Oramai sono qui da un po’ di tempo (ho calcolato che ho vissuto più della metà dell’esistenza del campo) e ho avuto modo di ragionare e fare qualche considerazione sui volontarî che lavorano o hanno lavorato a Katsika.
Le condizioni del campo migliorano, e questo è anche grazie al grande afflusso di volontarî che, nonostante la disorganizzazione, aiutano a dare una mano alle persone che vivono nel campo. In questo momento, fra tutte le associazioni, ci sono fra i trenta e i quaranta volontarî, un numero significativo. Sono persone che vengono da tutto l’Occidente, prevalentemente dall’Europa, ma c’è anche qualche statunitense, canadese o australiano. La nazione più rappresentata è nettamente la Spagna, dato che l’Ong più importante è spagnola. Per questo si parla inglese o spagnolo.
La gran parte delle persone lavora molto, specie i primi giorni che è qua. Poi, un po’ fisiologicamente, allenta il ritmo o si occupa di mestieri meno stressanti. Le giornate, comunque, sono sempre lunghissime, ma vengono spesso allungate ritrovandosi a un bar o una sala da biliardo. Il mio maggior cruccio è che in Grecia si fuma dentro i locali pubblici, e io – che soffro molto il fumo – posso aggregarmi solo quando si va in locali all’aperto o in case di persone, cosa che per fortuna succede sempre più spesso.
La cosa che si nota subito dei volontarî è che sono tutte persone buone. È una banalità, è una sciocchezza, ma è smaccatamente vero: tutte le persone che sono qui lo sono perché vogliono fare del bene, e lo manifestano continuamente nel quotidiano. Per quanto sia ciò che uno si aspetta da persone che vanno a lavorare in un campo profughi, è il livello di questa bontà d’animo che mi ha stupito: avendo lavorato in altri contesti, più professionali, non ne avevo mai riscontrato uno simile. Può essere che sia proprio il fatto di essere volontarî, quindi persone che fanno questa scelta indipendentemente dal denaro o dalla possibilità di una carriera, a selezionare questa caratteristica. Ovviamente ciò non vuol dire che questa bontà si traduca sempre in efficacia: è l’altra faccia della medaglia, un gruppo di volontarî è anche un gruppo meno qualificato.
È difficile inquadrare il volontario tipo: ci sono più donne che uomini, ma il rapporto non è tanto diverso. L’età media è fra i 25 e i 30 anni, quella mediana molto più alta: ci sono infatti un sacco di persone di ogni età, anche sopra i 60 anni, che vengono a dare una mano. In media le persone restano fra le due e le tre settimane, qualche volta un mese, difficilmente di più. Quasi tutti si dànno molto da fare, e rimangono affezionati al proprio lavoro fino all’ultimo giorno. Poi lasciano quello che hanno fatto e il loro lavoro viene continuato da qualcun altro.
Direi che il prototipo del volontario è quello del viaggiatore: ci sono molte persone che non hanno una base precisa, ma fanno diverse esperienze di ogni tipo e quella di lavorare in un campo profughi è una di queste. Hanno visto molto mondo, e ne vedranno dell’altro. Sono felici della vita, e questa è la loro maniera di sdebitarsi della felicità ricevuta. Poi ci sono tanti altri che hanno dei lavori normali, una vita normale e, semplicemente, anziché andare in vacanza, prendono le ferie e vengono a lavorare a Katsika.
Il rapporto fra i volontarî è molto cordiale, gioioso, anche a livello fisico: ci si abbraccia spesso, e per molte cose, anche per un buon giorno. Io lo apprezzo molto. Nonostante la situazione di stress continuo, di litigi o discussioni ce ne sono pochi. Qualche volta qualcuno esplode, scoppia a piangere o ha delle crisi, ma è inevitabile e viene presto superato. Si è parlato di psicologi che venissero a lavorare con i volontarî, come succede a Idomeni, ma per ora la cosa non è stata messa in piedi. Per quel che mi riguarda, comunque, sono sempre riuscito a mantenere la calma, anche in situazioni difficili, e a lasciar andare via lo stress dopo un po’ di riposo.
Una cosa che mi ha stupito, forse in negativo, è che poche volte fra volontarî si affrontano discorsi “serî”. Non dico soltanto questioni etiche, profonde o intime, di cui i lettori di questo blog mi sanno appassionato: ma anche banali discussioni politiche, alle quali mi sarei aspettato di assistere spesso, sono piuttosto rare. Non perché siamo tutti d’accordo, direi che se è vero che tutti sono per un’apertura delle frontiere, i background politici sono abbastanza varî; semplicemente perché quando ci si ritrova davanti a una birra le chiacchiere restano concentrate sul commento della giornata passata o su discorsi da ascensore. Ecco, direi che se potessi chiedere qualcosa al futuro immediato è che i nuovi volontarî, che arriveranno presto, siano più interessati a una bella e sostanziosa discussione.