Essere fieri di essere una scritta

Quando uno dice di essere fiero di essere italiano, lì per lì mi stupisco. Quanto è stato fortunato. Aveva solo una probabilità su cento di nascere italiano e, guarda un po’, è proprio nato in Italia. Poi penso che la fortuna non c’entra, penso che forse sarebbe stato fiero anche di essere un copertone. È veramente strano che tutti siano fieri di essere quello che sono. Fiero di essere italiano, fiero di essere sovrappeso, fiero di essere poco obiettivo.

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20 Replies to “Essere fieri di essere una scritta”

  1. questo post è brutto almeno quanto quello di azione giovani “da 3000 anni la terra dei padri” – prima forse c’era l’età dei nonni.

    Scusa, ma non mi dirai che non consideri miglior sorte l’essere nato in Italia che in Arabia Saudiana? Cosa diversa è farse un merito, ma rallegrasi, beh, direi che va bene.

    Altro argomento ad personam: senza il senso di appartenenza nazionale nessuna delle guerre delle democrazie per la democrazia sarebbe stata combattuta.

    Eppoi è un sillogismo sgangherato.

  2. @ Pietrino:

    aver scansato una catastrofe (ie essere nati in arabia saudita) non implica automaticamente l’essere fieri del paese d’origine e della propria “Italianita” (comunque la si voglia definire).

    e’ un po’ come rallegrarsi di essere cascati in un tombino stradale ed invece di essersi spaccati le gambe e la schiena ci si e’ solo sporcati di merda fino al collo….

    …merda rimane.

    ma c’e’ speranza…i confini sono ancora aperti.

  3. Pietrino scrive::

    Scusa, ma non mi dirai che non consideri miglior sorte l’essere nato in Italia che in Arabia Saudiana? Cosa diversa è farse un merito, ma rallegrasi, beh, direi che va bene.

    È diverso rallegrarsi dall’essere fieri, che ha necessariamente una forte componente di orgoglio di, come è diverso dire «ho lasciato la macchina aperta e non me l’hanno rubata: che culo!» dal dire «guarda che figo che sono, mio padre mi ha comprato una Porsche».

  4. Mi si perdoni: che castronata di post. Non tanto per l’attacco all'”essere fieri” ma per tutte le altre sciocchezze nel testo. L’ambiente (geografico, culturale, sociale) in cui si cresce ci plasma in maniere molto definite e riconoscibili .. dal modo in cui si concepiscono i rapporti e i rituali sociali (un inglese ha un modo di raffrontarsi alle altre persone diverso da quello di un italiano o di un americano o ancora di più di un cinese), alla lingua e quindi direttamente al modo di pensare (il modo in cui formulo concettualmente i pensieri dipende anche dalla lingua in cui parlo, per struttura grammaticale/metafore diventate comuni/proprietà del lessico), ai riferimenti culturali condivisi.
    Un messicano è diverso da uno spagnolo, anche se parlano la stessa lingua, perché la parlano in maniera diversa, perché hanno una storia diversa, perché le generazioni sono cresciute con riferimenti culturali diversi.

    Se esserne fieri non lo so; ma pensare che la nazionalità sia solo un’invenzione è pia illusione, per quanto ne possa capire le origini.

    Comunque non capisco che male ci sia nell’essere fieri di essere italiani. Significa anche essere fieri di aver imparato ciò che la propria società ci ha trasmesso, e ritenere che siano delle cose buone. Significa, in parte, essere fieri di sé stessi. Capisco il disfattismo cronico italiano, ma la nostra cultura non è così male.

  5. Luca Venturini scrive::

    Se esserne fieri non lo so; ma pensare che la nazionalità sia solo un’invenzione è pia illusione

    Quindi Luca, perdonami, l’argomento è che sarebbe tanto bello ma non è così?
    Cioè, non dici che è sbagliato, dici che è impossibile: in una discussione d’idee non è un grande argomento.

  6. L’argomento è che posso capire perché a volte viene da pensare che la nazionalità sia un problema e qualcosa di cui sarebbe meglio liberarsi (punto di vista istintivo dell’autore del post originale). Ma il fatto di desiderare che l’essere cresciuti in un luogo piuttosto che in un altro non ci definisca profondamente non cambia il fatto che lo siamo, per le ragioni che ho già esposto. E non si tratta quindi di discussione di idee, concetti – bensì di qualcosa di più concreto. Non necessariamente positivo, ovviamente, dato che ha creato tantissime tragedie.

  7. @ Luca Venturini:
    Eh, appunto: non dici che è giusto essere orgogliosi di essere italiani (o turchi), dici che è inevitabile esserne condizionati.

    Non ti do torto, neanche l’autore del post scommetterei: bisogna, però, cercare di fare sì che questo condizionamento sia il minimo possibile.

  8. Ok, però stai escludendo la chiusura del mio commento originale:

    Luca Venturini scrive::

    Comunque non capisco che male ci sia nell’essere fieri di essere italiani. Significa anche essere fieri di aver imparato ciò che la propria società ci ha trasmesso, e ritenere che siano delle cose buone. Significa, in parte, essere fieri di sé stessi. Capisco il disfattismo cronico italiano, ma la nostra cultura non è così male.

    Argomentando in maniera ulteriore: ora non metto in dubbio che il senso di fierezza possa perlomeno accecare di fronte ai propri difetti (tra le altre cose), ma non lo vedo come un sentimento del tutto negativo. Anzi, a guardare ad altri popoli, è mia opinione che un giusto grado di fierezza, di senso di appartenenza, sia fondamentale per una buona coesione della società.

    Altrimenti detto: se gli italiani fossero più fieri della propria nazione, obbrobri come quello della Lega non sarebbero mai nati, perché respinti di istinto. E magari non avremmo questo campanilismo assurdo che regna sovrano in molti luoghi.

    Poi, ovviamente, mi rendo conto che anche la Lega nasce da un senso di fierezza “nazionale” .. il problema origina dal suo voler essere esclusivo invece che inclusivo, e di comprendere solo una parte del Paese. Non è un discorso semplice.

  9. è mia opinione che un giusto grado di fierezza, di senso di appartenenza, sia fondamentale per una buona coesione della società.

    Altrimenti detto: se gli italiani fossero più fieri della propria nazione, obbrobri come quello della Lega non sarebbero mai nati, perché respinti di istinto. E magari non avremmo questo campanilismo assurdo che regna sovrano in molti luoghi.

    Cioè, in altre parole, non ti piace la Lega piccola, ma ti piace la Lega grande? Vuoi combattere il campanilismo marcato sui confini regionali, con il campanilismo marcato sui confini nazionali: che senso ha?

    Qualunque nazionalismo, fondato sul luogo di nascita e non sulla scelta, è necessariamente esclusivo.

  10. Calderoli Giovanni Fontana scrive::

    Cioè, in altre parole, non ti piace la Lega piccola, ma ti piace la Lega grande? Vuoi combattere il campanilismo marcato sui confini regionali, con il campanilismo marcato sui confini nazionali: che senso ha?

    ‘Est modus in rebus’, tanto per usare una frase latina: è importante il come, e il quanto. Il nazionalismo farlocco dei leghisti è deleterio, ma non perché si fonda su un senso di appartenenza (che, con misura, è sensato e anche benefico), quanto perché appunto vuole essere esclusivo (con parametri peraltro stupidi). Altri popoli hanno trovato equilibri più sani di questi.

    Giovanni Fontana scrive::

    Qualunque nazionalismo, fondato sul luogo di nascita e non sulla scelta, è necessariamente esclusivo.

    E infatti non ho mai detto di essere d’accordo con un nazionalismo del genere. Gente come Calderoli che grida al chiudere le frontiere (anche quelle del Po, sarebbe da domandargli), invece di riflettere sul fatto che Germania e Francia hanno vinto o vincono anche perché si sono aperti agli oriundi, be’, mi fanno amarezza.

    Giovanni Fontana scrive::

    Eh, appunto: non dici che è giusto essere orgogliosi di essere italiani (o turchi), dici che è inevitabile esserne condizionati.

    Non ti do torto, neanche l’autore del post scommetterei: bisogna, però, cercare di fare sì che questo condizionamento sia il minimo possibile.

    “Sia il minimo possibile”; essendo l’ideale cosa? Questo, onestamente, non riesco a capirlo, e mi piacerebbe sentire qual è il tuo “ideale” a cui tendere in questo senso.

  11. Luca Venturini scrive::

    Il nazionalismo farlocco dei leghisti

    Beh, farlocco ce lo metti tu. Il nazionalismo dei leghisti è esattamente un nazionalismo del campanile.

    Mi sembra che – diverse volte – altaleni da due concetti diversi: da una parte l’essere fieri di un posto, solo per il fatto di esserci nati. Se uno fosse nato in Francia farebbe lo stesso per la Francia. Questo, oltre che sciocco, è anche deleterio ed esclusivo.

    Se, invece, ciascuno di noi pensasse – sinceramente – che l’Italia è il miglior posto al mondo, è chiaro che sarebbe orgoglioso di vivere in Italia. Ma le due cose sono diversissime, anche perché è ridicolo pensare che tutti coloro che considerano l’Italia meglio siano nati in Italia.

    Invece gli Stati dovrebbero competere per quale è il migliore, per quello che attira maggiormente le persone: qui la vita è migliore, qui ci sono dei musei bellissimi, qui i mezzi pubblici funzionano, qui si hanno molti più diritti, etc etc.

    L’impigrirsi sulla componente di nascita è, anche, un dispositivo che peggiora il mondo. Sono algerino e sono orgoglioso di essere algerino, anche se il mio Paese sottomette le donne, impedisce agli omosessuali di vivere, non dà servizî, etc.: ma che senso ha? Solo quello di lasciare l’Algeria com’è.

    Luca Venturini scrive::

    mi piacerebbe sentire qual è il tuo “ideale” a cui tendere in questo senso.

    Ovviamente le frontiere aperte.

  12. Be’ qui sono io che di nuovo non capisco la tua opposizione tra fierezza per il posto in cui uno vive rispetto a quello in cui uno è nato. Se io nasco, e vivo, in Italia, non vedo perché non dovrei essere fiero del posto in cui sono cresciuto.

    Che poi: la bellezza di un posto non è solo nel modo in cui la gente (adulta) ci può vivere, ma anche nel modo in cui fa *crescere* i propri cittadini. Da bambini non si può scegliere.

    Per essere concreti: io sono fiero di vivere in un Paese che permette alla gente di avere, mediamente, un servizio sanitario nazionale; che protegge, anche se peggio di alcuni (non troppi) Paesi; che mi ha permesso di formarmi fino al livello universitario, in cui ho potuto vivere in un ambiente di libertà di formazione, discussione, insegnamento.
    Non siamo perfetti, e dobbiamo imparare da altri .. ma sono fiero di come (e dove) sono cresciuto. Il che non mi impedisce di pensare che siamo pieni di difetti da correggere, ovviamente, e che dobbiamo imparare dagli altri.

    Giovanni Fontana scrive::

    Ovviamente le frontiere aperte.

    Sì, ma da qualche parte si deve pure vivere, non si può girare all’infinito. Non è possibile a livello di società.

    Ultima nota: sembri ragionare come se gli individui fossero, tutti, in condizione di ragionare e riflettere e “decidere con i piedi”; ma questo non è vero; non lo è per i bambini. Sui quali l’ambiente di formazione è fondamentale.

    L’altro appunto è che, portandola sul piano “giuridico”, tu sembri considerare solo lo ius soli e reputare lo ius sanguinis una sciocchezza; quando per me, è corretto che entrambi vengano considerati.

  13. P.S.: essere “fiero”, in questo senso, significa anche un impegno costante a cercare di mantenere quello che c’è di buono, e migliorare quello che non lo è. Così che eventualmente anche la futura generazione possa essere fiera di noi, e del proprio Paese.

  14. @ Luca Venturini:
    A me sembra che sia tu a sovrapporre il dato anagrafico e quello di scelta.

    Luca, spiegami, tu pensi che bisogni essere fieri di essere nati in un Paese se si pensa che quello sia il miglior paese al mondo – o almeno uno dei migliori – o solo per il fatto di esserci nati?

    Nel primo caso sono d’accordo con te, ma direi che la più grande maggioranza delle persone non deve, perciò, essere fiero di dove è nato. Nel secondo caso mi sembra una cosa davvero stupida.

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