? Non me l’aspettavo da te. Quindi la tua risposta è: sì, “vabene” è un regionalismo.
Chissà se faresti la stessa battaglia su azione, che si pronuncia azzione, anche se in alcune parti del nord dicono proprio “azione”, con una zeta.
Giovanni Fontana scrive::
Appunto, quelli che per non saper né leggere né scrivere raddoppiano tutto quel che si muove siete voi; però noi vi si tollera e vi si vuole bene lo stesso, eh?
Shylock scrive::
Questa, linguisticamente è una baggianata: l’italiano raddoppia tutto quello che è etimologicamente corretto raddoppiare, non raddoppia dopo “la” (come in Sardegna), o dopo “po'” (come, ad es., a Roma).
Fra queste cose c’è il verbo “va”, come del resto fai tu quando scrivi vaFFanculo.
Il fatto che a una lettera corrisponda un suono (e uno inequivocabile) è negato da metà delle lettere dell’alfabeto italiano.
a questo punto, da quello che leggo, per te esistono tre livelli:
– romanesco (parlata storica, non più in uso);
– romanaccio del centro;
– romanaccio di borgata.
con il romanaccio del centro più vicino al romanesco, e quello di borgata come una sorta di romanacciaccio?
saluti
viltrio scrive::
Oddio, no, boh.
viltrio scrive::
Beh, no, il romanesco parlata storica era una sorta di napoletano. È dopo la colonizzazione del 700 che è diventato una sorta di fiorentino bastardo.
viltrio scrive::
Non ne ho proprio idea. Giovanna faceva notare questa cosa di “callo”, “cardo” a cui non avevo mai pensato, e riflettendoci è strano: sarebbe, linguisticamente, come dire tarri anziché tardi, ma nessuno a Roma si sognerebbe di dirlo, mentre “callo” si sente (forse per l’influsso dell’altra parola, quello del piede?)
Giovanni Fontana scrive::
No, è un’iperbole: le sappiamo usare anche noi polentoni.
Detto questo, non puoi prendere un uso _parlato_ regionale e pretendere di farne la norma _scritta_ dell’italiano tutto, al di là dei casi già ampiamente registrati.
Shylock scrive::
Che è quello che stai facendo anche tu, però.
Shylock scrive::
Per i quali si è fatto esattamente il processo che descrivo io.
Giovanni Fontana scrive::
Sì, ma sono e rimangono casi, non una regola sistemica e sistematica, che:
-non esiste per lo scritto;
-non esiste (o quasi) per il parlato a nord della Linea Gotica.
Shylock scrive::
Ok, anche questa è linguisticamente una baggianata. È, invece, una regola pressoché sistematica (fra l’altro, per “va”, direi senza eccezioni). Ma sai di cosa stai parlando?
Mi trovi un paio di parole con prefisso “va” entrate nell’italiano senza raddoppiamento fonosintattico?
@ Giovanni Fontana:
Quindi stai dicendo che se ‘va bene’ si scrivesse come non si scrive, etc.
Va bene, aspettiamo che a tua nonna spuntino le ruote, poi decidiamo se è una carriola o una Ferrari.
Shylock scrive::
Nono, proprio il contrario: sto dicendo che quando scrivi va bene staccato lo scrivi va bene – perché “va bene” è la grafia della pronuncia “vabbene” – e quando lo scrivi attaccato (che per questa parola non è entrato nell’uso italiano), lo scrivi con due.
Esattamente come per “se no”, che se vuoi scrivere attaccato scrivi “sennò”.
Shylock scrive::
Eh, il problema è che anche il tuo è un “se”, e dici che se si scrivesse attaccato lo scriveresti “sebene”, invece si scrive sebbene.
Comunque mi avevi detto che sei vicino all’ambiente accademico: chiedi a qualunque professore di linguistica, o di filologia, e te lo spiega.
(oh, poi io mica sto dicendo che a me stanno sui coglioni i dialetti eh: mi piacciono un sacco, e mi piace che la gente li parli, qui stiamo parlando di un’altra cosa).
Giovanni Fontana scrive::
Io dico infatti che loro hanno preso la regola della elle prima della consonante che diventa erre in romanesco e hanno creato cardo.
Ah vabbè, ma mo hai messo l’ora inglese?
Sarebbe una cecionata deliziosa.
Giovanna scrive::
È l’ora che c’è dall’apertura del blog, credo che il default di WordPress sia su Greenwich.
(comunque tu sei ossessionata dalla pretesa cecioneria di qualunque cosa)
Che delusione.
Ne sarebbe stata una deliziosa ho detto!
Giovanna scrive::
Sì, appunto: non sarebbe una cecionata, ma l’attitudine di qualcuno che fa più attenzione a queste cose (chessò, ci sono diverse persone che programmano i post per essere pubblicati in determinati orarî)
Altro che non si possono avere due nazionalità dell’UE.
Io da brava cecia cambio la città di residenza entro pochi giorni.
Non ho capito la cosa di quelli che programmano la pubblicazione dei post. Perché lo fanno? Per avere più possibilità di essere letti? Se sì, cosa cambierebbe cambiare l’ora registrata?
Giovanna scrive::
Sì, l’ora registrata è l’ora di pubblicazione. Quindi se scrivo un post ora, e metto pubblicazione domani alle 13.50 appare sul blog alle 13.50.
Gli orarî in cui ci sono più lettori – indovina! – sono quelli delle ore di ufficio: quindi dal lunedì al venerdì fra le 10 e le 17.
@ Giovanni Fontana
@ Shylock
Piccolo spazio pubblicità :
http://www.mulino.it/edizioni/volumi/scheda_volume.php?vista=scheda&ISBNART=13948
Giovanni Fontana scrive::
Ecco, proprio dalle lezioni ricordo una metafora pregnante: l’italiano contemporaneo, rispetto ad altre lingue piu’ ‘mature’, e’ come un adolescente che si sta sviluppando tardi ma molto in fretta e quasi si fa fatica a riconoscerlo.
La normazione sulla base di uno standard letterario vetusto e l’analfabetismo diffuso abbinato alla pervasivita’ dei dialetti l’hanno tenuto ingessato per secoli, ora che da qualche decennio lo parlano (e bene o male lo scrivono) praticamente tutti, sta evolvendo velocemente.
La cosa non mi scandalizza affatto, anzi, mi diverte vedere quelli come te che s’affannano a rincorrere i reprobi cercando di tenere il parruccone dignitosamente in equilibrio sul cranio.
@ Shylock:
Allora, prima elenchi una serie di fenomeni che secondo te sono regole, ti dico che è l’esatto opposto. Poi, visto che non hai argomenti, trascini una cosa che sarebbe anche ragionevole a farti dire che “vale tutto!!!”.
Mi domando, allora, perché tu scriva “ecco” anziché “ekko”, o proprio anziché “propio”. Si capirebbe uguale.
Il fatto è che tu proponi un altro sistema basato sul nulla, e critichi il mio sistema – e quello dell’italiano – perché è basato sulla tradizione.
Non c’è nessuna ragione logica per cui “se bene” si debba pronunciare /se’bene/, mentre per pronunciarlo /seb’bene/ c’è il fatto che per tutte le altre parole in italiano facciamo così.
Per te non è sufficiente: va bene. Ma non dire che la tua soluzione abbia una qualche maggiore logicità , e soprattutto non azzardare castronerie su cose che non sai – ce ne saranno altre che saprai benissimo – come queste:
Shylock scrive::
Shylock scrive::
Shylock scrive::
Shylock scrive::
Giovanni Fontana scrive::
A parte che magari tra un po’ anche la grafia ‘k’ al posto di ‘ch’ verra’ accettata; a parte che, filologicamente, magari dovresti volerla tu (‘Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene’); a parte tutto, non ho detto che vale tutto. Dico soltanto che esistono parlate regionali dell’italiano che non sono ‘dialetto’, sono usi diversi dell’italiano su un piano di pari dignita’; anzi non lo dico io, lo dicono i linguisti non parrucconi.
Fino a qualche decennio fa la diversa pronuncia della ‘e’ in ‘pesca’ poteva avere valore distintivo, ora non lo ha piu’; pronunciare ‘caSa’ con la /s/ o la /z/ non vuol (piu’) dire pronunciarla in modo giusto o sbagliato, ma semplicemente diverso; etc.
Le lingue evolvono e meno male; a non riconoscerlo, ci si fa la figura del vigile che prova a fermare uno tsunami con la palettina.
@ Giovanni Fontana:
Che poi, alla fin fine, non sei riuscito a spiegare perche’ quella che sarebbe una regola uniforme del parlato non si traduca in una grafia altrettanto uniforme, in una lingua che in questo e’ molto meno erratica di altre (inglese in primis); o perche’, dove sono ammesse entrambe le forme, ad esempio ‘da poco’ e ‘dappoco’, la prima risulti, alla mia sensibilita’ di parlante nativo (che fino a prova contraria vale quanto la tua), meno arcaica e piu’ corrispondente all’uso contemporaneo – e se avessi dubbi al riguardo, basterebbe una semplice googlatina a togliermeli.
@ Shylock:
ma “vivaddio” come l’hai scritto? Occhio…
@ Takk:
L’ho fatto di proposito, tsk.
Shylock scrive::
Ma che stai dicendo? Dove l’hai letto? Secondo te a Milano 100 anni fa dicevano correttamente pèsca e pésca?
Non c’è nessuna evoluzione verso i diversi regionalismi documentata.
Semmai c’è uno spostamento nei confronti di un altro regionalismo (da Rai a Mediaset), ma dire che “ora non ha più”, come se un tempo ne avesse di più, è ridicolo.
Shylock scrive::
E vedi che alla fine il “vale tutto!” non piace neanche a te, e cerchi di dare una sostanza e una ricchezza alla grammatica?
Shylock scrive::
Scusami, quale sarebbe la regola uniforme del parlato?
Shylock scrive::
Esattamente come “abbìra” risulta meno arcaico e più corrispondente all’uso contemporaneo alle ragazze del Calippo.
Il che, lo stavamo dicendo, secondo un certo tipo di ragionamento ha una dignità che non nego, ma non cercare di emancipartene.
Io non ho problemi se non si seguono le regole – io stesso dico, chessò, “ovvero” in senso esplicativo, oppure scrivo e rivendico il sé stesso, oppure ancora scrivo e rivendico “I curriculum” – ma se si enunciano regole inventate.
Giovanni Fontana scrive::
Dovrei cercarti la grammatica che lo scriveva, ma fidati, non era un incunabolo (del resto, anche lo Zingarelli dell’84 che ho in casa riporta la pronunica diversa per i due significati di ‘pesca’).
Il fatto che _oggi_ non lo pensi nemmeno tu è una conferma di quello che dicevo io.
Giovanni Fontana scrive::
Il raddoppiamento: di che altro stavamo parlando?
Giovanni Fontana scrive::
‘Esattamente’, un cazzo, come diciamo noi diversamente terroni: nessuno che abbia una competenza appena decente dell’italiano sosterrà che si _scriva_ “abbìraâ€, mentre, anche se è vero che Google non è il Vangelo, quando il rapporto tra la frequenza di ‘da poco’ e ‘dappoco’ è 1000:1, io tenderei a fidarmi; ecco la differenza tra chi osserva la lingua e il parruccone che vorrebbe forgiarsene una a sua somiglianza.
Shylock scrive::
No, Scialocco, hai perso completamente il timone del discorso. È chiaro che per l’italiano pésca e pèsca abbiano due significati diversi: e la norma è questa. Perciò sì, naturalmente, distinguo pèsca da pésca. Il tuo discorso era che oramai non lo distingueva più nessuno: non è che la lingua, con l’andare del tempo, si sia de-uniformata, anzi, semmai il contrario.
D’altra parte è molto facile: se ti porto prove su prove che cento anni fa in Veneto e in Sardegna si diceva pésca per entrambi, e in Sicilia e si diceva pèsca per entrambi – e cioè il contrario della tua teoria – cambi idea?
Tanto lo so che risponderai evasivamente. Ti pregherei di un “sì” o un “no”. Anzi, gradirei un “sì” che almeno desse sostanza all’opinione che tu non stia facendo questo per dogmatismo e affezione all’idea.
Shylock scrive::
E quale sarebbe la regola che non è uniforme?
Shylock scrive::
Eh. Appunto! Da poco è giusto, dappoco è giusto, *dapoco – che è come dici tu – è sbagliato.
http://dizionari.corriere.it/dizionario_sinonimi_contrari/D/dappoco.shtml
O vero è giusto, ovvero è giusto, *overo – che è come dici tu – è sbagliato.
Se bene è giusto, sebbene è giusto, *sebene – che è come dici tu – è sbagliato.
Là dove è giusto, laddove è giusto, *ladove – che è come dici tu – è sbagliato.
@ Shylock:
Fra l’altro, a te che sei veneto, questa cosa fa specie perché non ci sei per nulla abituato: parlate un dialetto che non ha nessuna doppia (e, come le doppie, ha perso tutti i raddoppiamenti fonosintattici), ma già chi ha delle doppie nel dialetto lo capisce molto più facilmente.
Giovanni Fontana scrive::
No, ti rispondo che un conto è la norma, un altro conto è l’uso dei parlanti, di cui la norma bellamente si fotteva. Quello che ti sto dicendo io è che la pronuncia della ‘e’ in pesca ha perso il valore distintivo che _la norma_ le assegnava, ovvero la norma si è dovuta adeguare alla realtà .
Ecco, questa è invece una risposta evasiva:
Giovanni Fontana scrive::
Se nell’italiano standard il raddoppiamento del suono fosse una costante, mi aspetterei che la grafia si adeguasse, perché è questo che solitamente fa l’italiano, in cui la corrispondenza assegnata tra fonema e grafema viene generalmente rispettata (a meno non si tratti di prestiti).
Giovanni Fontana scrive::
A parte che, se ascolti attentamente, qualche doppia ogni tanto la senti pure qui e che il veneto non ha ‘perso’ i raddoppiamenti, semplicemente non li ha (sarebbe come dire ‘i bianchi sono neri scoloriti’), continui a ingorare che stiamo parlando NON di dialetti ma di _varianti regionali_ dell’italiano, cosa che i maestrini dal pennino rosso come te fanno fatica a digerire, benché i sociolinguisti gliel’abbiano masticata e rigurgitata da un pezzo.
Ma soprattutto:
Giovanni Fontana scrive::
Sei dislessico o in malafede?
Shylock scrive::
E te pareva. Dici ‘na cosa, e poi la tiri via.
Shylock scrive::
E io ti ho spiegato che non è così. Nella metà dei casi, nell’alfabeto italiano, una lettera non corrisponde a un suono: delle volte a uno, delle volte a due, delle volte a nessuno.
Questa è davvero una nozione da scuole elementari, perché alle elementari te lo spiegano così. Poi, con l’approfondire lo studio delle lingue, diventi meno italianocentrico e capisci che non funziona così, che l’italiano ha un sacco di storture (o di analogicità ).
Shylock scrive::
BUM. È arrivato Borghezio. Mo’ ti devo pure spiegare che il veneto, come gli altri dialetti, deriva dal latino volgare?
Mi dispiace, parlavate anche voi la lingua degli antichi romani. Ti può far prudere la schiena, ma è così.
Shylock scrive::
Sì, figlio mio, è questo che devi capire: che questo non fa per nulla gioco alla tua tesi.
Quello che tu chiami “italiano” è il fiorentino colto emendato di alcuni tratti (tipo la gorgia) nel ‘500. Nel 1200 nessuno in Veneto parlava italiano, neanche nella “variante regionale veneta”. Quanto il fiorentino è diventato norma, e si è egemonizzato, le varie aree dell’Italia hanno cominciato a parlarlo come riuscivano, quindi storpiandolo a seconda delle cose che avevano difficoltà a dire. [E, per inciso, questa norma è molto più diffusa ora che cento anni fa, in Veneto]
Così come uno straniero che impara l’italiano, e noi sappiamo riconoscere un accento inglese, francese, spagnolo, o arabo, in italiano.
In pratica, tu sei uno che invece di pronunciare house, pronuncia Ouze, e invece di pronunciare speak, pronuncia spic. Va bene, non c’è problema, basta che tu lo sappia.
Per la cronaca – e questo era un cavallo di battaglia del tuo corregionale Pietro Bembo – anche a Firenze ebbero difficoltà ad adeguarsi alla norma di 200 anni più antica e più colta del parlato vivo (quello sostenuto da Machiavelli), per cui anche a Firenze lo storpiarono: come “bòno” anziché “buono”.
Shylock scrive::
Eh? Ma tu hai capito cosa ti sto spiegando io? O ti sei fatto il tuo omino di paglia e continui a rispondere a lui anziché a me?
Giovanni Fontana scrive::
No, a me prude niente, è a te che rode aver perso i quarti di nobiltà .
Giovanni Fontana scrive::
Stai cercando d’introdurre distinzioni farlocche: io pronuncio ‘da solo’, come fai tu ma senza raddoppiare la ‘s’; ‘dasolo’ è quello che puoi sentire perché il parlato è un flusso, bello mio, da cui riconosciamo le singole parole il più delle volte a senso, non perché vadano pronunciate staccate come facevano i robot nei vecchi film di fantascienza, cosa di cui t’accorgi subito dalla fatica che farai ad analizzare il parlato di una lingua che pure conosci, ma non è la tua.
Giovanni Fontana scrive::
Ribadisco, fai generalizzazioni a cazzo su una lingua di cui hai una conoscenza sommaria e caricaturale, a livello commedie all’italiana anni ’60: si dice ‘fasso mì’, ‘cossa voto’ (o ‘vuto’, a seconda delle parlate locali), ‘cuanto gheto (o ‘ghato’) bevù’ (o ‘bevuo’)?’ ‘Assè’ (che vuol dire ‘moltissimo’), etc.
Regola uniforme: il raddoppiamento fonosintattico è definibile come assimilazione regressiva all’interno di frase; analogamente a quanto accade in corpo di parola (ADVENTUM > avvento)in AD VALLEM la v assimila la d (la stringa fonica è unica) e la resa è “avvalle” che in grafia normalizzata si rende a valle, però per quel motivo lì, ancora si (può) pronuncia(r) così.
Si ha in tre casi: dopo monosillabi forti, cioè dotati d’accento, dopo parole tronche, dopo quattro polisillabi: come, dove, sopra, qualche.
Giovanni, cappellata: il Romano perde tratti di Koiné meridionale, fino a quel momento sostanzialmente uniforme, già profondamente nel Cinquecento con i papi medìcei, dato anche lo spopolamento di parlanti nativi a seguito del sacco del ’27.
@ Giovanni Fontana:
??
Pesca frutto si narat pressiu
Pesca in s’abba si narat pisca (de piscai)
immoi puru 😉
Cessu Cessu
stiamo parlando NON di dialetti ma di _varianti regionali_ dell’italiano
s’italianu no fia mancu nasciu
In sardu sa litra /q/ no serbit. In italianu ddoi est ca serbit po fai bessiri su ditongu sceti, ma sigumenti su sardu no tenit ditongus cun custus sonus (bogau à cua e silìcua chi perou scrieus diaici, chena de /q/), no tenit sentidu a nci ponni custa litra in s’arfabetu nostu.
In sardo la lettera q non serve. In italiano esiste perchè serve per formare il ditongo ma siccome il sardo non ha dittonghi con questi suoni (eccetto acua e silicua che però scriviamo senza q..fortzis calincuatru ) non serve mettere questa lettera nel nostro alfabeto.
fintzas in su ditzionariu de Pietro Casu ci ndi funti pagus sa quartina est connotta commenti Battorina quèru est cuèru
calesisiat (qualsiasi) q est c