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Se andate matti per le statistiche, e per le cartine – oltre che per il calcio – il link per seguire i Mondiali è questo. E poi, una volta lì, cliccare tutto il cliccabile.
poveri i bambini che finiscono nella squadra avversaria
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Se andate matti per le statistiche, e per le cartine – oltre che per il calcio – il link per seguire i Mondiali è questo. E poi, una volta lì, cliccare tutto il cliccabile.
Il sottotitolo del mio blog ha una storia particolare, molti lo interpretano male, come una considerazione filosofica sulle sorti dei meno fortunati, è invece – molto semplicemente – ciò che mi scrisse un vecchio amico che capitò sul mio blog quasi per caso. Ci eravamo persi di vista – in realtà non eravamo mai stati così vicini – e lui iniziò a leggere di me, e delle mie partite a pallone con i bambini, quando facevo il volontario in Palestina. Mi scrisse:
A volte, se ci penso, non riesco a immaginare persona più diversa e più distante da me, di te. Non c’è nulla di più lontano da me del tuo impegno politico, del tuo stare a discutere per ore di argomenti di cui, per carità riconosco l’importanza, ma da cui sono così distante da non riuscire, anche ragionandoci, a essere più vicino alla tua opinione rispetto a quella del tuo interlocutore o viceversa.
Mi manca il tuo fervore, il tuo volerla spuntare nel gioco quotidiano della retorica (ma in generale in qualsiasi gioco ti si sottoponga… poveri i bambini che finiscono nella squadra avversaria!), la tua speranza del fatto che qualcosa, seppur di infinitesimale, possa cambiare alla fine della discussione, in questa povera piccola Italia, in questo povero piccolo mondo.
L’icona con cui espresse il suo concetto mi piacque molto, quasi mi commosse. Nell’immagine di questo cialtrone ventiseienne, di quasi due metri in mezzo a ragazzini alti la metà, che ci gioca a pallone e non gl’importa che quelli abbiano un quarto dei suoi anni, e non ne sconta una, e cerca con tutto di vincere – no, Ahmed, è fallo di mano! – beh, lì c’è tutto me.
E credo sia uno dei ritratti più affettuosi che mi abbiano mai fatto.
Così decisi che doveva essere il sottotitolo del mio blog.
Ve lo racconto ora perché, al mio amico, non va benissimo: è un periodo in cui, più di altri, ha bisogno – non vi preoccupate, nulla di grave, nulla di irrimediabile – di quel fervore, del volerla spuntare nel gioco quotidiano, e soprattutto ha bisogno di quella fiducia che qualcosa possa cambiare. Così gli dedico questo post.
Jospeh Hasboun è un palestinese con un grande ingegno e senso degli affari – qui una piccola intervista che gli avevo fatto per l’Unità. Al tempo si era inventato di dipingere il menù del suo ristorante sul Muro che divide Gerusalemme da Betlemme, poi visto il successo aveva aperto un bar e sul Muro ci aveva appeso anche quello del bar.
Ora, per i Mondiali, se n’è inventata un’altra delle sue:
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Alcuni avranno pensato che sono pazzo, gli altri non se ne saranno accorti: tutti questi segnacci che faccio (È É î – « ») dove li vado a pescare? No, non mi metto a fare “inserisci simbolo copia e incolla” né a fare Alt 145 ogni volta. È il tipo di cosa che qualcuno sa e dà per scontato, e gli altri considerano una stupenda novità sconvolgente. Per i secondi, lo dico.
Ci sono dei programmini per rimappare la tastiera, e scegliere a che lettera o simbolo deve corrispondere ogni tasto. Quelli smanettoni possono cercarsi il proprio, e riconfigurare la propria tastiera come vogliono; però ho pensato che a qualcun altro – più pigro o meno capace – potrebbe interessare il file d’installazione della mia tastiera, così ve l’allego qui sotto, per chi lo volesse.
La tastiera è la classica tastiera italiana con le 6 modifiche che interessano a me:
Bisogna cliccare qui -> TASTIERA AGGEGGIATA <-
È un file zip da salvare (salva con nome) ed estrarre da qualche parte (tasto destro sul file, estrai) dopodiché bisogna cliccare su “setup” contenuto nella cartella e installare. Dopo aver fatto quest’operazione bisogna andare sulle impostazioni della lingua e scegliere come lingua predefinita “italiano – custom” oppure “italiano – aggeggiato”. A quel punto la nuova tastiera sarà quella predefinita e basterà riavviare perché entri in funzione.
*di lineette ce ne sarebbero diverse, particolare l’uso in inglese: l’approssimazione a due – lunga-corta – mi sembra la migliore.
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E che ve lo dico a fare? Però ve lo dico lo stesso. Andare in bicicletta a Stoccolma è la dimostrazione che, in fondo, la specie umana ha discrete potenzialità di civiltà.
A parte che piste ciclabili dappertutto, anche su ponti che sembrano autostrade. Automobilisti che nn si permetterebbero mai di suonarti perché non gli lasci il passo nel primo istante. Ancora più importante, pedoni che non hanno paura: sanno che è responsabilità tua evitarli, e sanno che lo farai. Tutti, in pratica, si aspettano che tu sia in bici.
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>per Il Post<
Corso di Alfabetizzazione Sentimentale Obbligatoria – Prof. du Lac – 8° lezione
Cari studenti,
vediamo di completare il glossario amoroso studiato la scorsa settimana.
GELOSIA – È importante precisare che per “gelosia” – la sciocchezza (cfr Lezione VI) – non si intende la sofferenza per l’abbandono della persona che si è amata: quella è del tutto normale, e sana, oltre che significativa. Una persona che perde colui o colei che ama soffrirà moltissimo, è perfino scontato dirlo. Gelosia, qui, è il tentativo di impedire alla persona amata di seguire la propria volontà, il complesso degli atteggiamenti che sono disposti – al costo di renderla infelice – a castrarla, cercando in ogni modo di allontanarla dai proprî desiderî, dimostrando di fatto di non amarla davvero.
VOLONTÀ – È fondamentale, quindi, rendersi conto di una cosa: ciò che abbiamo a cuore è la volontà della persona che amiamo, le sue propensioni e le sue aspirazioni. E, d’altra parte, ciò che noi desideriamo e a cui aspiriamo è la coincidenza fra noi e la felicità della persona che amiamo. Non vorremmo mai che lei stia con noi controvoglia, che l’unica ragione per cui quella persona ci sta accanto sia un vincolo posticcio. Se il nostro fine è cercare di allontanare, o nasconderle, un possibile termine di paragone stiamo decidendo che lei non ci scelga. Quando la scelta si fa, appunto, tutti i giorni: ed è una scelta smaccata – deliberata e volontaria.
SACRIFICIO – Se così non fosse, se non usassimo la volontà come metro, dovremmo concludere che l’amore sia solamente un sacrificio. L’idea che il problema non sia desiderare di tradire, ma mettere in pratica questo desiderio, svilisce – nel fulcro centrale – l’essenza stessa dell’amore. Se io sono innamorato di una persona desidero che quella persona sia soddisfatta, voglio che possa fare le cose che la rendono felice: se le impedisco ciò che le piace, la sto condannando a sacrificarsi, a essere infelice per causa mia. Il problema è voler tradire, non è farlo.
IL SESSO – All’infuori del sesso chiunque concorda col ragionamento precedente: immaginate l’assurdità della frase “la persona che amo vorrebbe rubarmi del denaro, ma io mi accontento del fatto che non lo faccia perché impaurito dalle possibili ritorsioni”. Se due persone non sono tendenzialmente monogamiche, non c’è ragione per la quale questa debba essere una loro prerogativa. Un rapporto di coppia è un accordo fra due persone, ognuno può decidere quale sia il proprio spazio di esclusività: qualcuno imposta un rapporto entro il quale si va a letto con chiunque, però – beninteso – le ortiche si coltivano soltanto con il proprio compagno? Non c’è nulla di male. In questo caso coltivare le ortiche assieme a un’altra persona sarà considerata un’infrazione inaccettabile. L’importante è essere concordi, e non ingannarsi, poi è – quasi – soltanto questione di gusti.
POSSESSIVITÀ – Spesso si assimila il concetto di “possessività” con il concetto di “gelosia”. È un errore: non c’è nulla di male a desiderare che l’altro ci appartenga, anzi è una dimostrazione d’attaccamento. Voler abitare il mondo altrui, e considerarlo proprio – quanto e più del nostro – è un sintomo dell’amore: chi dice che un innamorato non dovrebbe possedere l’altro immagina un rapporto disumano e cinico. Ognuno vuole possedere l’amato, ed essere posseduto da esso: c’è una perfetta reciprocità. Se si vive l’essere in possesso dell’altro come castrazione, significa che il rapporto d’amore inizia a essere vissuto con fastidio e insofferenza. C’è un solo caveat: come dicevamo più sopra, questo possesso è subordinato alla volontà altrui – non parliamo di un oggetto, ma di una persona dotata di una volontà, vogliamo essere la prima delle sue priorità.
A.D. – Ipotissiamo che io sia innamorata di Paolo, desidero lui, e desidero essere il suo desiderio. Paolo, però, è innamorato di Luigina, la quale non lo contraccambia: accetterei di essere la ruota di scorta? Accetterei di stare con un Paolo che continui ad amare l’altra? E se anche mi condannassi ad accettare questa situassione, quale sarebbe il comportamento più sensato da seguire: cercare di convincere Paolo di essere meglio di Luigina oppure cercare di impedire che Paolo incontri Luigina?
E se un giorno Luigina decidesse che Paolo è la persona giusta, dovrei cercare d’impedire il loro incontro – già avvenuto nella testa – nei fatti? No, un addio da parte di Paolo mi porterebbe a stare malissimo, ma non vorrei mai essere un supplissio per la persona che amiamo, mai lo vorrei con me per sacrificio. Non potrei volergli così male dal desiderare che stia con me, nonostante io sia – per lui – l’infelicità.
Come scrisse Luigi: questo non è amore, è egoismo. Anzi, neppure amor proprio: perché si arrende all’essere scarto. È, invece, soltanto la muscolare competizione per avere il corpo – e non il cuore – di quella persona.
–
A.D. – Vi ricordo il compito per casa:
Vi state innamorando della fidanzata del vostro più caro amico. Che cosa fate?
Rispondete qui sotto, oppure nella cassetta del Prof.
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Steve Jobs ha detto che non vuole vivere in una nazione di blogger. In più ha aggiunto che oramai le persone sono bendisposte a pagare per le notizie. Io mi ero fatto l’idea che avesse torto su entrambe le cose, e anche quella che di questa mia opinione non interessasse a nessuno. Però visto che al Foglio mi hanno chiesto cosa ne pensassi io, assieme a tanti altri, ho provato a spiegar loro che secondo me è come una partita a calcetto:
C’è un sacco di gente che gioca a calcetto, di domenica sera. Qualcuno anche di mercoledì. Si diverte un sacco, e non pretende di essere pagata. Lo fa perché si svaga, perché così si conoscono tante belle persone, e anche perché confrontarsi sul campo è sano e utile. Poi, certo, ci sono quelli che giocano male, o che finiscono a insultarsi per un rigore non dato: ma io quelle partite non le vado a vedere, e sarebbe sciocco dare la colpa al calcetto se qualcuno gioca nel modo sbagliato. In fondo gioca chi vuole, e chi non vuole si dedica ad altro. Infine ci sono i calciatori che vengono pagati, perché sono più bravi degli altri – o almeno così dovrebbe essere – e quindi quello è il loro mestiere.
Perciò io non capisco perché Steve Jobs non voglia vivere in una nazione di giocatori di calcetto. Ma mi sa che quel ragazzo abbia saltato lo squalo da un po’: almeno da quando – con l’interdizione del porno su iPad – ha smesso di indovinare cosa poteva piacere ai suoi clienti, e ha iniziato a stabilire cosa doveva piacere loro. Di più: secondo me questa volta non l’ha neppure azzeccata. Se ne sono provate tante, principalmente tre: articoli a pagamento, donazioni degli utenti, e pubblicità. Jobs – con iPad – sta puntando sulla prima, quella che ha funzionato di meno: “la gente è disposta a pagare”. Bisognerebbe inventarsene una quarta e una quinta, ma nel frattempo – se dovessi puntarci un dollaro – io scommetterei sulle altre due. Insomma, passa la palla, Steve.
Qui l’articolo originale, con il contributo di altri giocatori di calcetto.
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Non avrei mai pensato di essere più tenero del dovuto con i cospirazionisti. Ho sempre detto che una persona per bene non crede ai complotti, perché il solo fatto d’immaginare un diabolico e arzigogolato piano orchestrato ai proprî danni, rende i contorni di una persona: significa, al tempo stesso, avere un’intelligenza diabolica per immaginarlo, e una disposizione d’animo sedotta dal male per crederlo vero. Vedere sempre un lato oscuro in ogni cosa, è un ottimo indizio della presenza di un lato oscuro in chi lo vede.
Leggendo questo articolo del New Scientist ho scoperto di essere stato perfino buono: ci sono diversi tipi di movimenti che rifiutano “la verità ufficiale”, declinandola in un piano di irrealtà fosca e paranoica, ma hanno tutti dei tratti comuni. Il rifiuto della realtà, è – il paradosso delle due cose assieme – un rifiuto della complessità, e un rifiuto della semplicità. L’analisi psicologica ed emotiva di chi è cagionevole a questo tipo di doppio pensiero è piuttosto spietata:
Qualunque cosa stiano negando, i movimenti negazionisti hanno molto in comune fra loro, non ultimo l’uso delle stesse strategie. Tutti si considerano come dei coraggiosi difensori degli oppressi che lottano contro un’élite corrotta legata a una cospirazione per sopprimere la verità, o per dare corpo a una malevola menzogna, ai danni delle persone normali. Il complotto è solitamente descritto come impegnato a promuovere un sinistro piano: che sia lo Stato del Grande Fratello, la conquista dell’economia mondiale, il potere dei governi sugli individui, il guadagno economico, o l’ateismo.
Il cospirazionismo è storicamente un riflesso del pensiero di destra, del conservatorismo contrario al progresso scientifico. Ne sono espressione il rifiuto dell’evoluzionismo, quello del riscaldamento globale, il collegamento fra HIV e l’AIDS o fra il tabagismo e il cancro. Tuttavia, come molte altre cose destrorse, sta attecchendo anche a sinistra, specie quando ci sono di mezzo gli americani: i complottisti dell’Undici Settembre, quelli che Armstrong non è mai stato sulla Luna, e così via.
C’è un’intera componente, in questi movimenti, che strizza l’occhio al populismo anti-elitario: che vede lo studio – e lo studio dei fenomeni – come un metodo per industriarsi ad abbindolare il prossimo. Gli “esperti” sono coloro che hanno più strumenti per nascondere la verità: emblematico il caso di un candidato al direttivo per l’educazione del Texas, Don McLeroy, che in un dibattito a favore del creazionismo si espresse con un nitido «qualcuno dovrà pur fronteggiare gli esperti!»
Alla fine dell’articolo ci sono 6 regole che il complottista-tipo usa – nella propria testa e al di fuori – per avvalorare la propria tesi e renderla inoppugnabile. Io ne aggiungerei una settima, che è quella più depressiva e manifesta in questo tipo di ragionamenti: qualunque evento darà ragione al proprio teorema complottista. Ciascuna cosa sarà prova del complotto, o del tentativo di nascondere il complotto. Se tu dici “Viva l’America!” è perché sei un agente della CIA, se dici “America schifo!” è perché stai cercando di nascondere che sei un agente della CIA. Così facendo, qualunque espressione della realtà – l’una, o quella contraria – dimostrerà il teorema paranoide.
Se – dice Kalichaman, psicologo che ha passato degli anni a studiare i movimenti negazionisti dell’HIV dal di dentro – le persone propense a credere a complotti e negazionismi sono, per buona parte, individui ordinarî e in buona fede, essi mantengono una fragilità del pensiero che li porta a manipolare pensieri attendibili e non. Non va così bene agli animatori dei movimenti negazionisti, per i quali la diagnosi è ancora peggiore:
Questi mostrano tutti i tratti del disturbo paranoide della personalità, incluso la rabbia, l’intolleranza alle critiche, e ciò che gli psichiatri definiscono come un grandioso senso della propria rilevanza nel mondo. In definitiva, il loro negazionismo è un problema mentale. È per questo che tutti questi movimenti presentano le stesse caratteristiche, specialmente nella sottesa teoria cospirazionista.
Né i capibastione né le truppe negazioniste mentono nel senso più convenzionale: sono intrappolati in ciò che gli studî delle nevrosi chiamano “pensiero sospettoso/diffidente”. Lo stile cognitivo dei negazionisti rappresenta un senso della realtà deformato, che è la ragione per la quale discuterci è del tutto inutile. Tutte le persone adattano il mondo al proprio senso della realtà, ma la persona sospettosa distorce la realtà con una rigidità fuori dal comune.
Ragazzi, non penseranno mica di darcela a bere?