Perché Annunziata e Busi su Lucio Dalla hanno ragione e torto assieme

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L’accertamento postumo dell’identità sessuale di Lucio Dalla non è molto interessante, ma non è certamente inopportuno o fuori luogo perché prossimo al funerale: ricordiamoci che dire «Lucio Dalla era omosessuale» non è un insulto.

Se qualcuno avesse detto: «sapete? A Lucio Dalla piaceva pattinare», nessuno l’avrebbe considerato offensivo. Dovremmo imparare a considerare alla stessa maniera qualcuno che dica «a Lucio Dalla piaceva un uomo». Non c’è nulla di male a pattinare, non c’è nulla di male ad amare (o fare sesso con) gli uomini. È proprio per questo che, al contrario, la questione non è molto interessante: perché quell’umore da a-ha ti ho beccato! che viene alimentato da questo atteggiamento sottintende che gli omosessuali abbiano maggiore dovere di combattere l’omofobia che non gli eterosessuali, e questa è una sciocchezza egoista. Io non so se Dalla fosse omosessuale, non sappiamo se Marco Alemanno fosse il suo compagno (e, non essendone certi, penso che i giornali abbiano fatto bene a non riportare tale informazione: questa sì, mi sembra una polemica inutile). D’altra parte, però, è sciocco difendere il diritto di Dalla a non rispondere a quella domanda, e non difendere il diritto di Lucia Annunziata o Aldo Busi ad avere un’opinione su quella scelta.

Dalla aveva certamente il diritto di scegliere di non dire di essere omosessuale, noi abbiamo certamente il diritto di criticare quella scelta. E io – Dalla o meno – la critico per le ragioni che chiunque conosca anche solo un poco la storia del movimento omosessuale sa a memoria: che ogni omosessuale che non si fa problemi a rispondere alla più semplice delle domande, chi ti piace?, aiuta un pochino la propria accettazione e quella di tanti altri, oltre che le molte persone che stanno cercando di fare a loro volta il proprio coming out.

Scrivevo:

Non c’è dubbio che un omosessuale che vuole rivendicare la segretezza, l’essere privato, della propria preferenza sessuale sta introiettando il principio per il quale quello debba essere un carattere di cui non parlare in pubblico*. Se lo vivesse con tranquillità, come si vive qualunque dato privato di cui non vergognarsi (ti piace la pasta al pomodoro? Qual è il tuo colore preferito?) non avrebbe problema a parlarne.

Annunziata e Busi – che hanno ragione e torto assieme, ma più ragione – dicono una cosa molto semplice: una persona può, con la sua scelta, rendere la vita un po’ più facile alle altre persone.  Non ha nessun “dovere” legale, ma una spinta etica sì.

107 Replies to “Perché Annunziata e Busi su Lucio Dalla hanno ragione e torto assieme”

  1. No, non dico questo.
    Dico che – soprattutto Busi – avrebbe dovuto e dovrebbe… come dire, chiamare a sostegno della causa tutti coloro che lui presumeva e presume essere omosessuali “non dichiarati” che potrebbero, dichiarandolo, rendere più facile la vita delle persone.
    @ Giovanni Fontana:

  2. Bisogna aggiungere altri elementi per valutare la vicenda. Anzitutto, non è detto che tutti gli omosessuali vogliano fare pubblicamente outing. Alcuni vivono con difficoltà questa loro condizione: ne soffrono. E non perché temono i giudizi della gente, ma perché avvertono la loro differenza sessuale come un’anomalia, e hanno pure il diritto di farlo. Dunque che Lucio Dalla sia omosessuale o meno, poco importa: sono fatti suoi, avrà avuto i suoi motivi per non dirlo (1. non era omosessuale; 2. soffriva per la sua condizione).
    Nel primo caso, l’affermazione dell’Annunziata risulta inutile, pleonastica, rispetto all’avvenuta morte.
    Lucio, a quanto leggo, era cattolico, parlava con i preti, e dunque la Chiesa non avrebbe negato i funerali pur sapendo che Lucio fosse omosessuale. Intendo dire che la Chiesa lo avrebbe trattato allo stesso modo, cioè celebrando il funerale, a prescindere dall’omosessualità.
    Il fatto che una persona sia omosessuale non implica il divieto di ricevere i funerali religiosi: non c’è stata nessuna ipocrisia, nessuna contraddizione. Alla morte siamo tutti uguali, e la Chiesa ammette benissimo un omosessuale al funerale.
    L’Annunziata, per riparare alla altrettanto inutile battuta sugli omosessuali ed i campi di concentramento, ha voluto dare spazio alle associazioni gay (che rappresentano un sottoinsieme degli omosessuali) in modo da riparare alla precedente gaffe.
    Ha spacciato Lucio Dalla per un ipocrita pur non avendolo conosciuto e non sapendo chi fosse. Sicuramente ci ha guadagnato in share e visibilità, ma al prezzo di sputtanare un morto.
    Complimenti Lucia.

  3. Un conto è dire che Dalla, non facendo coming out, non ha contributo alla lotta contro l’omofobia; un altro è dire che, comportandosi come si è comportato, ha fatto una scelta eticamente condannabile. Prendiamo il caso Montgomery bus boycott: il gesto della donna nera che non si alza per far posto al bianco arrivato dopo è eticamente encomiabile, ma questo non vuol dire che i neri che non l’hanno fatto debbano necessariamente essere criticati. Nell’esprimere giudizi su comportamenti a rilevanza collettiva, trovo sia sempre importante considerare anche la capacità, la possibilità di “fare la cosa giusta”, pena finire in discorsi completamente astratti.

  4. lorenzo scrive::

    Un conto è dire che Dalla, non facendo coming out, non ha contributo alla lotta contro l’omofobia; un altro è dire che, comportandosi come si è comportato, ha fatto una scelta eticamente condannabile.

    Mi sembra proprio il contrario. È eticamente condannabile, chi più chi meno, chi ha la possibilità di aiutare gli altri e non lo fa.

    Naturalmente ci sono diverse misure, non fare la raccolta differenziata è “eticamente condannabile”? Direi di sì. Di certo non merita una condanna feroce, o complessiva. È solo un piccolo aspetto che si potrebbe fare meglio, anche eticamente: penso lo stesso sul coming out.

  5. Annunziata e Busi – che hanno ragione e torto assieme, ma più ragione – dicono una cosa molto semplice: una persona può, con la sua scelta, rendere la vita un po’ più facile alle altre persone. Non ha nessun “dovere” legale, ma una spinta etica sì.

    E’ vero, però spesso complica la propria, di vita.
    Non condivido il concetto, insomma.

  6. Luca scrive::

    E’ vero, però spesso complica la propria, di vita.
    Non condivido il concetto, insomma.

    Mi sembra il contrario: che lo condividi. Stai dicendo che è una scelta che uno fa preferendo il benessere proprio a quello degli altri. È una cosa del tutto legittima, naturalmente. Come è legittimo reputarla (un po’) egoistica.

  7. Chi non fa la raccolta differenziata danneggia gli altri, chi non dice apertamente di essere omosessuale non danneggia nessuno: la perdita del potenziale beneficio non è equivalente ad un danno provocato con un certo comportamento.
    Tu non sai nemmeno quanto quella scelta avrebbe potuto influenzare la sua vita, nè se ne sarebbe valsa la pena. Encomiabile chi lotta, non posso condannare chi non lo fa, soprattutto se posso solo immaginare la situazione in cui si verrebbe a trovare.
    Hai mica guardato Milk? Credo di sì. Il cazziatone è rivolto agli attivisti, non a tutti gli omosessuali.

  8. dtm scrive::

    Encomiabile chi lotta, non posso condannare chi non lo fa,

    A meno che uno non abbia un concetto binario o assoluto di etica, le due cose sono perfettamente equivalenti. L’etica è graduale: c’è chi fa 2, chi fa 4, chi fa 10. È chiaro che chi fa 2 fa meno di 4, come è chiaro che chi fa 4 fa meno di 10.

    Eticamente – al di fuori dalla sociopatia – la scelta è, sempre, fra altruismo ed egoismo.

    dtm scrive::

    Hai mica guardato Milk? Credo di sì. Il cazziatone è rivolto agli attivisti, non a tutti gli omosessuali.

    A maggior ragione!

  9. e invece Busi è stato oltremodo fastidioso e inopportuno. Come fanno notare più sopra se gli stava a cuore il coming out di Dalla, perchè non farlo presente quando era vivo? non per altro, è che ora Busi sembra l’ennesimo sciacallo che cerca notorietà grazie al morto del giorno.

    E poi mi irrita assai la “scomunica” di Busi: se non ti dichiari in mondovisione devi per forza essere un cattolico represso. Ho letto in altra sede (forse sul Post, ma potrei sbagliarmi) il commento di un bolognese che dice che Dalla girava tranquillamente per la sua città mano per la mano con gli uomini, non era un segreto per nessuno. Voi confondete la riservatezza (o magari la voglia di far parlare di sè grazie alla propria musica e non alle proprie abitudini sessuali) con la repressione. Io non mi vergogno affatto delle mie preferenze sessuali, eppure se fossi un cantante magari non ne parlerei, lasciando quel tipo di discussioni alla mia sfera privata (che poi tanto privata non è, se quel commentatore sopracitato è veritiero).

  10. Giovanni Fontana scrive::

    È eticamente condannabile, chi più chi meno, chi ha la possibilità di aiutare gli altri e non lo fa.

    E’ proprio questo il punto su cui non sono d’accordo. Io ti darei ragione se criticassi ad esempio quegli eterosessuali che non partecipano a una manifestazione per i diritti degli omosessuali. Pur avendo la possibilità di fare un gesto eticamente encomiabile, scelgono di non farlo. Il caso Dalla è però diverso (come lo è quello dei neri che facevano posto ai bianchi sull’autobus oppure gli ebrei che obbedivano ai nazisti). Qui, fare la cosa giusta ha un costo e spesso si tratta di un costo significativo. Davvero ti senti condannare (anche solo un poco) quelli che non vogliono pagare questo prezzo per fare un bel gesto? Insomma, non trovi che sia facile fare il frocio col culo degli altri?

  11. Comunque, sia chiaro, ti riconosco la tesi di fondo (rispondere serenamente a certe domande aiuta “la causa”).
    Discettare di scelte personali dando patentini di militanza grazie a processi post-mortem è già meno interessante.
    Ancora meno interessante – anzi del tutto illeggibile – l’articolo di Busi. Ma forse è perchè faccio parte del “popolo bue”, forse perchè sono una donna che si commuove con la “ridicola falsità” di “Cara”, forse perchè mi faccio influenzare dal “lirismo demagogico” e dal “sentimentalismo universale”.

  12. lorenzo scrive::

    Davvero ti senti condannare (anche solo un poco) quelli che non vogliono pagare questo prezzo per fare un bel gesto?

    Ovviamente la frase giusta è “davvero ti senti DI condannare…”.

  13. lorenzo scrive::

    Qui, fare la cosa giusta ha un costo e spesso si tratta di un costo significativo. Davvero ti senti condannare (anche solo un poco) quelli che non vogliono pagare questo prezzo per fare un bel gesto?

    Ti ripeto: per me è la stessa identica cosa dire che, di due scelte, una è più etica di un’altra, e dire che una è condannabile. Una condanna che io, naturalmente, non intendo in senso religioso. Considero “condannabile” sinonimo di “egoistico”.

    In un altro post, sul vegetarianismo, avevo scritto di questa gradualità dell’etica, che è il contraltare del moralismo manicheo:

    http://www.distantisaluti.com/un-carnivoro-difende-i-vegetariani/
    “Ci sono un’enormità di cose in cui il nostro piacere si scontra con quello degli altri. Tutte le volte che rinunciamo a privilegiare noi stessi per fare del bene agli altri siamo, un po’, migliori. Alcuni ragionamenti contro il nostro interesse sono richiesti dalla società in cui viviamo: non ammazzare la vecchietta per rubarle la pensione. Alcuni non ci verrebbero mai chiesti: vendere la propria casa per comprarne una più piccola e donare i soldi in beneficienza. Altri sono nel mezzo, e sono lasciati alla coscienza di ognuno: come appunto mangiare meno carne, prendere di meno la macchina, fare del volontariato ogni tanto, e così via.”

    La scelta di non pagare un costo in termini personali evitando di fare un bene ad altre persone è del tutto legittima, ed egoistica. Alla coscienza di ognuno di noi è valutare quanto bene altrui vale il bene proprio, alla coscienza degli altri il valutare quanto questa nostra scelta sia etica.

    lorenzo scrive::

    Insomma, non trovi che sia facile fare il frocio col culo degli altri?

    No, trovo quest’espressione orribile e falsa. Veicolo di una serie di significati vergognosi: che “dare il culo” sia la cosa peggiore che c’è; che ci sia qualcosa di male nelle cose facili; che il comportamento di ciascuno rende le idee che esprime più o meno valide; e, infine, che gli eterosessuali non possano avere un’opinione sulle scelte degli omosessuali, gli uomini non possono averla su quelle delle donne, e così via.

  14. @ Giovanni Fontana:

    “fare i froci con il culo degli altri” sarà un’espressione brutta, però il suo significato qui è abbastanza pertinente: significa condannare persone senza conoscere nulla della loro esperienza personale, delle loro scelte e magari delle loro sofferenze, in nome di una regola generale che sarà pure giusta ma che è troppo facile enunciare da un blog, senza aver mai vissuto nel contesto di quella persona. Tutto qui: il principio che esprimi è sicuramente giusto, la condanna alla Busi verso un uomo un po’ meno: anzi, come tu stesso riconosci ironicamente, è moralismo noioso.
    Kant era il campione indiscusso della moralismo noioso (e io lo idolatro per questo), eppure proclamava l’impossibilità costitutiva di giudicare il carattere e le scelte di un altro uomo.

  15. Io invece ho sempre molto apprezzato il riserbo di Dalla, personaggio pubblico, che non ha mai mercificato il suo privato, non lo ha svenduto.
    Penso che la naturalezza non eccezionale con cui ha vissuto la sua vita – così intesa e ricca di messaggi positivi, anche nelle sue canzoni – sia stato essere un monito silenzioso alla tolleranza e al rispetto dell’individuo – qualsiasi fosse il suo modo di vivere la propria vita – un silenzio assordante e proprio per questo molto più rumoroso di 100 outing sbandierati nei salotti buoni della TV. Quindi ho trovato ancora più spiacevole il commento dell’Annuzniata che – come giornalista – avrebbe dovuto semmai porre le proprie domande a Dalla vivente.

  16. flora scrive::

    in nome di una regola generale che sarà pure giusta ma che è troppo facile enunciare da un blog, senza aver mai vissuto nel contesto di quella persona.

    Ho già risposto a questo:

    “Veicolo di una serie di significati vergognosi: che “dare il culo” sia la cosa peggiore che c’è; che ci sia qualcosa di male nelle cose facili; che il comportamento di ciascuno rende le idee che esprime più o meno valide; e, infine, che gli eterosessuali non possano avere un’opinione sulle scelte degli omosessuali, gli uomini non possono averla su quelle delle donne, e così via.”

    Pensare che una cosa facile sia sbagliata è una fallacia. Pensare che uno debba aver vissuto una situazione per valutarla è un’altra fallacia, oltre che una pessima idea di politica (le donne combattono per le donne, gli omosessuali combattono per gli omosessuali, e così via). Nel momento stesso in cui encomi una persona che faccia coming out stai, di per sé, dando una valutazione su una situazione che non hai vissuto personalmente, ma in quel caso ti va bene di farlo.

    Se proprio dovessi risponderti alla questione, ti direi che io – se fossi omosessuale – farei coming out. E credo anche ci siano diverse scelte che ho fatto, personalmente o pubblicamente, che lo dimostrano. Credo che chiunque mi conosca un po’ di persona te lo confermerebbe. Ma tu mi potresti rispondere: non puoi mai sapere. Certo, ma neanche tu puoi mai sapere. Allora è meglio lasciare perdere l’ipotetica coerenza di una persona, la quale non ha niente a che vedere col valore delle idee che esprime, e parlare della sostanza della questione.

    flora scrive::

    Kant era il campione indiscusso della moralismo noioso (e io lo idolatro per questo), eppure proclamava l’impossibilità costitutiva di giudicare il carattere e le scelte di un altro uomo.

    Beh, è piuttosto ovvio che Kant lo proclamasse, proprio perché lui era un deontologo (dogmatismo etico), forse il più sofisticato dei deontologi. È chiaro che se uno aderisce a quel tipo di etica, per la quale non contano le conseguenze delle azioni, e ci sono soltanto “cose che si fanno” e “cose che non si fanno”, la gradualità (consequenzialista, utilitarista) cui mi richiamavo prima non esiste più.

    Invece il carattere e le scelte di un altro uomo le giudichi eccome, lo stai facendo ora – con me – rispondendo alle mie obiezioni, e te ne sono grato.

  17. Giovanni Fontana scrive::

    La scelta di non pagare un costo in termini personali evitando di fare un bene ad altre persone è del tutto legittima, ed egoistica.

    Esattamente. Quello che io credo (e su cui tu dissenti) è che le scelte egoistiche non siano tutte moralmente condannabili, qualche volta è veramente costoso per se stessi fare la cosa giusta per gli altri. Se non consideriamo anche la possibilità di fare il bene degli altri, allora davvero facciamo discorsi astrattissimi.

    Speravo si capisse dal resto del discorso, ma per me il senso dell’espressione “fare il frocio col culo degli altri” è legato a quello che ho scritto sopra e cioè che dobbiamo anche (non solo, ma anche) calarci nei panni delle persone di cui valutiamo i comportamenti a rilevanza pubblica. E’ chiaro che tutti possono criticare l’eticità di tutti, ma è bene anche tenere a mente che fare la cosa giusta è più facile per alcuni piuttosto che per altri. Non voglio dire che gli omosessuali, i neri, e gli ebrei di questo mondo debbano essere esentati da giudizi di carattere etico, ma che questi giudizi vadano sempre accompagnati da una considerazione sulle capacità, sulle possibilità e via dicendo.

  18. lorenzo scrive::

    Quello che io credo (e su cui tu dissenti) è che le scelte egoistiche non siano tutte moralmente condannabili, qualche volta è veramente costoso per se stessi fare la cosa giusta per gli altri.

    Sì, però scommetto che non hai un limite rigido stabilito definitivamente, tipo “x persona può fare una cosa egoistica di livello 1 per il beneficio di 10 persone, se il beneficio è minore a 10 persone allora non condannabile, se il beneficio è maggiore a 10 persone allora sì condannabile”. Non è così, ripeto, le cose sono più graduali: più è grande il beneficio per sé e meno è grande il beneficio per gli altri e più è meno l’atto etico è richiesto; meno è il beneficio per sé, e più è quello per gli altri, più l’atto etico è richiesto;

    Su, poi, quanto ciascuno di noi richiede a sé stesso e agli altri, beh, ognuno ha il proprio criterio, e non ci sono regole ultimative, per questo parlavo – alla fine del post – non esattamente di “condanna”, che è termine ambiguo, ma di ma di una certa “spinta etica”.

    Sbaglio o siamo più d’accordo di quanto non sembrasse all’inizio?

  19. solo due cose (e qui si va più o meno OT, ma tant’è).

    1. io non ritengo affatto che tutte le cose facili siano sbagliate, però so per certo che le condanne facili lo sono. Tutto qui.

    2. Il criterio di conoscere una situazione in prima persona non è affatto necessario per la sfera politica, su questo sono completamente d’accordo con te. Lo è però nel caso in cui si condannino le persone. Per me si possono condannare “in automatico” le azioni, non le persone.

    E comunque ripeto, il tuo accenno alla lotta politica è interessante per capire come imposti la questione. é proprio questo il punto: Dalla ha scelto di non fare della sua sessualità una battaglia politica, per quanto giusta, e secondo me va bene anche così. I commenti alla Busi non aggiungono né tolgono niente né alla sua arte né alla lotta per i diritti dei gay, a mio modesto giudizio; questo perchè non sono affatto convinta che sui coming out obbligatori.
    (ma si sarà capito che il suo articolo proprio non mi è andato giù)

  20. (vabbè scusate l’orrore grammaticale, volevo dire che non sono convinta dei coming out obbligatori in generale)

  21. @ Giovanni Fontana:
    Ammetto che siamo più d’accordo. La mia critica ai tuoi discorsi sull’etica (avevo letto altri tuoi post su argomenti simili e credo quindi si tratti di una tua visione di fondo) è che sono molto liberali e di conseguenza molto formali/astratti/teorici. Se tutti avessero le stesse capacità di comportarsi giustamente, allora è chiaro che tutti dovrebbero comportarsi giustamente. Ma purtroppo non viviamo in un libro di Rawls, ma in uno dove le disuguaglianze sessuali, etniche, economiche e via dicendo hanno un grosso impatto sui nostri comportamenti pubblici. Dire che, se Dalla avesse fatto coming out, avrebbe compiuto un bel gesto per la comunità omosessuale è sicuramente vero, però non ti sembra che stai un po’ perdendo di vista la questione centrale e cioè: perché Dalla non ha fatto coming out? Ora tu mi risponderai che hai scritto di X e io ti critico perché non hai parlato di Y, ma credo che nel mondo in cui viviamo X e Y siano strettamente legati e parlare solo di X dia una prospettiva un po’ parziale della realtà.

  22. lorenzo scrive::

    Ma purtroppo non viviamo in un libro di Rawls,

    Io non sono d’accordo con Rawls, per inciso.

    lorenzo scrive::

    Dire che, se Dalla avesse fatto coming out, avrebbe compiuto un bel gesto per la comunità omosessuale è sicuramente vero, però non ti sembra che stai un po’ perdendo di vista la questione centrale e cioè: perché Dalla non ha fatto coming out?

    No, mi sembra che la stia perdendo tu: io punto proprio a quella. Se non ci fosse questo aspetto qui non me ne fregherebbe nulla. È vero quello che suggerisci, che se tante persone come Dalla – prima di lui – avessero fatto coming out per Dalla sarebbe stato più facile, non c’è dubbio. Ma appunto. Vogliamo andare per quella strada. Lui non ha fatto il passo che avrebbe potuto fare, peccato.

  23. Come dici tu, che gli omosessuali “abbiano maggiore dovere di combattere l’omofobia che non gli eterosessuali” è una sciocchezza.
    Da qui, secondo me anche il fare coming out per “rendere la vita un po’ più facile alle altre persone” è una sciocchezza.
    A Dalla piacevano gli uomini così come “andare a pattinare”, ci saremmo aspettati un coming out su quanto gli piacesse andare a pattinare? Tutti sapevano, e in giro a quanto pare non si faceva problemi a tenere per mano un uomo.
    Chiedo quindi, la “spinta etica” al coming out non sarà un’introiezione del “principio per il quale quello (preferenza sessuale) debba essere un carattere di cui non parlare in pubblico”?
    E siamo sicuri che il coming out possa rendere la vita più semplice ad altre persone che non il girare per mano a bologna col suo compagno?

    Busi non ho sentito/letto cosa abbia detto, Annunziata mi sembra che abbia preso Dalla omosessuale come dato di fatto per fare una trasmissione sull’omofobia in Italia (senza polemiche sul fatto che l’abbia detto o meno, mi sembra -non ho seguito tutta la trasmissione quindi potrei sbagliarmi-) e credo non ci sia niente di male.

  24. Giovanni Fontana scrive::

    A meno che uno non abbia un concetto binario o assoluto di etica, le due cose sono perfettamente equivalenti. L’etica è graduale: c’è chi fa 2, chi fa 4, chi fa 10. È chiaro che chi fa 2 fa meno di 4, come è chiaro che chi fa 4 fa meno di 10.

    Qualche mercoledì mi dedico alla salubre attività collettiva dedita all’assunzione di spritz. Questo spreco di tempo, a totale vantaggio di me medesimo, è sottratto all’aiuto gratuito che potrei dare alle suore orsoline per migliorare il mondo.
    Sono egoista?

  25. dtm scrive::

    Qualche mercoledì mi dedico alla salubre attività collettiva dedita all’assunzione di spritz. Questo spreco di tempo, a totale vantaggio di me medesimo, è sottratto all’aiuto gratuito che potrei dare alle suore orsoline per migliorare il mondo.
    Sono egoista?

    Certamente, e l’ho già scritto:

    “Ci sono un’enormità di cose in cui il nostro piacere si scontra con quello degli altri. Tutte le volte che rinunciamo a privilegiare noi stessi per fare del bene agli altri siamo, un po’, migliori. Alcuni ragionamenti contro il nostro interesse sono richiesti dalla società in cui viviamo: non ammazzare la vecchietta per rubarle la pensione. Alcuni non ci verrebbero mai chiesti: vendere la propria casa per comprarne una più piccola e donare i soldi in beneficienza. Altri sono nel mezzo, e sono lasciati alla coscienza di ognuno: come appunto mangiare meno carne, prendere di meno la macchina, fare del volontariato ogni tanto, e così via.”

    Sei un po’ più egoista di chi va a servive alla mensa della caritas, e un po’ meno egoista di chi va a tirare calci alle vecchiette.

    Come detto, ognuno di noi sceglie dove piazzare la propria asticella, ma che l’asse etico (quello dell’altruismo) contempli anche cose che la persona media non fa non v’è alcun dubbio.

    Però queste non son neanche mie opinioni, sono ovvietà: la mia opinione entra in gioco quando io io valuto, a modo mio, il danno arrecato alla società, come tu facevi prima sulla raccolta differenziata dimostrando che consideri una specifica cosa (il non prevenire l’inquinamento) più grave – o più efficiente il comportamento contrario – di un’altra (il prevenire l’omofobia).

  26. Fabio Venneri scrive::

    Come dici tu, che gli omosessuali “abbiano maggiore dovere di combattere l’omofobia che non gli eterosessuali” è una sciocchezza.
    Da qui, secondo me anche il fare coming out per “rendere la vita un po’ più facile alle altre persone” è una sciocchezza.

    Non sequitur.

    Fabio Venneri scrive::

    E siamo sicuri che il coming out possa rendere la vita più semplice ad altre persone che non il girare per mano a bologna col suo compagno?

    Le due cose sono in contraddizione? In ogni caso sì, l’effetto sul ragazzo cagliaritano, o sulla madre del ragazzo cosentino, è certamente maggiore.

  27. @ Giovanni Fontana:
    Mah, sono dubbioso che la strada per l’affermazione dei diritti degli omosessuali (o di qualsiasi altra minoranza) passi per i singoli coming out. Ripeto, riconosco il valore etico del “gesto eroico”, ma basare la lotta per i diritti sui comportamenti individuali mi sembra una strategia poco efficace figlia di un’etica poco pratica. Ma non credo di averti convinto.

  28. Tornando al topic, mi pare evidente che l’Annunziata ha voluto attaccare contemporaneamente la Chiesa, il moralismo, il perbenismo, l’omofobia.
    Ma non è riuscita a centrare neppure un bersaglio. Ha sciolto il dizionario dei luoghi comuni, senza descrivere chi sia Dalla, come la Chiesa e la società si rapportino oggi agli omosessuali. Chi siano gli omosessuali stessi.

    E’ spregevole che in televisione si parli solo degli attivisti gay, senza dedicare spazio agli omosessuali (TANTI) che vivono tale condizione come un dramma, e non saranno mai aiutati da un cantante in più che fai coming out in pubblico.

    E la Chiesa stessa non ha negato i funerali ad un omosessuale, figurarsi ad un omosessuale credente.
    Se è vero che Dalla girava mano nella mano con un uomo, allora almeno entro una ristretta cerchia di persone amiche e conoscenti si sapeva della sua identità sessuale. Non era un mistero. Ma allo stesso tempo non c’è bisogno di sbandierare questo stato, e non è assolutamente vero che aiuta gli altri omosessuali.

  29. non hai risposto sul coming out “mi piace andare a pattinare”. magari un ragazzo cosentino che desidera tantissimo andare a pattinare e i genitori non glielo consentono avrebbe la vita più semplice se il padre e la madre, amanti di lucio dalla, sapessero che anche lui va matto per il pattinaggio.

    Quello che intendo, essendo d’accordo (credo) con te che essere omosessuale equivale a qualsiasi altra preferenza di vita, è che vivere la propria sessualità in maniera normale è il miglior servizio che si possa fare anche a chi non la vive come tale. Migliore del coming out pubblico (io non ho mai fatto coming out pubblico della mia eterosessualità, devo?). E per questo credo che la “spinta etica” al coming out pubblico da parte di un omosessuale sia espressione di una condizione di diversità in cui si viene posti / ci si pone.

  30. lorenzo scrive::

    Ripeto, riconosco il valore etico del “gesto eroico”, ma basare la lotta per i diritti sui comportamenti individuali mi sembra una strategia poco efficace figlia di un’etica poco pratica. Ma non credo di averti convinto.

    devi pero riconoscere pure che non esiste alternativa (pratica o teorica) all’uso dei comportamenti individuali come base per la lotta dei diritti di una minoranza.

    e.g. senza una Rosa Parks nel 1955, non ci sarebbe stata la Montgomery Bus Boicott, ne atti come quello che portarono Boynton v. Virginia, ne il ruling successivo della supreme court, a cui seguirono Ie sfide dei Freedom Riders, beatings e linciaggi di attivisti, l’invio di agenti federali e guardia nazionale, come pure sarebbe dfficile immaginare il passaggio del civil rights act del 64 o il voting rights act del 65, o la nomina di Marshall come membro della corte suprema a 12 anni dall’atto di Rosa Parks.

    in realta la storia dei diritti civili e’ fondamentalmente basata su atti eroici individuali che creano sufficiente momentum per scuotere le coscienze ed eventualmente cambiare leggi e attitudini.

    l’opposto e’ rarissimo.

    il solo fatto che ancora esista come sopra suggerito chi vive la sua diversa sessualita come un “dramma” suggerisce l’essenzialita di quegli atti “eroici” per cambiare, se non le leggi, le attitudini della maggioranza ed i complessi di inferiorita della minoranza.

  31. @ lorenzo:

    si ma come e’ ovvio dall’esempio che ti faccio sopra, dietro i “movimenti” c’e’ sempre l’azione individuale. prima di diventare “movimento” ci sono sempre quei gesti eroici individuali, che continuano anche dopo quanto diventano popolari e gli appiccichi l’etichetta di “movimento”.

    non esiste che salti quello step. l’alternativa teorica sarebbe una presa di coscienza spontanea da parte della maggioranza seguita da un’azione (legislativa o altro). che non c’e’ mai.

    quindi e’ regola storica che “la strada per l’affermazione dei diritti degli omosessuali (o di qualsiasi altra minoranza) passi per i singoli coming out”

  32. @ Max:
    Se vuoi dire che all’inizio di ogni battaglia per i diritti civili ci sono i gesti eroici dei singoli, sono d’accordo; se invece sostieni che tali gesti siano LA strategia per vincere questa tipo di battaglia, direi che sono assolutamente in disaccordo. Ma questo mi sembra addirittura banale da dire.

  33. mi sembra che insistere sulla questione dell’eroismo ci porti un po’ fuori strada. nessuno può ovviamente misurare il costo che il coming out avrebbe potuto avere per L.D., ma è ragionevole supporre – statisticamente, diciamo – che la definizione di eroismo sia più opportuna per altre vicende.

    mi sembra però fuorviante anche insistere sulla questione della gradualità, come fa giovanni. la gradualità può ben ridursi a due soli gradi: giusto e sbagliato. proprio come in questo caso qui: coming out / non coming out. non c’è grado intermedio. se abbiamo n possibili scelte e le ordiniamo sulla base dell’output di utilità che generano in favore di tutti gli esseri senzienti, possiamo valutare che n4 sia più giusta di n7 ma meno giusta di n1. ma se le scelte possibili sono due, la gradualità diventa un aut aut.

    mi sembra infine ancor più fuorviante chi dice che non si può costringere qualcuno a fare questo o quello. be’, allora non si può proprio parlare di giusto o sbagliato. se è sufficiente che una determinata azione mi richieda un sacrificio perché io non sia “costretto” a farla, allora ognuno può ben fare il cacchio che gli pare.

    quindi: che il precetto morale possa richiedere un sacrificio (costo) lo darei per scontato; che il costo per l’adempimento morale non possa (come regola generale) coincidere con l’eroismo, anche questo lo darei per scontato; infine, la gradualità in realtà può imporre in molti casi un aut aut.

    tutto ciò però non ci dice se L.D. avrebbe dovuto o meno fare coming out, perché anche se ammettiamo che il criterio fontaniano è valido (ma sarebbe tutto da dimostrare: qual è la cosa giusta da fare in un villaggio dell’Alabama, circa 1955, di fronte al linciaggio di un afroamericano che renderebbe felici il 90% della popolazione, scontento il 5%, indifferente l’altro 5%, molto molto scontento il soggetto linciato e alquanto indifferente il resto del mondo?) c’è da fare una sfilza di impossibili valutazioni:

    – essere gay è moralmente ok? (bisognerebbe utilizzare il sistema per rispondere, ma come si ordina in base all’output di utilità collettiva essere gay / non essere gay?)

    – dire di essere gay aiuta i gay? quanto?

    – dire di essere gay fa dispiacere gli etero? quanto

    – dire di essere gay fa dispiacere gli antigay? quanto

    Рquanto ̬ il costo di L.D. nel dire di essere gay?

    – qual è il rapporto costo personale/utilità collettiva a partire dal quale scatta l’obbligo morale? Sacrificare la propria vita per consentire la cancellazione del canone RAI mi sembra a naso sproporzionato, quindi non è vero che in generale la mossa più altruistica è quella moralmente più corretta.

  34. Per le stesse ragioni che poni credo tu possa avere palesemente torto.
    Pure io difendo la cortina di ferro tra il mio pubblico e il mio privato; pure io, che sono eterosessuale, non rispondo e un po’ mi incazzo e non capisco perché la gente debba chiedermi o sapere chi frequenti o chi mi porti a letto.
    Facendo come dici tu, quando un omosessuale risponde alla domanda “chi ti piace”, non aiuta la propria accettazione caso mai la rende prepotente, vuole essere accettato per forza.
    E tutto questo bailame sulla omosessualità di Dalla lo dimostra: infatti non si critica Annunziata o Busi per il fatto che abbiano travalicato la privacy di Dalla (morto), ma perché hanno parlato di omosessualità di un morto dicendo che l’omosessualità va difesa e resa normale. Ecco secondo me chi si prende la briga di difendere qualcosa è perché vede che questa cosa è in difficoltà ed è anormale, contraddicendosi.
    Io che non sono omosessuale e che credo che nell’omosessualità non ci sia niente di male, non mi sognerei mai di difenderla, perché la so normale ed in ottima salute.

  35. Con tutta la cautela e l’umiltà che questi temi richiedono, non sono d’accordo con Busi e in parte nemmeno con Giovanni.
    Busi nel suo (brutto) articolo di replica ha parlato di “analfabeta supponenza” di “quanti pelosissimamente ancora asseriscono che la sessualità umana è un fatto privato e ognuno dentro casa sua fa come crede”, mentre invece per lui ” la sessualità è politica e non privata”.
    Io sono in totale disaccordo; certo, la sessualità umana non è un fatto privato, ma la sessualità individuale sì. A busi preferisco Mill (eh sì, mi piace vincere facile) che diceva: “su se stesso, sul proprio corpo e sulla propria mente, l’individuo è sovrano”.
    Le scelte sessuali non sono scelte etiche come le altre (per dire, come quella di rosa parks che qualcuno ha citato). Sono scelte che riguardano un perimetro inviolabile. Se vale il principio per cui l’omosessuale ha il dovere di manifestare pubblicamente e politicamente le proprie inclinazioni sessuali, vale qualunque principio (clericale, ma non solo) per cui -di fatto- si consegna il proprio corpo alla discussione e alla decisione pubblica, rendendolo campo di disputa e di rivendicazione di diritti e ideali altrui (magari contrapposti, magari condivisibili, ma altrui).
    Il perimetro del corpo è violabile solo nei casi in cui nell’esercizio della sovranità su di sè si configura un danno tangibile a terzi.
    Ce l’hanno ben chiaro perfino i bigotti estensori della legge 40 o gli antiabortisti, i quali non a caso inseriscono nella discussione i diritti dell’embrione o del feto, sostenendo (più o meno capziosamente) che si tratta di un contesto in cui c’è una coercizione a danno di terzi.

    E’ evidente che il coming out di un gay famoso può rendere più facile la vita agli altri, e ben venga chi se la sente di mettere sè, la propria privacy e-di fatto- il proprio corpo nell’agone ideologico e politico. Ma la fatica, la sofferenza, insomma il prezzo personale che si paga per questo è appunto personale e insindacabile e non mi piace l’idea che diventi soppesato e giudicato da fuori. Già l’omosessuale è vittima di una colpevolizzazione illegittima. Non aggiungerei delle responsabilità imperative che comportano colpevolizzazioni ulteriori.

    Ovviamente, sono temi complessi e sono sempre pronto a rivedere le mie posizioni se trovo argomentazioni convincenti.

    p.s. Anche perchè la catena delle responsabilità verso il mondo è infinita. In un certo senso, quello che si fa per gli altri non è mai sufficiente, per definizione, e se la mettiamo così, chiunque di noi è colpevolizzabile a piacere in nome del “non hai fatto abbastanza”. (può qualcuno di noi sentirsi davvero in pace rispetto al proprio contributo per la lotta alla fame del mondo/al cancro/alla violenza sui minori ecc ecc?)

  36. Giovanni Fontana scrive::

    Mi sembra il contrario: che lo condividi. Stai dicendo che è una scelta che uno fa preferendo il benessere proprio a quello degli altri. È una cosa del tutto legittima, naturalmente. Come è legittimo reputarla (un po’) egoistica.

    Più che di egoismo in questo caso parlerei di amor proprio.

  37. @ Luca:
    la prima parte della tua risposta mi sembra legittima: poni la privacy individuale come principio superiore rispetto alla “normalizzazione” (cioè alla contribuzione della normalità scoiale) dell’omosessualità. è una scelta di principio, però, non può essere “provata” da quello che dici dopo.

    infatti, nella seconda parte credo usi “normale” in modo ambiguo. una cosa è usare “normale” nel senso di “moralmente ok”. essere gay è ok. tu dici questo. una cosa è dire “normale” nel senso di “tipicamente accettata e non stigmatizzata in un dato contesto sociale”. è cosa diversa. essere gay nel 2012 non è così ampiamente accettato. c’è gente picchiata e gente che si suicida e gente cui si rende la vita difficile.

    il fatto che per te una condizione A sia normale (cioè moralmente ok) ma non normale (nel senso che vive difficoltà sociali) dovrebbe essere proprio il motivo per cui ti ergi a suo difensore.

  38. Fabio Venneri scrive::

    Quello che intendo, essendo d’accordo (credo) con te che essere omosessuale equivale a qualsiasi altra preferenza di vita, è che vivere la propria sessualità in maniera normale è il miglior servizio che si possa fare anche a chi non la vive come tale

    Ma questo è quello che sostengo io!

    Fabio Venneri scrive::

    (io non ho mai fatto coming out pubblico della mia eterosessualità, devo?).

    Eccome! L’hai fatto 100, 1000 volte. Lo faresti in questo momento se ti chiedessi: come si chiama la tua fidanzata?

  39. AleG scrive::

    p.s. Anche perchè la catena delle responsabilità verso il mondo è infinita. In un certo senso, quello che si fa per gli altri non è mai sufficiente, per definizione, e se la mettiamo così, chiunque di noi è colpevolizzabile a piacere in nome del “non hai fatto abbastanza”. (può qualcuno di noi sentirsi davvero in pace rispetto al proprio contributo per la lotta alla fame del mondo/al cancro/alla violenza sui minori ecc ecc?)

    Ed infatti è esattamente così. Per quello parlavo della gradualità. Certamente chi si adoperà per la fame nel mondo il martedì è meglio di chi non si adopera mai, chi si adopera martedì e mercoledì è meglio di chi si adopera martedì. E questo fatto, e cioè il non essere perfetti, è una cosa su cui bisognerebbe fare pace con sé stessi. C’è sempre il modo di fare di più, c’è sempre il modo di fare di meno. Non c’è soluzione di continuità, non c’è solo giusto e solo sbagliato. Ci sono cose più altruiste di altre. Certamente una persona identica a me, in tutto e per tutto, ma che in questo momento stesse servendo alla mensa dei poveri invece di stare al computer come sto io ora, sarebbe (un po’) eticamente migliore di me.

  40. Provo a fare un po’ di ordine, facendo un breve riepilogo delle obiezioni, dando la mia risposta, e ditemi se ne manca qualcuna. Così, chi non è d’accordo, può rispondere alla mia risposta.

    – Fare coming out può essere encomiabile, ma non si può criticare chi non lo fa.

    Risp: dire che qualcuno è “meno encomiabile” di qualcun altro è esattamente la stessa cosa, e ciò che intendo.

    – Non si possono valutare le scelte private che portano X a non fare coming out

    Risp: allora non si può valutare nessuna scelta, non si può neanche definire encomiabile chi lo fa.

    – Ognuno di noi ha spazî di egoismo che coltiva rispetto al produrre felicità nelle altre persone.

    Risp: è vero e legittimo, questo non ci impedisce di valutare positivamente chi ne prende di più e negativamente chi ne prende di meno.

  41. roberto scrive::

    @ Luca:
    la prima parte della tua risposta mi sembra legittima: poni la privacy individuale come principio superiore rispetto alla “normalizzazione” (cioè alla contribuzione della normalità scoiale) dell’omosessualità. è una scelta di principio, però, non può essere “provata” da quello che dici dopo.
    infatti, nella seconda parte credo usi “normale” in modo ambiguo. una cosa è usare “normale” nel senso di “moralmente ok”. essere gay è ok. tu dici questo. una cosa è dire “normale” nel senso di “tipicamente accettata e non stigmatizzata in un dato contesto sociale”. è cosa diversa. essere gay nel 2012 non è così ampiamente accettato. c’è gente picchiata e gente che si suicida e gente cui si rende la vita difficile.
    il fatto che per te una condizione A sia normale (cioè moralmente ok) ma non normale (nel senso che vive difficoltà sociali) dovrebbe essere proprio il motivo per cui ti ergi a suo difensore.

    sinceramente per me la condizione è sia moralmente ok sia non vive difficoltà sociali per cui non vedo la necessità di discernimento. Forse è una distinzione valida per te, ma per me no tanto che non capisco da cosa tu possa dedurre il contrario.
    Quello che dico io è che se si difende un gay in qualche modo lo si sta attaccando, si riconosce in qualche modo qualcosa di sbagliato in lui e lo si vuole ripostare uguale agli altri. Quando invece il bello dei gay è essere diverso, come tutti sono diversi, e per cui tutti uguali (nel senso tutti degni di simile trattamento) di fronte all’opinione pubblica.
    Non vorrei che il rimedio (la difesa dell’omosessualita) fosse peggiore del male (la presunta diffidenza pubblica verso l’omosessualità).

  42. @ Giovanni Fontana:
    Aggiungi anche questa (e scusatemi se mi ripeto, ma mi pare che Giovanni non abbia davvero risposto):
    – è legittimo criticare chi non fa coming out, però se il prezzo per farlo è alto, allora oltre a evidenziare la scarsa eticità dell’inazione bisogna anche e soprattutto sottolineare i costi dell’azione (senza che i secondi giustifichino la prima).

  43. lorenzo scrive::

    Aggiungi anche questa (e scusatemi se mi ripeto, ma mi pare che Giovanni non abbia davvero risposto):

    No, ma invece fai bene a insistere se ti sembra che non ti abbia risposto.

    lorenzo scrive::

    – è legittimo criticare chi non fa coming out, però se il prezzo per farlo è alto, allora oltre a evidenziare la scarsa eticità dell’inazione bisogna anche e soprattutto sottolineare i costi dell’azione (senza che i secondi giustifichino la prima).

    Io sono d’accordo. Non ho da rispondere.

    Penso che chi fa coming out faccia di più di chi non fa coming out. Le difficoltà aggiungono encomio alla prima scelta e detraggono critica alla seconda, ma la differenza fra lo scegliere di farlo e lo scegliere di non farlo rimane identica.

    Se io trovo un portafoglio con cinquanta euro e lo restituisco al proprietario faccio una cosa encomiabile (prendiamo per buono che quei soldi siano meritati, e necessari alla persona che li ha persi), se lo trovo con 5000 euro e lo restituisco al proprietario faccio una cosa ancora più encomiabile. In entrambi i casi la scelta di non riconsegnare il portafoglio è una scelta deteriore, ma è chiaro che sul secondo esempio i “costi dell’azione”, come li definisci tu, sono maggiori. Ed è quindi (un po’) più comprensibile il non fare l’azione più encomiabile. Ma rimane, comunque, un’azione meno encomiabile.

  44. Luca scrive::

    Quello che dico io è che se si difende un gay in qualche modo lo si sta attaccando, si riconosce in qualche modo qualcosa di sbagliato in lui e lo si vuole ripostare uguale agli altri.

    No, Luca, no. Si difende un gay non perché diverso, ma proprio per il contrarissimo: perché uguale. Si difendono le donne perché uguali. Si difendono gli immigrati perché uguali. Si difende ogni persona perché uguale a tutte le altre persone.
    Il problema, semmai, è perché dobbiamo difenderla e da chi.
    E sì, sarebbe bellissimo se non ci fosse questa necessità di difendere una persona da altre persone. Però così non è, e chissà se lo sarà mai. E quindi, se non si lotta per questo, che persone siamo?

  45. Giovanni Fontana scrive::

    Fabio Venneri scrive::
    Quello che intendo, essendo d’accordo (credo) con te che essere omosessuale equivale a qualsiasi altra preferenza di vita, è che vivere la propria sessualità in maniera normale è il miglior servizio che si possa fare anche a chi non la vive come tale
    Ma questo è quello che sostengo io!
    Fabio Venneri scrive::
    (io non ho mai fatto coming out pubblico della mia eterosessualità, devo?).
    Eccome! L’hai fatto 100, 1000 volte. Lo faresti in questo momento se ti chiedessi: come si chiama la tua fidanzata?

    allora mi sa che non ci siamo capiti su una cosa semplice, cioè su cosa significhi fare coming out: se fare coming out significa rispondere a quella domanda e non farsi problemi ad andare in giro per bologna mano nella mano, è una cosa. altro è se fare coming out significa fare dichiarazioni pubbliche “urlate” sulla stampa. che si riconosca la “spinta etica” di questo secondo gesto per me significa riconoscere una posizione di diversità di un omosessuale che dovrebbe quindi urlare la sua preferenza sessuale. Ritornando sul mio coming out eterosessuale, certo che lo faccio ogni volta che rispondo a “come si chiama la tua fidanzata”, quello che intendevo è che però non ne faccio una dichiarazione.

  46. Posta in questi termini la questione allora dico che un eventuale coming out di LD avrebbe apportato un minuscolo beneficio a questa società a fronte di un enorme danno alla propria vita.
    Stimo tantissimo chi sacrifica così tanto sè stesso per una nobile causa ma la mia opinione di LD non cambia se sceglie di non fare coming out.
    Continuo a vedere una certa differenza tra scelte egoistiche (raccolta differenziata: costa niente, vantaggio enorme) e scelte egoistiche ma giustificabili (coming out, per le ragioni di cui sopra).

  47. @ Luca:
    davvero mi sfugge qualcosa. è un dato di fatto pacifico che la condizione gay si porta dietro dei problemi legati all’intolleranza. tanto è vero che si parla di coming out dei gay ma non degli etero. quindi la diffidenza pubblica non è presunta (nessuno picchia gli etero che mostrano la loro eterosessualità e nessun adolescente si suicida perchè etero).

  48. @Roberto
    Ok Roberto, ma ciò che dico io è che difendendo i gay si fa a loro solo del male.
    Se mi mettessi a difendere gli etero, vorrebbe dire che li giudico in difficoltà; allo stesso modo se non difendo i gay vuol dire che lascio a loro lo spazio che vogliono.
    Ciò di cui parlo è un difetto culturale non sociale: partendo dall’idea che gli omosessuali hanno lo stesso spazio concesso agli etero, ovvero concedendo loro il lascia passare culturale (non difendendoli), possiamo concedere a loro anche il visto sociale per la condizione di tolleranza (non li difendo perché non sono in pericolo, almeno non più di chiunque altro).
    Capisco di ragionare per assurdo, ma è mia premura giocare d’anticipo sulla formazione di stereotipi o addirittura prototipi.
    Spero di essermi spiegato, purtroppo scrivo di corsa di argomenti che avrebbero bisogno di tempo e spazio.

  49. TUtta la discussione mi sembra moralistica e un po’astratta.
    L’unica persona che ha piena legittimità di parlare pubblicamente della vita privata, della sessualità e dell’affettività di Lucio dalla è…lucio dalla. Quando si parla della propria pelle, delle proprie ossa e delle propie sofferenze i doveri verso gli altri passano in secondo piano. Trovo fuori luogo sia le urla di busi che i rimbrotti di giovanni (i secondi ben più legittimi, per carità).
    La cosa da evitare, se si vuole combattere chi invade con disinvoltura l’autonomia dell’individuo, è proprio rischiare di invaderla a propria volta.

  50. Fabio Venneri scrive::

    : se fare coming out significa rispondere a quella domanda e non farsi problemi ad andare in giro per bologna mano nella mano, è una cosa.

    Sì, significa dire “Pippo è il mio compagno” e non “Pippo è un mio collaboratore”.

    Significa far arrivare la nozione “Dalla è omosessuale, e non c’è nulla di male” anche alla casalinga di Voghera.

  51. dtm scrive::

    Continuo a vedere una certa differenza tra scelte egoistiche (raccolta differenziata: costa niente, vantaggio enorme) e scelte egoistiche ma giustificabili (coming out, per le ragioni di cui sopra).

    Mi sembra del tutto accertabile che sia precisamente l’opposto. Mentre che io faccia la raccolta differenziata ha un costo di fatica e impegno (scegliere i sacchetti, lavare le scatolette del tonno, occupare più spazio) a fronte di un vantaggio pressoché nullo (visto che è il mio, minutissimo, contributo a essere in gioco). Nei riguardi del riconoscimento della propria omosessualità da parte di un personaggio famoso e privilegiato, a fronte di uno svantaggio (?) sul singolo, si ha un vantaggio diffuso su una molto larga quantità di persone. Non mi sembra ci siano dubbî su questo squilibrio.

  52. fabio scrive::

    Quando si parla della propria pelle, delle proprie ossa e delle propie sofferenze i doveri verso gli altri passano in secondo piano.

    Tu sei sicuro della validità di questo principio? Suona bene, scritto così. Ma io sono sicuro di poterti dare centinaia di esempî in cui non la pensi così. Sei disposto a cambiare idea?

  53. Luca scrive::

    Se mi mettessi a difendere gli etero, vorrebbe dire che li giudico in difficoltà;

    Luca scrive::

    (non li difendo perché non sono in pericolo, almeno non più di chiunque altro).

    E allora, Luca, perché esiste un numero ampio di gay che si suicida proprio perché gay? Quanti etero conosci che si suicidano perché etero?
    E ancora: se non sono in difficoltà come tu dici, perché tanti non si dichiarano gay e rimangono “invisibili”?

  54. Centinaia son troppi. Inizierei da un paio.
    Non ho sicurezze in questo campo. Me ne guardo bene, in realtà.
    Occhio alle sicurezze.

  55. Certo. E se no che ci sono venuto a fare? 🙂
    Immagino anche tu.
    per quanto per cambiare idea ci vuole tempo, raramente ci si riesce nell’ambito di una singola discussione.

  56. E’ più facile parlare delle persone (bene o male non importa) quando non le si conosce. Per me, quindi, è difficilissimo parlare di Lucio, perché lo conoscevo: fino alla metà degli anni settanta frequentava abitualmente la casa dei miei genitori. Ma ancora oggi, quando incontrava mio padre per strada, lo “rapiva” letteralmente per trascorre un poco di tempo con lui.
    Non voglio neppure soffermarmi sulla sterile polemica riguardanete la sua sessualità, né sui giudizi etici o morali che anche qua sono stati formulati in maniera del tutto grossolana, senza tener conto del fatto che – grazie a Dio – gli uomini non sono – come diceva D’Annunzio – tante teste di chiodi sotto i martelli dei chiodaioli.
    Una cosa però voglio dirla ai signori Busi e Annunziata: Lucio era un grande, non solo nella musica ma anche nella vita; loro sono solo dei pigmei.

  57. @ Tomaso:
    Tomaso, ciao!
    Io non ho conosciuto Lucio Dalla bene come te ma, ogni volta che l’ho incontrato, “rapiva” (sì, vero, proprio come dici tu) anche me e chi con me. Persino il mio cane! Le faceva un fracco di feste, era uno spasso.
    Aveva sempre una parola per tutti, l’ho visto fermarsi a parlare con i bimbi che giocavano per strada, e scherzare con loro.
    Penso che per questo Giovanni che “parla con chiunque gratis” lo avrebbe apprezzato parecchissimo.

    Per quello che può valere, ti abbraccio.

  58. Stavo da qualche mese con un uomo e un giorno ho scoperto che teneva per l’Inter. Mica se ne vergognava, mica non parlavamo, mica non m’interessava. Ora, che qualcuno sia gay o non sia gay per me è un po’ come essere dell’Inter. Non c’è bisogno che si puntellino i cartelli, con freccette-disclaimer.
    Io non mi presento dicendo Ciao sono Pina ho fatto l’amore sempre con lo stesso uomo o Azzurra, piacere, mi piacciono i dobberman e i feticisti. Perché non è importante. Perché a me, di te, poco importa, quali cazzi, quanti cazzi, dove cazzi. Secondo me serve un passo ulteriore: che se ne possa parlare, ma tanto, a sfinimento, se si vuole, impudicamente, con i dettagli, le parolacce, le foto sconce su facebook; ma che se ne possa con altrettanta libertà non parlare, perché ci sarà qualcosa d’altro di interessante da dirsi, no? Perché poter tacere una cosa che si può dire è una libertà più succosa, astratta dal retaggio del dover dichiarare. Si dichiarano le problematicità alla dogana, non necessariamente che mi fa godere.

  59. Giovanni Fontana scrive::

    Fabio Venneri scrive::

    : se fare coming out significa rispondere a quella domanda e non farsi problemi ad andare in giro per bologna mano nella mano, è una cosa.

    Sì, significa dire “Pippo è il mio compagno” e non “Pippo è un mio collaboratore”.

    Significa far arrivare la nozione “Dalla è omosessuale, e non c’è nulla di male” anche alla casalinga di Voghera.

    Questo passaggio mi era proprio sfuggito. Ma che meraviglioso ragionamento! E se fosse proprio Pippo a non voler fare sapere al mondo che è omosessuale? Che si fa? Uno se ne frega e lo dice ugualmente per dare un esempio alla casalinga di Voghera e una soddisfazione a dei “pigmei del pensiero”? Avevo già detto che qua sono stati formulati giudizi in maniera grossolana: questa ne è la conferma.

  60. io credo che lo spunto “cronachistico” di giovanni va preso per quello che è – uno spunto. quindi non si vuole certo parlare di Lucio Dalla e dare giudizi morali ad personam. almeno non credo che fosse il tema del post.

    credo invece che il tema sia, nello specifico, se un omosessuale famoso abbia o meno il dovere morale di fare coming out. il tutto si basa su alcune assunzioni che diamo per buone. Le due assunzioni base sono: 1) che a seguito del coming out il benessere generale della società migliorerebbe e 2) il personaggio che fa coming out sosterrebbe un costo.

    Entrambi gli effetti (aumento del benessere collettivo, costo indivudale) non sono quantificabili.

    Il resto (ma forse mi sbaglio) non è molto rilevante. Prendiamo ad esempio l’Inter. Dire di essere dell’Inter aumenta il benessere collettivo? E’ quello il punto. Facciamo il caso che siamo all’Olimpico di Roma, l’aria è tesa, ci sono 99.000 romanisti incazzati e 1.000 interisti terrorizzati. Siamo nel 2020, Totti è in pensione ed arriva allo stadio con la seconda moglie, Stella, che è interista. Totti e Stella sono amatissimi dai tifosi. I tifosi sospettano che Stella non sia una tifosa romanista o forse non sia tifosa per nulla, ma tendenzialmente non se ne curano. Se Stella, ringraziando il pubblico per l’ovazione, dicesse “Grazie a tutti e vinca il migliore. Sapete, devo confessarvi che il mio cuore è diviso, perchè io tengo per l’Inter. Ma il calcio è bello perchè si può essere amici nella vita e avversari sul campo”.

    Bene, probabilmente un gruppo piccolo o grande di romanisti incazzati continuerebbe a terrorizzare i minoritari interisti e forse perderebbero la stima per Stella o per Totti. Ma supponiamo che anche solo un piccolo numero di romanisti si rammolisca e smetta di terrorizzare un interista.

    C’è però il rischio (un tot %) che qualche scalmanato accoltelli Stella. Diciamo che il rischio normale di essere accoltellato all’Olimpico quel giorno è 0.1%. Per Stella, in quanto VIP protetta e riconosciuta, è, diciamo, dello 0.01%. Per un interista prima del coming out di Stella è 10%. Per Stella dopo il coming out è 1%. Per un interista dopo il coming out di Stella è 8%.

    Se qualcuno sa fare i conti (io no), si può tirar fuori il costo per Stella e il beneficio per gli interisti (ammettiamo che la delusione dei romanisti sia irrilevante nell’analisi costi/benefici).

    Ma in ogni caso non sapremo se Stella dovrebbe o non dovrebbe farlo, perché non sappiamo qual è il criterio moralizzatore di giovanni.

    Se io adesso mi alzo da questo pc e vado a spedire 1000 euro a giovanni

    Di questo stiamo parlando, non se mio cugino è interista o se a me piacciono gli spaghetti cacio e pepe.

  61. @ Giovanni Fontana:
    Spero tu mi stia prendendo in giro: hai idea delle conseguenze che ha il gesto di outing? Hai idea delle conseguenze che si hanno quando tutti fanno la raccolta differenziata? E soprattutto: come fai a dire che esporre in pubblico un fatto privato comporterebbe addirittura uno sforzo minore?!

  62. fabio scrive::

    Certo. E se no che ci sono venuto a fare? 🙂

    Che bello! Allora ti chiedo scusa.

    fabio scrive::

    Immagino anche tu.

    Naturalmente.

    fabio scrive::

    per quanto per cambiare idea ci vuole tempo, raramente ci si riesce nell’ambito di una singola discussione.

    Beh, no. Per esempio tu hai scritto che il criterio con cui valutare questa cosa è il seguente.

    Giovanni Fontana scrive::

    Quando si parla della propria pelle, delle proprie ossa e delle propie sofferenze i doveri verso gli altri passano in secondo piano.

    Secondo me è molto facile mostrarti come non sia un principio affidabile, e quindi farti cambiare idea.

    Immagino il primo esempio stupido che mi viene in mente: sei a conoscenza del fatto che una bomba esploderà fra mezz’ora in una scuola, ma per andare ad avvertire di evacuare quelle 500 persone, devi passare attraverso dei rovi. Non credo che avresti alcun dubbio a scegliere o no se intervenire, nonostante siano in gioco la tua pelle e le tue sofferenze.

    Come vedi – e come quest’esempio se ne potrebbero fare altri 99 – le proprie sofferenze e quelle che si causano/evitano agli altri devono essere, sempre, commisurate.

  63. Tomaso scrive::

    Non voglio neppure soffermarmi sulla sterile polemica riguardanete la sua sessualità

    L’unico che si è soffermato sulla sua sessualità, almeno qui, sei stato tu (e, forse, lui stesso). Qui non è stata proprio trattata.

    Tomaso scrive::

    Una cosa però voglio dirla ai signori Busi e Annunziata: Lucio era un grande, non solo nella musica ma anche nella vita; loro sono solo dei pigmei.

    Per la serie “dare giudizî sulle persone che non si conoscono”.

    L’idea stessa che anche una sola, minuta, critica a una persona che si stima sia inaccettabile e si senta il bisogno di riaffermare “è un grande”, come se qualcuno avesse messo in dubbio l’intera moralità di una persona, è idolatria e manicheismo, non raziocinio.

  64. Lalla scrive::

    Stavo da qualche mese con un uomo e un giorno ho scoperto che teneva per l’Inter.

    È spesso utile commentare un post, ma se lo si fa bisognerebbe almeno leggerlo e rispondere alle argomentazioni che sono espresse in esso, confrontarsi con le cose che ci potrebbero dare torto.

  65. Tomaso scrive::

    E se fosse proprio Pippo a non voler fare sapere al mondo che è omosessuale? Che si fa? Uno se ne frega e lo dice ugualmente

    Sì, ancora una volta: tanti altri sono più importanti di sé stesso.

    (per inciso, come cosa personale, io se fossi omosessuale non m’innamorerei di una persona che non faccia coming out: io voglio accanto a me soltanto le persone che mi vogliono bene indipendentemente dalla mia sessualità. Se qualcuno cambierebbe atteggiamento sapendomi omosessuale, non c’è altro da pensare che non: meglio perderlo che trovarlo)

  66. roberto scrive::

    o credo che lo spunto “cronachistico” di giovanni va preso per quello che è – uno spunto. quindi non si vuole certo parlare di Lucio Dalla e dare giudizi morali ad personam. almeno non credo che fosse il tema del post.

    credo invece che il tema sia, nello specifico, se un omosessuale famoso abbia o meno il dovere morale di fare coming out.

    Naturalmente è così.

    roberto scrive::

    Prendiamo ad esempio l’Inter. Dire di essere dell’Inter aumenta il benessere collettivo? E’ quello il punto. Facciamo il caso che siamo all’Olimpico di Roma, l’aria è tesa, ci sono 99.000 romanisti incazzati e 1.000 interisti terrorizzati. Siamo nel 2020, Totti è in pensione ed arriva allo stadio con la seconda moglie, Stella, che è interista. Totti e Stella sono amatissimi dai tifosi. I tifosi sospettano che Stella non sia una tifosa romanista o forse non sia tifosa per nulla, ma tendenzialmente non se ne curano. Se Stella, ringraziando il pubblico per l’ovazione, dicesse “Grazie a tutti e vinca il migliore. Sapete, devo confessarvi che il mio cuore è diviso, perchè io tengo per l’Inter. Ma il calcio è bello perchè si può essere amici nella vita e avversari sul campo”.

    Bene, probabilmente un gruppo piccolo o grande di romanisti incazzati continuerebbe a terrorizzare i minoritari interisti e forse perderebbero la stima per Stella o per Totti. Ma supponiamo che anche solo un piccolo numero di romanisti si rammolisca e smetta di terrorizzare un interista

    Esempio esemplarmente esemplare.

  67. dtm scrive::

    Spero tu mi stia prendendo in giro:

    Neanche un po’. E dovresti rispondere sul punto (che diavolo c’entra “se la fanno tutti”?).

    Il beneficio di una persona che fa la raccolta differenziata, in una casa, in un comune, in una provincia, in una regione, è pressoché nullo.
    Il beneficio che può avere per tantissimi ragazzi, e figli, dal sapere che uno dei loro cantanti preferiti, o quello dei loro genitori, è omosessuale, è diffusissimo.

  68. Peraltro non servono i rovi per illustrare che il bene altrui richiede a volte che si debba soffrire. l’obbligo di non mentire a un processo, ad esempio, col rischio di far condannare un innocente. Si potrebbe essere costretti a un coming out o a confessare (quanti telefilm americani…) l’affaire con la moglie del tuo miglior amico.

    ma ci sono cose quotidiane, ogni giorno, centinaia, in cui ci sentiamo in dovere di subire piccoli o grandi costi per il benessere altrui – dal tenere bassa la musica se sai che la vecchia di sotto dorme a evitare di fermare con un calcio il bambino che ci sta venendo incontro col triciclo pur sapendo che l’impatto sarà doloroso.

    Il punto non è quello. È nella misurabilità e nella esaustività del criterio.

  69. tutto ciò però, onestamente, mi sembra abbastanza scontato, altrimenti non esisterebbe proprio la possibilità che per *dovere* uno sia costretto a fare rinunce, sacrifici o addirittura sopportare dei costi anche gravi. gli esempi sono miliardi, non centinaia. dal divieto di uccidere uno che sta per darci una bastonata al divieto di rubare una macchina perchè altrimenti si arriverebbe in ritardo al matrimonio del figlio con cui ci si è riappacificati dopo vent’anni.

    mi sembra più divertente, invece, mettere a dura prova la regola dell’altruismo (ma senza affermare cose non vere, del tipo che se una cosa mi dà fastidio allora non sono moralmente costretto a farla, suvvia).

    ad esempio.

    un pazzo sadico ha preso in ostaggio e sta per torturare un’intera classe della scuola materna e io sono il maestro della classe. il pazzo mi dice che lascerà stare i bambini e si consegnerà alla polizia se io mi spoglio nudo, vado sul balcone e canto Il ballo del qua qua davanti alle telecamere della tv.

    Diciamo che è abbastanza accettabile dire che è giusto che io lo faccia.

    Poniamo che il sadico è più sadico di così e vuole che io mi metta nudo sul terrazzo e mi faccia schiaffeggiare da lui con forza.

    Diciamo che è ancora accettabile dire che è giusto farlo.

    Poniamo che non è un pazzo sadico che vuole torturare dei bambini, ma un creditore sadico di mio fratello che minaccia di prendergli tutto se lui non lo paga (e lui non può pagarlo) salvo che io mi faccia schiaffeggiare nudo sul terrazzo mentre canto Il ballo del qua qua.

    Qui la cosa comincia a essere complicata. Dopotutto mio fratello sti debiti li ha contratti volontariamente, cosa va cercando? Però cosa saranno per me quattro schiaffi per la felicità di mio fratello? Boh, chi lo sa.

    Mettiamo che il creditore è uno complicato e mi dice che del debito di mio fratello di 100.000 euro è pronto a rinunciare in tutto o in parte a seconda del mio sacrificio. Se ballo nudo sul balcone, rinuncia a 10 mila. Con gli schiaffi, a 20 mila. Con la mutilazione di una falange, 30 mila. Con l’amputazione di una mano, 40 mila. Di due mano, 50 mila. E così via fino alla morte, rinuncia totale.

    Giovanni dice di voler distribuire le mie decisioni su una scala graduale. Non fare niente è la scelta più immorale, farsi amputare due mani è la scelta morale media, sacrificare la propria vita è la scelta più morale.

    E’ evidente che qualcosa puzza, no?

  70. roberto scrive::

    E’ evidente che qualcosa puzza, no?

    No, qui ti sbagli: l’altruismo, comunemente inteso (non quello di Comte), ha il limite ultimo nel valutare gli altri quanto te. Quindi sì, farti tagliare una mano per fare sì che due mani non vengano tagliate (a parità di colpe/responsabilità/condizioni), no farti tagliare una mano per dare dei soldi ad altri (a meno che tu non valuti la tua mano valere meno di quella cifra).

    Questa parità può essere espressa in modo immediato (io valgo quanto gli altri) o anche più complesso (la vita di un medico che ha appena fatto una scoperta con la quale può salvare mille persone vale più della mia), ma rimane il massimo. È chiaro che valutare gli altri più di sé è del tutto immotivato.

    Naturalmente nessuno è così perfetto da valutare gli altri quanto sé, e per questo parlo della gradualità, e della soglia di altruismo/etica che ognuno richiede da sé e dagli altri. A quanto pare dalla discussione, la soglia che tu ed io richiediamo è più alta di quella che richiedono altre persone qui.

    Ma mi sembra che qui c’è il rischio di divagare in una discussione accademica che interessa solo gli utilitarian consapevoli e definiti.

  71. Giovanni Fontana scrive::

    Il beneficio di una persona che fa la raccolta differenziata, in una casa, in un comune, in una provincia, in una regione, è pressoché nullo.

    Come evadere le tasse, ma al contrario. Eppure è molto grave non farlo: di per sè crea un danno piccolo, il solo atteggiamento (l’esempio) è deleterio per tutti.

    Giovanni Fontana scrive::

    Il beneficio che può avere per tantissimi ragazzi, e figli, dal sapere che uno dei loro cantanti preferiti, o quello dei loro genitori, è omosessuale, è diffusissimo.

    Ho seri dubbi. Ma forse son pregiudizi miei.

    Comunque quel che mi ha lasciato basito è questo:
    dtm scrive::

    come fai a dire che esporre in pubblico un fatto privato comporterebbe addirittura uno sforzo minore?!

  72. Mi sa che c’è un misunderstanding. Che c’entrano i rovi, i pazzi torturatori e le stragi iperboliche? Mi sembra che stai estrapolando una frase da un contesto particolare applicandola un contesto generale (ammesso che generale lo sia davvero). Il tema centrale del thread, mi pare, è l’opportunità politica e l’eventuale dovere morale di portare la testimonianza della propria storia personale (e sessuale in particolare) all’interno del dibattito pubblico.

    “Quando si parla della propria pelle, delle proprie ossa e delle proprie sofferenze i doveri verso gli altri passano in secondo piano”. Cioè: quando in ballo-nel dibattito pubblico- c’è la propria storia personale e intima, le eventuali valenze politiche o sociali del proprio vissuto personale hanno una priorità minore rispetto al valore dell’autonomia dell’individuo. O se preferisci, contesto il fatto che il vissuto intimo personale di x sia in sé un terreno appropriato su cui sviluppare la discussione e il dibattito. Lo è solo a discrezione dell’interessato. Gli altri, in assenza del consenso dell’interessato, gli stanno facendo una violenza o tutt’al più stanno spiando dal buco della serratura (per inciso, qualcuno ha mai detto pubblicamente in faccia a Dalla “fai outing” quando era vivo? Se sì, non lo sapevo. E se no, non è un caso).

    Oppure secondo voi sono gli altri a stabilire quello che devi raccontare di te e della tua sfera intima per essere giudicato “eticamente” adeguato? E chi ha l’autorità di stabilire, una volta varcata la soglia del personale, cosa è pertinente? Non sarà “eticamente” opportuno, già che ci siamo, raccontare pubblicamente i propri traumi, le angosce e i ripensamenti? Non diventa importante capire se stiamo davvero raccontando la verità?
    E chi stabilisce che, visto che “il sessuale è politico”, non sia pertinente ai fini del dibattito anche farci raccontare i baci che abbiamo scambiato? Le penetrazioni? Quante volte, figliolo? Non sarà importante anche sapere se X è un gay attivo o passivo o se ha solo delle amicizie intense, se è impotente, se è un gay platonico o coprofilo o sadomaso o bisex? Non lo è, dite? E chi lo stablisce?
    Ripeto, a me sembra una discussione astratta e moralistica, che vuole ridurre l’irriducibile e insondabile complessità della vita psichica delle singole persone ad una scala “etica” monodimensionale e semplicistica.
    Sempre pronto a cambiare idea, beninteso.

  73. Fabio, non capisco se astratto e moralistico siano cose brutte, ma comunque. Di sicuro è una discussione, come dici tu, sul fatto se si abbia il dovere morale di raccontare il proprio delicato e intimo diffuso dinanzi all’eventualità che questo racconto migliori la vita di tante persone.

    È chiaro che è insondabile ció che questo comporta per il raccontatore. Su questo sono d’accordo con te ed è una critica abbastanza condivisibile all’utilitarismo. I costi e benefici di queste scelte sono incalcolabili. Ma anche le conseguenze delke noste azioni sono spesso inalcolabile.

    Non capisco invece il punto che il benessere degli altri fa n passo indietro rispetto alla mia privacy e al mio vissuto intimo.

    Succede anche per la falsa testimonianza? Se per testimoniare il vero devo confessare cose che mi tormentano, che hanno segnato la mia infanzia e la mia vita, che mi affollano gli incubi – che faccio? Le confesso? Oppure mento e affronto il rischio che un iinnocente sia condannato?

    Sono curioso di conoscere la tua riflessione.

  74. @ Giovanni Fontana:
    Sono nato e cresciuto in una famiglia di fondamentalisti religiosi, padre madre e sei fratelli e sorelle. io sono un illuminista utilitarista. Vogliono che mi sposi con il loro rito di abluzioni e promesse di fedeltà religiose. Accettare significa la felicità della mia famiglia (sono brave persone oltre che la mia famiglia) e un rito assurdo e noioso per me (rito che amici e parenti hanno fatto tutti). Rifiutare significa essere coerente con le mie idee filosofiche ma anche dispiaciuto per aver rotto con la mia famiglia. Che faccio? la mia coerenza vale la felicità di tutte quelle persone?

  75. roberto scrive::

    la mia coerenza vale la felicità di tutte quelle persone?

    La risposta, a mio giudizio è molto semplice. Da una parte sì, rendi felici i tuoi parenti nel breve periodo. Rifiutando dai un contributo alla secolarizzazione della società nel lungo periodo. Oltretutto, perché tu dovresti curarti così tanto delle loro scelte e loro non transigere sulle tue, peraltro più evolute e non dannose? Se tutti dessimo “il contentino” a chi è più chiuso di mente di noi, non avremmo alcuna evoluzione sociale. Pensala con un esempio un attimo più estremo: una donna che decide di guidare in Arabia Saudita. Darà sicuramente dispiaceri alla famiglia, non seguendo la morale di questi, tuttavia non può e non deve sottostare alla loro mentalità dogmatica, maschilista e malata per fare loro questo piccolo dono di felicità. Tu dovresti fare lo stesso. Se davvero stimi i tuoi parenti e vuoi loro bene, rispetta la loro intelligenza nel capire le tue scelte e nel mettersi in forse sui loro dogmi. Altrimenti li stai guardando dall’alto come faresti con dei bambini ottusi. E, comunque, i bambini ottusi vanno educati, non assecondati, se vogliamo che crescano bene.

  76. @ Valerio:
    perfetto. eccetto che per la parte educativa (ovviamente il problema parte dall’assunto artificioso che i parenti non cambiano idea e che io devo decidere solo per me e sulla base dei dati che ho illustrato), la tua risposta è esattamente la mia risposta. però è anche la critica più forte all’utilitarismo di giovanni. alla fine, l’utilità generale è un criterio buono per tutte le stagioni. o meglio: è un criterio buono per coprire altri criteri, tipo intuizioni morali oppure visioni del mondo oppure criteri più complessi (tipo la laicità o la secolarizzazione) di difficile discernimento (io potrei dire che la religione è utile per il mondo e non la secolarizzazione, come peraltro sosteneva Bentham, padre dell’utilitarismo). In fondo, ahimè, bisogna tornare a quello che diceva Marx nel Capitale contro Bentham: l’utilitarismo, ok, ma per l’utilità di chi? Dire che è giusto fare ciò che aumenta il benessere collettivo è come dire che è giusto ciò che è giusto. non ci dice nulla nel merito su cosa fare e cosa no.

  77. @ roberto:
    Immagino che il punto sia irrilevante. L’utilitarismo è sempre positivo se considerato come roberto scrive::

    ciò che aumenta il benessere collettivo

    Il fatto che sia la secolarizzazione o la religione (nell’esempio) a portare questa utilità, beh, dipende dal punto di vista di ognuno. Per questo si discute ed esistono dati e statistiche. Dal mio punto di vista questo dovrebbe essere sufficiente a convincersi che la religione sia un male, tuttavia sono sempre pronto a ricredermi. L’importante è che si agisca avendo come obiettivo quello sopracitato. Si è sempre in tempo a cambiare idea.

    Purtroppo non sono ferrato in materia come voialtri, perciò dovrai (se ti va: a me farebbe molto piacere) spiegarmi in maniera più elementare come faccia l’utilità generale a coprire altri criteri.

  78. fabio scrive::

    . Che c’entrano i rovi, i pazzi torturatori e le stragi iperboliche? Mi sembra che stai estrapolando una frase da un contesto particolare applicandola un contesto generale (ammesso che generale lo sia davvero).

    Come che c’entra? È proprio il punto della discussione. Non mi sembra di aver estrapolato la frase da un contesto che gli avrebbe dato un altro significato, se l’ho fatto – me ne scuso, non era certo intenzionale – prendi pure il contesto e attaccacelo, e spiegami come la frase

    “Quando si parla della propria pelle, delle proprie ossa e delle propie sofferenze i doveri verso gli altri passano in secondo piano.”

    possa reggere all’esempio che ho fatto.

    Avrei altre cose da dire – anche a me sembra che l’uso che fai di moralismo sia un po’ generico –, ma ho imparato che è meglio affrontare una questione alla volta.

    Dimmi se sei d’accordo che (maiuscolo mio):

    “ANCHE quando si parla della propria pelle, delle proprie ossa e delle propie sofferenze i doveri verso gli altri RIMANGONO in PRIMO piano.”

  79. @ Valerio
    non sono ferrato neppure io. stiamo dicendo la stessa cosa (come si dice in questi casi): l’utilità generale è sempre un bene, il problema è capire qual è l’utilità generale e qui servono altri criteri (in questo senso dico che “copre” altri criteri). Temo che non basti la statistica e che l’utilità è una cosa difficilmente misurabile. Inoltre, può scontrarsi con valori cui riconosciamo una “superforza” (o, se vogliamo, a cui riconosciamo punteggi altissimi di utilità). Oppure può costringerci ad ammettere che a volte l’utilità non può sommarsi e sottrarsi, perchè il giusto e il non giusto appartengono anche ad altri regni.

    Ci sono mille paradossi in materia. Uno celebre è quello del giudice che deve decidere di un innocente, mentre tutta la città è impazzita e assedia il tribunale per linciarlo. Lei sa che è innocente, ma sa anche che in caso di assoluzione la folla farà irruzione e ucciderà diverse persone. La scelta è tra far condannare a morte (o far linciare) un innocente o far linciare un numero imprecisato (di sicuro > 1) di innocenti.

    E via discorrendo. Se facciamo l’aritmetica bisognerebbe condannare l’innocente (conta che condannarlo o lasciarlo linciare potrebbero avere valenze morali molto diverse), ma qualcosa ci dice che è sbagliato. Cioè la cosa in sè – condannare l’innocente .- è moralmente ingiusta anche se forse le sue conseguenze sono, per l’utilità collettiva, migliori dell’alternativa.

    Forse, eh.

  80. roberto scrive::

    Sono nato e cresciuto in una famiglia di fondamentalisti religiosi, padre madre e sei fratelli e sorelle. io sono un illuminista utilitarista

    Io esito sempre a definirmi utilitarista perché ogni studente al primo anno di filosofia ha i suoi 5 knockout arguments contro l’utilitarismo che, fresco fresco, ha appena imparato. Ora, a meno di non dare per scontato che gli altri siano dei completi scemi (è un po’ la stessa cosa che definirsi agnostico anziché ateo), uno dovrebbe pensare che se l’obiezione è così ovvia, forse allora non è proprio di questo che sta parlando l’utilitarista in questione.

    Ti dico questo perché l’esempio che fai è, precisamente, l’esempio che viene a bagnare i miei fiori. È precisamente l’opposto: chi, anche in questa discussione, difende la scelta privata di una persona famosa di non parlare/aiutare della propria omosessualità, sarà la stessa che difenderà la scelta di sposarsi in Chiesa senza crederci a dispetto del benessere collettivo (naturalmente sempre che la persona che si sposa consideri la secolarizzazione come benessere collettivo, ma è di questo che stiamo parlando: altrimenti il problema non si pone). Il tuo esempio sarebbe valido soltanto se:
    A) nessun altro fosse presente al matrimonio
    B) nessuna persona esterna, da lì in poi, venisse a conoscenza del luogo e delle forme con cui si è celebrato il matrimonio
    C) fossimo tutti certi che, l’indomani, i parenti dei celebrati morissero tutti immediatamente sul colpo

    In una fattispecie così assurda mettersi su un piano morale superiore, e decidere “tu sei più stupido di me, non sei in grado di mostrarmi le tue ragioni, né di comprendere le mie, ma decido di darti il contentino” sarebbe la scelta migliore: l’esempio più facile è la vecchina in punto di morte – è chiaro che a lei, che sta per morire nel giro di ore, non dici “guarda che Dio non esiste, in Paradiso non ci vai”.

    La prima obiezione “fresca fresca” all’utilitarismo, quella dell’imponderabilità delle scelte, è una sciocchezza, perché – naturalmente – le scelte non sono ponderabili allo stesso modo, ma nel momento in cui uno decide di non farla, una scelta, o di sospendere il giudizio, sta a sua volta facendo una scelta, sta esprimendo un giudizio, in questo senso fa una scommessa senza esserne consapevole. Allora è meglio essere consapevole.

  81. roberto scrive::

    ma qualcosa ci dice che è sbagliato.

    Al di là dell’esempio che fai, su cui avrei altre considerazioni da fare, quando “qualcosa ci dice che è sbagliato”, dobbiamo ignorare questo qualcosa, perché è sempre – inevitabilmente – o qualcosa che ci è stato insegnato, o qualcosa che siamo biologicamente portati a pensare.

    In altre parole, delle illusioni etiche, come esistono le illusioni ottiche. Poi uno ci ragiona su, e capisce che una scala non può scendere e salire allo stesso momento.

  82. @ roberto:
    Ti ringrazio per la spiegazione. Inizio dall’esempio, però, che in quanto tale è più facilmente comprensibile. Immagino che i dubbi del giudice debbano essere sempre e comunque riguardanti il benessere collettivo. Ovvero non posso accontentare una folla inferocita solo perché folla, altrimenti ne andrebbe delle basi del diritto. Un po’ come la storia del matrimonio di cui sopra. Nel lungo periodo il mantenimento del principio di giustizia contro il furore di una folla vale sicuramente di più. Altrimenti la giustizia diventerebbe sottomessa al volere popolare. E non vogliamo questo.

    roberto scrive::

    Se facciamo l’aritmetica bisognerebbe condannare l’innocente (conta che condannarlo o lasciarlo linciare potrebbero avere valenze morali molto diverse)

    E’ un’aritmetica statica, che non considera la dinamicità della società né il suo estendersi oltre il caso esemplificativo. Per questo, limitata e, se non considerato il contesto, si potrebbe giungere a conclusioni sbagliate.

    roberto scrive::

    può scontrarsi con valori cui riconosciamo una “superforza” (o, se vogliamo, a cui riconosciamo punteggi altissimi di utilità)

    Lo dubito. Quale che sia il trade-off, ci si chiede se nel futuro la mia scelta vada nella direzione del benessere sociale o meno. Non esiste altra “superforza”.

  83. Giovanni Fontana scrive::

    Io esito sempre a definirmi utilitarista perché ogni studente al primo anno di filosofia ha i suoi 5 knockout arguments contro l’utilitarismo che, fresco fresco, ha appena imparato. Ora, a meno di non dare per scontato che gli altri siano dei completi scemi (è un po’ la stessa cosa che definirsi agnostico anziché ateo), uno dovrebbe pensare che se l’obiezione è così ovvia, forse allora non è proprio di questo che sta parlando l’utilitarista in questione.

    Vabbè, questa introduzione meriterebbe un punto nell’elenco delle risposte vietate su Distanti Saluti :)(in altre parole, è un’introduzione tutta retorica!)

    Ti dico questo perché l’esempio che fai è, precisamente, l’esempio che viene a bagnare i miei fiori. È precisamente l’opposto: chi, anche in questa discussione, difende la scelta privata di una persona famosa di non parlare/aiutare della propria omosessualità, sarà la stessa che difenderà la scelta di sposarsi in Chiesa senza crederci a dispetto del benessere collettivo (naturalmente sempre che la persona che si sposa consideri la secolarizzazione come benessere collettivo, ma è di questo che stiamo parlando: altrimenti il problema non si pone)

    .

    E’ ovvio che vengo a bagnare i tuoi fiori. Io sono intervenuto qui per provare a sollevare qualche dubbio sul fatto che con l’aritmetica delle utilità altrui si risponde a qualsiasi problema etico. Poi, però, sono arrivati i tuoi avversari che sostenevano che “nessun dovere può implicare che io debba fare una cosa dolorosa o spiacevole”, che è palesemente falso. Quindi ho voluto rispondere a queste osservazioni (il nemico del mio nemico eccetera non mi piace). Ma ora sono tornato e ce l’ho coi tuoi fiori.

    Il tuo esempio sarebbe valido soltanto se:
    A) nessun altro fosse presente al matrimonio
    B) nessuna persona esterna, da lì in poi, venisse a conoscenza del luogo e delle forme con cui si è celebrato il matrimonio
    C) fossimo tutti certi che, l’indomani, i parenti dei celebrati morissero tutti immediatamente sul colpo

    Qui mi sembra interessante l’osservazione di valerio e cioè che l’aritmetica deve essere “dinamica” e non “statica”. Cioè, provo a riformulare, le scelte di principio hanno delle esternalità positiva e influenzano il modo in cui altre scelte simili vanno fatte e quindi nel lungo periodo hanno un’utilità maggiore dell’eventuale costo di breve periodo. Ok, sono molto d’accordo. E lo condivido.

    Però non tutti i problemi riguardano scelte di principio pedagogiche. Oppure le riguardano, ma in modo più complicato. Ad esempio, se durante la costruzione di un ospedale in africa che salverà la vita di 100.000 bambini, un operaio cade da un ponteggio e sta per atterrare su una trave che farà cadere tutto l’ospedale (e non ci sono i soldi per rifarlo), però io posso schiacciare un pulsante che aziona una ruspa che afferra con forza l’operaio prima che tocchi la trave, ma so che la ruspa lo ucciderà di sicuro (mentre atterrando sulla trave si salverà), che faccio? Uccido l’operaio per salvare 100.000 bambini? Anche nel lungo periodo potrebbe essere più utile che l’umanità scelga SEMPRE l’omicidio di 1 per la salvezza di 100.000, forse.

    Oppure: abbatto l’aereo che va verso le torri gemelle? Oppure il famoso nazista che mi dice di scegliere chi deve uccidere tra 2 miei figli e se non scelgo li ammazza entrambi?

    La prima obiezione “fresca fresca” all’utilitarismo, quella dell’imponderabilità delle scelte, è una sciocchezza, perché – naturalmente – le scelte non sono ponderabili allo stesso modo, ma nel momento in cui uno decide di non farla, una scelta, o di sospendere il giudizio, sta a sua volta facendo una scelta, sta esprimendo un giudizio, in questo senso fa una scommessa senza esserne consapevole. Allora è meglio essere consapevole.

    Scusa ma questa è ‘na cazzata. Stai dicendo che il nazista ideologicamente convinto che mi butta nel forno è moralmente preferibile del passante che nel dubbio se gli ebrei sono davvero il male si astiene per ignavia dall’agire?

  84. @ Giovanni Fontana:
    Qualcosa mi dice che è sbagliato non era letterale (cioè ho un’intuizione irrazionale che), era un modo per dire “secondo me è sbagliato ma mo’ non ti spiego perchè”.

  85. Giovanni Fontana scrive::

    L’unico che si è soffermato sulla sua sessualità, almeno qui, sei stato tu (e, forse, lui stesso). Qui non è stata proprio trattata.

    che strano ero convito che i termini omosessuale o eterosessuale, che compaiono ogni due righe in tutti questi post, riguardassero la sessualità… evidentemente mi sbagliavo.

    Giovanni Fontana scrive::

    Per la serie “dare giudizî sulle persone che non si conoscono”.
    L’idea stessa che anche una sola, minuta, critica a una persona che si stima sia inaccettabile e si senta il bisogno di riaffermare “è un grande”, come se qualcuno avesse messo in dubbio l’intera moralità di una persona, è idolatria e manicheismo, non raziocinio.

    Come ha capito male, caro Giovanni! Io non giudico inaccetabile la critica ad una persona che che stimavo e che mi era amica. E se mi avesse letto bene avrebbe capito cosa intendevo rivolgendomi ai signori Busi ed Annunziata, che hanno creato per i loro “scopi” un “caso mediatico”, riuscendoci benissimo. Lei ha giustamente scritto nel suo post: “Io non so se Dalla fosse omosessuale, non sappiamo se Marco Alemanno fosse il suo compagno (e, non essendone certi, penso che i giornali abbiano fatto bene a non riportare tale informazione: questa sì, mi sembra una polemica inutile).” Ma questo è proprio il contrario di quello che hanno fatto i succitati signori, dando per certa una cosa che loro – al pari di lei – non sanno e non possono sapere. Lei giustamente ha scritto “Dire che Dalla è omosseuale, non è un’offesa”. Ed è giustissimo… però potrebbe essere una “bufala”. E per me due persone che costruiscono un caso mediatico attorno a una cosa che potrebbe essere una bufala, atteggiandosi come coloro “che sanno”, sono due pigmei del pensiero.

    Giovanni Fontana scrive::

    Sì, ancora una volta: tanti altri sono più importanti di sé stesso.
    (per inciso, come cosa personale, io se fossi omosessuale non m’innamorerei di una persona che non faccia coming out: io voglio accanto a me soltanto le persone che mi vogliono bene indipendentemente dalla mia sessualità. Se qualcuno cambierebbe atteggiamento sapendomi omosessuale, non c’è altro da pensare che non: meglio perderlo che trovarlo)

    Qua la prego di spiegarmi meglio, perché potrei avere frainteso: lei dice che se io Tomaso ho una relazione con Pippo, che però non vuole fare sapere agli altri la propria omossesualità, dovrei fregarmene di Pippo, dire al mondo che sono omossessuale e “trascinarlo” con me contro la sua volontà?

  86. «Dimmelo tu, ti sfido, rispondimi: immagina che tocchi a te innalzare l’edificio del destino umano allo scopo finale di rendere gli uomini felici e di dare loro pace e tranquillità, ma immagina pure che per far questo sia necessario e inevitabile torturare almeno un piccolo esserino, ecco, proprio quella bambina che si batteva il petto con il pugno, immagina che l’edificio debba fondarsi sulle lacrime invendicate di quella bambina – accetteresti di essere l’architetto a queste condizioni? Su, dimmelo e non mentire!»

    «No, non accetterei», disse Alëša sommessamente.

    «E potresti accettare l’idea che gli uomini, per i quali stai innalzando l’edificio, acconsentano essi stessi a ricevere una tale felicità sulla base del sangue irriscattato di una piccola vittima e, una volta accettato questo, vivano felici per sempre?»

    «No, non posso accettare questa idea. Fratello».

    F. M. Dostoevskij, I fratelli Karamazov

  87. @ Luca:
    mi sembra la più elegante chiosa al punto sui valori che hanno una “superforza”. Se nell’aritmetica delle utilità attribuiamo alla vita dell’innocente un valore infinito (superforza), allora non c’è utilità collettiva che tenga. E’ come dire che ci sono certi “beni” che non possono essere scambiati (non possono rientare nell’aritmetica dell’utilità).

  88. roberto scrive::

    Vabbè, questa introduzione meriterebbe un punto nell’elenco delle risposte vietate su Distanti Saluti :)(in altre parole, è un’introduzione tutta retorica!)

    Non è vero. È sostanza, e lo dimostrano le obiezioni successive.

    roberto scrive::

    però io posso schiacciare un pulsante che aziona una ruspa che afferra con forza l’operaio prima che tocchi la trave, ma so che la ruspa lo ucciderà di sicuro (mentre atterrando sulla trave si salverà), che faccio? Uccido l’operaio per salvare 100.000 bambini?

    Se sei certo – quindi è un’ipotesi di lavoro, non la realtà – che quello sarà l’esito nei due casi, non c’è alcun dubbio. Davvero causeresti la morte di 99mila persone per un principio… uhm, quale principio?

    roberto scrive::

    Stai dicendo che il nazista ideologicamente convinto che mi butta nel forno è moralmente preferibile del passante che nel dubbio se gli ebrei sono davvero il male si astiene per ignavia dall’agire?

    Ma neanche un po’, e allora vuol dire che mi son proprio spiegato male, perché non c’entra davvero nulla con quello che stavo dicendo.

    Tu obietti alla numerabilità del tradeoff: come si fa a sapere se fare coming out dà più beneficio a cento persone che non maleficio a te? Come faccio a sapere quale sarà l’esito di una cosa?

    Questa è un’obiezione monca, perché nel momento in cui dici che “non si può sapere” non stai obiettando a “è sicuro che sarà così”, ma a “la cosa più probabile è questa”. Il altre parole, nel momento in cui dici, ad esempio, “non si può sapere se fare coming out faccia beneficio eccetera”, stai dicendo appunto che NON farà beneficio, perché hai una decisione da prendere.

    L’alternativa che proponi, in sostanza è del tutto equivalente quanto ad affidamento alla numerabilità.

  89. Tomaso scrive::

    che strano ero convito che i termini omosessuale o eterosessuale, che compaiono ogni due righe in tutti questi post, riguardassero la sessualità… evidentemente mi sbagliavo.

    Il sarcasmo è perdente, perché usarlo?
    Nella fattispecie, nessuno ha questionato la sessualità di nessuno. Come vedi – diamoci del tu, dài – nessuno ha discusso l’eterosessualità o l’omosessualità di nessuno.

    Qui stiamo discutendo, con opinioni diverse, quali siano i doveri etici (di e nei confronti di) alcune minoranze discriminate. Ma nessuno questiona il loro essere, o il loro diritto a essere, omosessuali.

    Tomaso scrive::

    Busi ed Annunziata, che hanno creato per i loro “scopi” un “caso mediatico”, riuscendoci benissimo.

    Non è costume di questo piccolo angoletto di internet accusare di malafede gli altri. Mi farebbe piacere se anche chi interviene si attenesse allo stesso principio.

    Tomaso scrive::

    Qua la prego di spiegarmi meglio, perché potrei avere frainteso: lei dice che se io Tomaso ho una relazione con Pippo, che però non vuole fare sapere agli altri la propria omossesualità, dovrei fregarmene di Pippo, dire al mondo che sono omossessuale e “trascinarlo” con me contro la sua volontà?

    Ho detto due cose:
    A) Che Pippo ha un dovere (meglio, una spinta) etico a fare coming out.
    B) Che io, Tomaso, non vorrei stare con un Pippo che non faccia coming out.

    Nel caso A) analizzo formalmente quali sono le conseguenze di un’azione.
    Nel caso B) ne valuto le conseguenze che, a mio personale modo di vedere, stanno sotto alla soglia dell’eticità che io richiederei alla mia compagna/o di vita. Ripeto, come detto dall’inizio, che questo secondo punto è personale, perché l’altezza della soglia richiesta da ciascuno di noi varia.

  90. roberto scrive::

    mi sembra la più elegante chiosa al punto sui valori che hanno una “superforza”.

    @ Luca:

    Ecco, proprio questo intendevo, nel paragrafo che tu – Roberto – definivi retorico. Quanto sono misere le argomentazioni alle quali Alëša soccombe? Moltissimo, perché non si confrontano con una sola controargomentazione. Basta provare a sostituire “l’edificio del destino umano” con “la sofferenza di 5 bambini” e il sillogismo comincia a scricchiolare. Se poi si sostituisce, a 5, 10 – o 100, o 1000 – cosa viene fuori?

    Queste obiezioni all’utilitarismo da prima lezione del primo corso di etica sono povere, non si confrontano con l’altrui argomento ma con una brutta copia di esso. Del resto, qual è l’alternativa? La deontologia. Il surrogato del fideismo. “non ammazzare”, perché? Perché me l’ha detto papà. Non andiamo più avanti di lì?

  91. Giovanni Fontana scrive::

    roberto scrive::
    Vabbè, questa introduzione meriterebbe un punto nell’elenco delle risposte vietate su Distanti Saluti :)(in altre parole, è un’introduzione tutta retorica!)
    Non è vero. È sostanza, e lo dimostrano le obiezioni successive.

    ma che sostanza! allora lo dico pure io: se l’obiezione alle mie obiezioni all’utilitarismo è così ovvia, allora (salvo che tu pensi che io sia scemo) forse vuol dire che le mie obiezioni non sono così come te le stai figurando (e lo dimostra quello che scrivo sotto). e via seguitando.

    rDavvero causeresti la morte di 99mila persone per un principio… uhm, quale principio?

    non uccidere un uomo innocente? non lasciare linciare un innocente? non torturare il terrorista che sa dov’è la bomba che può uccidere 1000 persone? oppure non lo torturiamo solo per questioni pedagogiche?

    Tu obietti alla numerabilità del tradeoff: come si fa a sapere se fare coming out dà più beneficio a cento persone che non maleficio a te? Come faccio a sapere quale sarà l’esito di una cosa?
    Questa è un’obiezione monca, perché nel momento in cui dici che “non si può sapere” non stai obiettando a “è sicuro che sarà così”, ma a “la cosa più probabile è questa”. Il altre parole, nel momento in cui dici, ad esempio, “non si può sapere se fare coming out faccia beneficio eccetera”, stai dicendo appunto che NON farà beneficio, perché hai una decisione da prendere.
    L’alternativa che proponi, in sostanza è del tutto equivalente quanto ad affidamento alla numerabilità.

    Non voglio dire cose astruse, ché ne ho già dette abbastanza. Ma mi sembra che tu passi con disinvoltura dal piano metodologico (o meta-etico) a quello etico vero e proprio. Cioè: “l’obiezione non si può misurare il beneficio” è un’obiezione al metodo – cioè è un’obiezione al perché il criterio del beneficio (chiamiamolo utilitarismo) ci lascia con dei grossi problemi. Non è un’obiezione a una scelta piuttosto che un’altra.

    Vignetta n. 1 (Dell’Etica)

    Roberto: Allora, fai coming out o no? Facendolo ne beneficerebbe tantissimo 1 milione di persone.

    Giovanni: Non lo faccio, perché non so se è vero oppure no che ne beneficerebbero tantissimo 1 milione di persone.

    (Qui stai scegliendo, come dici tu.)

    Vignetta n. 2 (Della Meta-Etica)

    Roberto: Allora, fai coming out o no? Facendolo ne beneficerebbe tantissimo 1 milione di persone.

    Giovanni: Non credo che il beneficio collettivo sia un criterio corretto per decidere se fare o meno coming out, perché non posso misurarlo e quindi è un criterio troppo vago che si può riempire con i (veri) criteri che piacciono alla gente, come Bentham faceva con la religione, che sosteneva essere utile. Ciò detto, faccio coming out (ovvero: non faccio coming out) perchè [eccetera eccetera, secondo il tuo criterio, es. il Papa è contro la pubblicità dell’omosessualità]

  92. @ Giovanni Fontana:
    Io non so qual è l’alternativa. Forse è un mix di cose. Del tipo utilitarismo salvo alcuni valori storicamente determinati che si ritengono essere “superutili” o non negoziabili, tipo l’omicidio volontario di un innocente, la tortura o che so io.

    O forse non c’è alternativa. Appena la trovo, ci scrivo un saggio.

  93. Giovanni Fontana scrive::

    Queste obiezioni all’utilitarismo da prima lezione del primo corso di etica sono povere

    Ah, e basta con sto primo corso di etica, il primo anno di filosofia eccetera. Io ho fatto giurisprudenza!

    (Anche questa è una roba da lista delle risposte vietate, un po’. Tacciare gli argomenti altrui di essere cose da principianti. Se sono così primo-anno-di-, allora distruggile. Poi se vuoi passiamo al sesto corso di etica e vediamo perchè certi problemi dell’utilitarismo forse dipendono dall’intransitività di certe scelte basate su processi multicriterio: tipo teorema di Arrow, insomma, ma non quello del voting paradox).

  94. Lei, ha scritto che io ho fatto del sarcasmo: evidentemente vuole ad ogni costo vedere in me un atteggiamento malevolo. Io ho semplicemente fatto dell’ironia. Ma tant’è… è come dire che io accuso i signori Busi e Annunziata di essere in malafede. Cosa assolutamente non vera; lei se ne sarebbe certo reso conto, se non si fosse limitato ad estrapolare quella piccola frasetta dove io parlo di “scopi”. Avrei potuto usare il termine “battaglie”… ma la sostanza rimane la stessa: il caso mediatico è stato ugualmente montato (questo è un dato di fatto) per portare acqua da una parte alla polemica contro la “Chiesa ipocrita” (sono le esatte parole della signora Annunziata) e dall’altra al coming out, che loro – come lei del resto – considerano “dovere (meglio, una spinta) etico” di ogni omosessuale. E tutto questo come se, mi ripeto, gli esseri umani fossero tante teste di chiodi sotto i martelli dei chiodaioli.

    Mi rendo altresì conto che – probabilmente – lei crede di scorgere in me un atteggiamento malevolo per la mia ostinazione a darle, appunto, del “lei”. Se è così, mi dispiace, ma non posso farci nulla. La mia età (non molto lontana da quella di Lucio) e la mia “formazione professionale” mi rendono davvero molto difficile dare del tu alle persone che non conosco.

    Termino il mio intervento ringraziandola (oltre che per la sua “accoglienza” su questo spazio) per la spiegazione datami sul suo predente intervento: per il caso A) non avevo alcun dubbio; mentre per il caso B) le confesso che l’avevo completamente fraintesa.

  95. roberto scrive::

    ma che sostanza! allora lo dico pure io

    Beh, dipende se credi alla buona fede dell’interlocutore. Se credi a quel che dico, immaginati che – molto spesso – s’incontrano persone che, come pensando di aver scoperto l’argomento definitivo, dicono cose che sono state debunkate mille volte.

    roberto scrive::

    (Anche questa è una roba da lista delle risposte vietate, un po’. Tacciare gli argomenti altrui di essere cose da principianti. Se sono così primo-anno-di-, allora distruggile.

    Anche qui vale la stessa considerazione di prima, però mi rendo conto che risulta antipatica la reiterazione, che ho effettivamente praticato. Me ne scuso.

    Si vede che sono esasperato da questo tipo di risposte e ti ho, impropriamente, sovrapposto quell’atteggiamento.

    roberto scrive::

    oppure non lo torturiamo solo per questioni pedagogiche?

    Esatto.

    C’è anche una bella discussione nei commenti:
    http://www.distantisaluti.com/torturati-dai-dubbi/

    roberto scrive::

    Vignetta n. 2 (Della Meta-Etica)

    Roberto: Allora, fai coming out o no? Facendolo ne beneficerebbe tantissimo 1 milione di persone.

    Giovanni: Non credo che il beneficio collettivo sia un criterio corretto per decidere se fare o meno coming out, perché non posso misurarlo e quindi è un criterio troppo vago che si può riempire con i (veri) criteri che piacciono alla gente,

    In realtà anche questo è un criterio etico (senza il meta), perché tu non stai dicendo “non si può misurare”, stai dicendo “non si può avere la certezza che la misura sia precisa” (giusto?). È facilmente dimostrabile con esempî semplici (li lascio immaginare a te, che sembri essere più fecondo d’immaginazione) che forse non possiamo sapere quale sia la risposta giusta, ma sappiamo certamente qual è la risposta sbagliata, e sappiamo che alcune risposte sono più sbagliate di altre.

    Sostanzialmente tu stai dicendo: non essendo il criterio della felicità complessiva misurabile precisamente ne vorrei usare un altro. Fai due errori: uno è quello di confondere la mancanza di risposte in principio con la mancanza di risposte in pratica. La felicità complessiva non manca di misura, manca di strumenti per misurarla. Non è che perché non hai il termometro, la temperatura coroporea non è sopra a 37°. In secondo luogo – e connesso al primo – decidi di non usare quel criterio, che ti sembra il più valido (altrimenti obietteresti al criterio, non all’efficacia), perché esso è immisurabile. Ma questo è sostanzilmante un appeal to consequences.

    roberto scrive::

    Io non so qual è l’alternativa. Forse è un mix di cose. Del tipo utilitarismo salvo alcuni valori storicamente determinati che si ritengono essere “superutili” o non negoziabili, tipo l’omicidio volontario di un innocente, la tortura o che so io.

    In base a quale principio? Al fatto che lo “senti”?

  96. Giovanni Fontana scrive::

    roberto scrive::
    oppure non lo torturiamo solo per questioni pedagogiche?
    esatto

    quindi se nessuno lo viene a sapere e se il tizio viene poi ucciso e/o non può dirlo a nessuno, la tortura va bene?

    In realtà anche questo è un criterio etico (senza il meta), perché tu non stai dicendo “non si può misurare”, stai dicendo “non si può avere la certezza che la misura sia precisa” (giusto?). È facilmente dimostrabile con esempî semplici (li lascio immaginare a te, che sembri essere più fecondo d’immaginazione) che forse non possiamo sapere quale sia la risposta giusta, ma sappiamo certamente qual è la risposta sbagliata, e sappiamo che alcune risposte sono più sbagliate di altre.

    Bah. Capisco il tuo approccio “minimal” e non dico che non sia di buon senso, per carità. Tu dici (se capisco): non ho in mano della roba per poter scrivere l’Etica Nicomachea 2.0, però ho un “framework spannometrico” che diciamo nell’80% dei casi mi sa dare un orientamento ragionevolmente che in media posso decente.

    Però io credo che sia una roba metaetica. Ma non interessa molto. Purtroppo però il “rigore” che è richiesto a una dottrina che vuole dire cosa è giusto fare e cosa non è giusto fare è (a ragione) un rigore particolarmente rigoroso. Mi sta benissimo l’etica fallibilista e spannometrica che prende atto dei limitati mezzi che abbiamo. Ma sappiamo che essendo fallibilista può essere un buon metro personale o un buon metodo di buona educazione dei figli o di consigli agli amici (già è ottimo, grasso che cola), ma forse scricchiola la come sistema normativo universale. Questo era il mio unico scopo.

    Non è che perché non hai il termometro, la temperatura coroporea non è sopra a 37°

    .

    Ma se ho una pillola da prendere solo se è sopra i 37° e se invece è sopra i 38° e la prendo uguale mi viene un crampo per 3 ore ai testicoli, qual è il criterio per prendere la pillola? Se il tuo criterio deve fondare una scelta, la non-misurabilità è essenziale: ovviamente la temperatura sarà o sopra o sotto i 38.

    In ogni caso, per l’utilità c’è anche un tema di totale eterogeneità dei fattori. Metti che in una discoteca c’è, una data serata, una riunione dell’Associazione Sadomaso Italiana, Sezione Dominati Incalliti e dell’Associazione Peace & Love, Sezione di Grotaferrata. Non sai in che numero gli uni e gli altri. Ma sai che hai in mano una frusta e puoi andare in giro a menargli a tutti. La frustata (input identico) non avrà lo stesso output medio di utilità per gli Incalliti e i Grottaferrata (oltre a non saper misura in assoluto qual è questa utilità, potresti in qualche caso non sapere neppure se è affatto utile).

    In secondo luogo – e connesso al primo – decidi di non usare quel criterio, che ti sembra il più valido (altrimenti obietteresti al criterio, non all’efficacia), perché esso è immisurabile. Ma questo è sostanzilmante un appeal to consequences.

    Non credo che sia così. Il nostro problema è decidere se un determinato criterio (l’incidenza sull’utilità collettiva) è un criterio valido o meno per giudicare quale tra x comportamenti possibili è eticamente migliore. E’ quindi un’obiezione assolutamente valida quella di dire che il criterio non è valido in quanto l’utilità collettiva non è misurabile. Se il criterio ha dei grossi problemi applicativi, questo è un problema per la validità stessa del criterio, che deve servire proprio all’etica applicata. Non ci sono criteri validi in sé, la loro validità deve riguardare anche le conseguenze della loro applicazione. Non è quindi un appeal to consequences manco per niente.

    In base a quale principio? Al fatto che lo “senti”?

    Non lo quale principio, te l’ho detto. Non ho le risposte. Sollevo questioni e sollevo difese minime. Non vorrei ritrovarmi troppo debole da essere sopraffatto dall’etica del pensiero debole.

  97. Dimmi se sei d’accordo che (maiuscolo mio):
    “ANCHE quando si parla della propria pelle, delle proprie ossa e delle propie sofferenze i doveri verso gli altri RIMANGONO in PRIMO piano”

    Non sono d’accordo.
    La frase mia aveva un senso diverso che continua ad essere declinato in modo un po’ forzato (parlavo di “narrazione di sé”, ma vabbè, andiamo avanti, anche se non è proprio secondario), ma in ogni caso non sono d’accordo nemmeno con la versione 2.0 della frase. Almeno se è messa così. Dipende da quali sofferenze e da quali doveri (e all’atto pratico, che ci piaccia o meno, da quali altri). Se invece di RIMANGONO ci metti “POSSONO ESSERE POSTI A SECONDA DEI CASI”, ci sto. Per me il caso di specie non è uno di quei casi.

    I principi etici non sono validi su una scala lineare (perlatro pochissimi meccanismi e fenomeni nel mondo “reale” si sviluppano su scale lineari, direi). Il principio che è valido su una scala (la megacatastrofe incombente) è non solo quantitativamente, ma anche qualitativamente diverso da quello valido sulla scala (ad esempio) dell’utilità della comunicazione sociale. Il principio dell’utilità etica (che è solo probabile e controversa) di un’affermazione come un outing non è comparabile coi principi in gioco di fronte ad un’emergenza colossale. Sono qualitativamente diversi. Almeno per me.

    Ma soprattutto, io non metto l’accento sul”accusato”: io lo metterei sull”accusatore”. Ci si chiede: Dalla ha un dovere di “esternare?” Io ribatto: “tu società hai diritto a esigere notizie e a lamentarne l’assenza?” Per me, chiaramente no. Perché la richiesta di outing è in conflitto con lo stesso principio in nome del quale si richiede un intervento. Si vuole combattere una violenza esercitando una violenza-e anche il giudizio “non lo ha detto, ok, ma se lo diceva era più fico” è per me un malcelato biasimo. Ripeto: qualcuno a Dalla glielo ha reclamato in faccia, ‘sto benedetto outing, da vivo? E se no (come credo), è un caso?

    Busi dice: “x è un personaggio famoso. Io però ho saputo che è gay. Quindi, affermo che egli tacendo è venuto meno ad un dovere morale”. Quindi, secondo Busi, X -e il prossimo in genere- deve rendere conto della propria sessualità alla comunità, in nome della morale e del bene comune. Deve render conto anche degli aspetti che non recano danno al prossimo. Arrivando a due conclusioni paradossali:
    1) il suo gesto diventa speculare ed uguale nella sostanza a quell’ingerenza nel privato che crede di combattere (la società che chiede conto della propria sfera intima, un po’ come quando si appendeva il lenzuolo macchiato di sangue alla finestra dopo la prima notte di nozze, perché la verginità era considerata un bene extrapersonale e in qualche modo collettivo).
    2) per Busi, essere omosessuali e non dirlo diventa un motivo di biasimo morale, indipendentemente che si sia famosi o meno (per inciso, essere famosi non è una colpa, come essere omosessuali), il che a me pare palesemente ridicolo (e “quanto” devo essere omosessuale per sentire il dovere di dirlo?). A questo punto, meglio essere etero…lo dico o non lo dico, nessuno mi giudica.
    Provate a declinare questa situazione ad altri contesti legati all’autonomia dell’individuo: l’aborto (una femminista negli anni 70 avrebbe avuto un dovere etico di abortire pubblicamente in nome della causa?), l’eutanasia (un malato terminale, nel dubbio, avrebbe un “dovere” maggiore a ricorrere all’eutanasia in nome della causa?), ecc ecc. CI si infila sempre in pastrocchi.
    Insomma, quando si parla di ossa, pelle, sesso, si sta parlando di sfera emozionale e di biologia, ambiti in cui l’essere umano funziona in modo complesso e poco lineare, appunto. Il giudizio morale certamente non può essere mai del tutto sospeso, e beninteso anche quando si vince una grande paura o si affronta una grande fatica si deve fare i conti con la propria biologia. Ma la sfera intima è talmente un caso a sè che il giudizio deve tenerne conto, essere cauto e difficilmente può essere riferibile ad un sistema totalizzante, chiuso o addirittura binario.
    Nemmeno quello del “fare del bene agli altri vs farlo a se stessi”. Che è un’antinomia a volte apparente.

    un caro saluto

    p.s. la “felicità complessiva” non esiste. Non so che vuol dire.
    p.p.s. nè “astratto” ne “moralistico” sono parolacce, ma spie d’allarme, sì.
    p.p.p.s. Diffido in genere degli esempi morali con le bombe atomiche, i terroristi, i grassoni legati sulle rotaie del treno che morendo salvano il treno dalla catastrofe ecc ecc. Sono divertenti e anche utili, ma costringono a conformarsi alla loro (il)logica e non sono affatto così “definitivi” come il loro carattere apocalittico suggerirebbe.

  98. @Giovanni Fontana

    per me spesso scarti troppo frettolosamente l’importanza ed il peso di quello che “sentiamo” che devi essere disposto a fattorizzare nella scelta etica . non e’ tutto marcio o irrilevante perche’ non possiamo
    -per limiti nostri- metterlo sempre in un frame utilitaristico. mi pare che cosi rischi davvero di scartare bambino ed acqua sporca.

    ci sono cose che sentiamo per le quali non abbiamo una riposta razionale immediata, delle intuizioni etiche che non sappiamo da dove vengono (ancora? mai?). si deve essere disposti ad ammettere un limite pragmatico, altrimenti diventa astrazione filosofica. per questi intuizioni etiche a volte abbiamo ipotesi evolutive e che a mio avviso
    devono essere integrate nel calcolo utilitaristico, che altrimenti perde di realismo. L’alternativa e’ fare della ginnastica logica per giustificare a posteriori in un frame utilitaristico rigido (e.g. non posso uccidere mia sorella anche se ne va la vita di milioni perche’ vivere in un mondo che me lo richiede mi genera ansia ed abbasserebbe la felicita totale) una scelta che di fatto e’ -come dici te- piu’ deontologica (non uccido mia sorella perche’ me lo ha detto papa’ o dio), si’ ,ma con una probabile giustificazione biologica (dimostrabile dal fatto che -a meno di essere sociopatici- esistono delle resistenza istintive all’atto stesso): e cioe’ che l’atto richiesto dal calcolo utilitaristico e’ contro la nostra natura e i passati 200 mila anni di storia evolutiva, e che solo ideologia ed indottrinamento possono aver annacquato.

  99. @Max
    Può essere che non sia stato molto chiaro, e nel controbattere a cose un po’ vaghe abbia preso un atteggiamento un po’ estremista. Però le cose che dici io le penso tutte. Il fatto che le illusioni cognitive siano come le illusioni (esempio preso qua: http://www.ted.com/talks/lang/it/dan_ariely_asks_are_we_in_control_of_our_own_decisions.html carina, ma non c’entra nulla), mica vuol dire che le intuizioni sbaglino sempre. Anzi, la nostra vista vede bene spessissimo, e ci è indispensabile per capire le cose nell’immediato: evitare un fuoco, una macchina che ci viene incontro, etc. Quello che dico io è che essa non è la giustificazione: è possibile che, nella maggior parte dei casi, ciò che dice l’intuizione sia positivo, ma essa non ha valore dimostrativo (quindi non ce l’ha normativo).

    Se tu mi dici: penso questo perché lo dice l’intuizione, hai torto, e basta. Se tu dici penso questo, e me lo dice anche l’intuizione, è molto probabile (ma non certo) che tu abbia ragione. Ci sono casi, le illusioni, in cui invece sbaglia.

    Il discorso che fai sull’uccidere tua sorella è solamente una sovrastruttura (legittima, necessaria) che tu costruisci sul frame utilitaristico. E io sono d’accordo con te. Però è diverso dire: cosa ti può chiedere la società, da cosa è più etico.
    Un altro esempio è il miglior biologo che sta ricercando la cura per l’aids rispetto a un white trash qualunque. È chiaro che, alla società, in termini utilitaristici è molto più utile il primo. Però noi vogliamo vivere in una società nella quale la pena per l’uccisione del primo vale quanto la pena per l’uccisione del secondo. E questo rientra precisamente in un frame utilitaristico.

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