Il mister e il goleador parte seconda

interesse 2 su 5

Oggi Claudio Ranieri ha dimostrato di essere un allenatore molto più bravo di quanto non lo reputassi, dai tempi della Fiorentina di Sandro Cois. Ha rischiato ciò che a Roma può costare la gogna mediatica, ha preso una vera decisione, correndo il pericolo della piazza, che chi conosce un po’ il mondo delle radio romane identifica bene. Ha fatto quello che soltanto Capello era stato in grado di fare, mostrare il carattere da allenatore campione d’Italia: ha tolto Totti, ha tolto De Rossi. Ha lasciato in campo Vucinic, ha messo in campo Taddei.

La Roma aveva giocato in 10 fino a lì, perché quello col numero 10 sulla maglia non era sceso in campo. Ah, no, ora che mi ricordo: aveva fatto un tiro da Sei Nazioni nei primi minuti, poi era svanito come fa spesso – da tanti anni – nelle partite importanti. Al suo posto Menez, uno che fino a tre mesi fa lo guardavi in faccia e ti chiedevi “ma questo c’ha voglia di giocare a pallone?”, e ora fa ammattire le difese. E fuori De Rossi, dentro Taddei – un altro che fino a due mesi fa sembrava un ex-giocatore – il quale ha conquistato il calcio di rigore che ha dato il pareggio.

E poi Vucinic, sempre più goleador, con un gol su rigore, uno su una punizione che qualche tempo fa avrebbe provato a pennellare nel sette e che oggi ha scaraventato dentro alla Batistuta. Un Vucinic sempre più simile al giocatore più simpatico della Roma scudettata, Marco Delvecchio: sia per il ruolo, sia per il tipo di giocatore, sia come uomo-derby.

Ranieri ha dimostrato di avere il piglio e il carattere pervincere lo scudetto: ora io lo so che starete tutti facendo i peggiori scongiuri, ma domani vi spiego perché la Roma vincerà lo scudetto nonostante Francesco Totti.

Dall’Economist del 25 marzo 2000

interesse 3 su 5

Dieci anni fa – precisamente il giorno del mio compleanno di dieci anni fa –uscì sull’Economist quest’articolo che spiegava cosa fossero gli SMS. Oggi pressoché chiunque sa cosa sono gli sms, ma una decade fa erano il nuovo dispositivo della tecnica che si affacciava prepotentemente nel mercato della comunicazione. C’erano gli allarmismi sulla distruzione della lingua che avrebbero portato quelle abbreviazioni – fra dieci anni leggeremo “xke” sui quotidiani, vi ricordate? – e c’era chi cercava di spiegare che, come per moltissime novità, il terrore del nuovo faceva sopravvalutare i rischi.

Il paragone con la forzosa brevità dei telegrammi e delle piccole modifiche che aveva portato la necessità di risparmiare – Meriterebbe un posto negli aneddoti del lunedì, non fosse di dubbia veridicità, la storia del generale di Sua Maestà che per comunicare di avere conquistato la città indiana di Sindh scrive soltanto una parola, in latino, “peccavi”: ho peccato, in inglese I have sinned, che suona come I have Sindh; O ancor più difficile, per agglutinazione, con Oudh: Vovi, Giuro, I vow.

Dice che gli SMS erano una timida speranza perché i giovani riprendessero a scrivere. Avevano ragione, e leggerlo ora fa anche un po’ tenerezza.

(online non c’è il pezzo per intero, lo copio qui)

Linguistics: Short Message, New Language

2moro & 2moro & 2moro

ONE of the sad consequences of the death of the telegram was the disappearance of brevity as a communications skill. Because part of the cost of sending a telegram was a charge per word, senders grew ingenious at finding ways to write economically.
Journalists, for example, prefixed words with “un” to mean “not”. Thus went a celebrated ex­change between a foreign editor and a lazy correspondent: “Why unnews?” “Unnews good news.” “Unnews unjob.”

The Victorian generals who captured Indian towns famously telegraphed the news in Latin puns:

‘Peccavi―I’ve Sindh’
Wrote Lord Ellen, so proud;
More briefly, Dalhousie
Wrote ‘Vovi―I’ve Oudh.’

Now, brevity is reviving, in an unexpected quarter: the mobile telephone. Most operators offer a short messaging system (sms), which allows people to send messages tapped out on the telephone keypad. Because 160 characters take up as much room as a one-second voice call, such messages are cheap. They also protect the garrulous, but impecunious, from accidentally running up huge bills. And they can―like e-mail―wait until it is convenient for the recipient to read them.

For all these reasons, sms has turned out to be wildly popular, especially with the young. Europeans send each other one-billion messages a month. In Finland, where almost every 12‑to‑18‑year‑old has a mobile phone, Petri Vesikivi, head of business development for messaging at Nokia Networks, part of the famous Finnish mobile-telephone maker, says that teenagers are far and away the largest group of users. The pattern is being repeated around the world: as soon as more than one in five youngsters has a mobile telephone, sms use starts to bound up by 10% a month.

But typing messages on a miniature telephone keypad is hard, even for nimble little fingers and even with “predictive input” (a sort of software that allows the telephone to guess what you are writing and try to finish the word for you). In every country, use of sms requires ingenious linguistic compression.

Not many countries need ingenuity as much as Japan: kanji characters each need twice as much capacity as the roman alphabet. Luckily, the argot of Japanese schoolgirls already compresses words: the bizarre vocabulary of kogaru words (“ko” means “little one”, “garu” is the Japanisation of “girl”) involves dropping most of the middle characters in compounds and then dovetailing the first and last sounds together to form a whole new word. So in the case of “Totemo kawaii desune” (“A very pretty [little girl], isn’t she?”), contraction and use of the blunter Chinese pronunciation, instead of the softer Japanese, leads to “Cho kawa” (“extreme pre”). Such elisions have the added advantage, where telephone messages are con­cerned, of being incomprehensible to anybody over about 25.

For English-speaking users, the neatest contractions combine letters and numerals―in fact, a major British mobile provider is called One2One―and Vodafone, the world’s biggest mobile-telephone company, even offers a guide on its Internet site to such brevities as SPK 2 U L8R (“Speak to you later”) and BCNU B4 2MORO (“Be seeing you before tomorrow”). The whole panoply of punctuation doodles from 🙂 to 🙁 that decorated e-mail in its early days is also being revived on keypads.

New uses for sms are blossoming: in Finland, telephone companies make a tidy business from using the service to send customers tunes to use as ringing tones. The age of the clientele can be gauged from the fact that the current top pop hit sold by Sonera, the country’s main telephone company, is South Park’s “Uncle Fucker”.

Short messages may not exactly be a new literary art form. One day soon, it may be swept away as the Internet goes mobile. But, for those who once assumed the young would never learn to write, it is a modest reason for hope. And, for those who miss telegramese, it is XLNT.

Perciò

interesse 2 su 5

La mia sintesi su Calciopoli 2 non ce l’ho. La mia sintesi sull’altrui sintesi su Calciopoli 2, invece, ce l’ho. E l’ha scritta Luigi Castaldi:

Giacinto Facchetti avrebbe commesso illeciti in tutto uguali a quelli che sono stati addebitati a Luciano Moggi, che perciò sarebbe innocente. Questo riesco a capire di Calciopoli, leggendo i blog juventini.

Io non voto il benefattore

Interesse: 2 su 5

Che poi io sono anche uno di quelli che abboccano a tutto, a cui piace il lieto fine, e che si fa commuovere da tutte le Susan Boyle del mondo. Cerco la bella storia, la lacrimuccia, i film ruffiani mi conquistano, eccetera. Quindi c’ero propio andato con tutta la buona volontà, anche perché la vedevo molto ben propagandata in giro, da più parti.

Niente, stavolta non ce l’ho fatta: a me la lettera del “Benefattore di Adro”, quello che ha donato diecimila euro per risanare il debito della mensa della scuola, è sembrata un’enorme accozzaglia di banalità. Non c’è una riga che non mi sembri rigonfia di una retorica vuota e inculcata, di un dito puntato verso il mucchio, e di un autocompiacimento da «ah, questa volta sì che gliel’ho cantate»: che poi uno si domanda “a chi?”, e non sa darsi una risposta. Ciascuno di noi, in quelle parole, vede qualcun altro; ciascuno di noi può dire «io non sono così, non riguarda me».

Intendiamoci: ovviamente non solo rispetto, anche grande ammirazione per il gesto. Però mi sono visto: ero proprio partito con lo spirito della bella storia, speranzoso di aggiungerci una meravigliosa cornice, e sono rimasto deluso. Certo, ripensandoci, si può dire che alla fine pure questo è un aspetto positivo: se anche una persona che ha delle idee così stereotipate, e un modo di esprimerle tanto dozzinale, è capace di un gesto tale, allora il mondo ha un futuro chiaro.

p.s. fra l’altro, mi domando: se pensi tutte quelle cose sensate su immigrati e integrazione – lasciando da parte il passaggio sull’attenzione ai nostri costumi – per quale cavolo di ragione voti Formigoni, anzi, come dice lui, FORMIGONI?

Sono una celebrità!

interesse 1 su 5

Ho scoperto di avere un fake su Facebook! Non è il mio profilo. È uno che ha preso la mia foto, ha creato un account col mio nome e cognome e chissà che ci fa. Però dice di essere sposato, e ci tiene a specificare che gli “piacciono le donne”.

Anzi, c’è mica uno di voi che vuole chiedergli l’amicizia per vedere cosa combina? (il mio vero account di Facebook è questo, ma non lo uso molto, salvo aver impostato il caricamento automatico dei miei post sul blog e su Friendfeed)

Interesse

Ho deciso di fare una sorta di esperimento, qui sul blog. Da ora in poi tutti i post che pubblicherò avranno in cima una scritta in corsivo “interesse: x su 5 ” dove al posto della ‘x’ metterò la mia personale valutazione dell’interesse che, ai miei occhi, dovrebbe avere quel post. Può essere utile per chi non ha voglia di leggere tutto, e può decidere di saltare un post perché magari legge che ha un interesse basso.

Ovviamente il tutto è a discrezione mia, quindi può essere che a voi interessi quello che io valuto 1 su 5 e non vi interessi per nulla ciò che valuto 5 su 5, ma comunque è un’indicazione. È solo una prova, in ogni caso, vediamo come va.

Guerre di religioni, e di bus

Il problema con le religioni, e con l’Islam in particolare, è lo scudo alle critiche che molte persone accordano a queste che non sono altro che ideologie camuffate da una presunta rivelazione. Qualunque critica al messaggio lanciato da una religione viene sempre  tentato di mitigare attraverso il solito refrain: non puoi leggere letteralmente/bisogna interpretare/devi contestualizzare/leggere fra le righe/il messaggio profondo. Ovviamente il refrain non vale per le cose che piacciono a loro: nessuno direbbe «ehi, amico, “porgi l’altra guancia” devi interpretarlo! Mica lo puoi leggere letteralmente!». Come scrisse Dan Barker:

Tu puoi citare cento riferimenti per mostrare che il Dio biblico è un sanguinario tiranno, ma loro scoveranno due o tre versi che dicono «Dio è amore», e loro dichiareranno categoricamente che TU prendi le cose al di fuori del contesto!

Con l’Islam funziona allo stesso modo. Una doppia misurazione, per lo stesso peso.

Sugli autobus in Florida sono cominciati a comparire questi manifesti promossi dalla SIOA (Stop Islamisation of America):

Sono certo che molte persone benintenzionate hanno un moto di contrizione nel leggere questi cartelli.

Eppure – continuo ad azzardare – le stesse persone non avrebbero alcun problema con pubblicità come queste, che sono già presenti in molti Stati americani:

Eppure non c’è alcuna differenza. Entrambi invitano chi legge a cambiare idea.

Io, ovviamente, sono un integralista della libertà di parola, non trovo nulla di male nella commercializzazione di nessuno dei due: e, certamente, auspico che il primo abbia un grande successo e serva ad aiutare molte persone che si trovano nella lancinante condizione di dovere decidere di abbandonare l’Islam a rischio di perdere qualunque contatto con la propria famiglia, quando va bene, e di rischiare la propria vita per apostasia, quando va male.

>Source<

Ma chissene, tanto so’ musi gialli

Probabilmente non ve ne siete accorti, ma c’è stato un altro terremoto. Sì, un altro terremoto. E sono morte 400 persone. Sì, 400. Però se non ne avete notizia non vi biasimo, perché non sembra fregare a nessuno. In Italia.

L’Italia è davvero il Paese più provinciale di tutto l’Occidente. E non solo.

Per il Corriere della Sera la notizia è così in fondo che neanche si legge aprendo l’homepage:

Repubblica va un po’ meglio, è la quarta notizia. Certo la consulta è importante, Bertone che dice frescacce sui gay è importante. Ma cazzo, 400 morti.

Questo, semplicemente, non succede all’estero. In tutte le parti del mondo quando muoiono 400 persone è la prima notizia, al massimo è la seconda. Le homepage nel momento in cui pubblico questo post:

New York Times, prima notizia:

El Pais, prima notizia:

Le Monde, seconda:

Guardian, è seconda:

Cnn:

Al Jazeera. Ripeto, Al Jazeera:

E vi garantisco che non ho fatto nessuna cernita, ho preso i primi siti di news che ho fra i bookmark  (escludendo soltanto Ha’aretz che è un giornale particolare).

Il goleador

Questa è la colonna sonora adatta a questo post:

Il Goleador

Io non sopporto la Roma, ma soprattutto i romanisti. La ragione finta è che sono gli unici tifosi più lamentosi e complottisti dei fiorentini: sono sempre tutti contro di loro (tra i non romanisti, a Roma, “non fare il romanista” significa “non fare il rosicone”), e c’è sempre una cospirazione del “palazzo” ai loro danni. Quella vera è che, abitando a Roma, ho troppi amici romanisti: se vincono un altro scudetto chi li regge?

Eppure, mi vergogno un po’, ma sono diverse settimane che tifo Roma, all’inizio era un pensiero imbarazzante, ma poi ho dovuto ammetterlo. In fondo in fondo sono contento per tre ragioni: la prima è che è nettamente più debole dell’Inter e la seconda è che – un po’ – è merito nostro (sì, i tifosi sono molto propriasquadrocentrici).
La terza ragione è che, come a tutti gli sportivi, mi piacciono le rimonte. Ti viene da tifare per quello dietro che sta dietro e sta compiendo l’impresa. E la Roma un’impresa l’ha già fatta.

La Roma è in testa alla classifica. Ha recuperato 15 punti – tantissimi – all’Inter in 23 partite. Sì, perché non solo la Roma è in testa alla classifica, ma alla vigilia dell’undicesima giornata era a due punti dalla zona retrocessione. Di più, in quella undicesima giornata, nella partita col Bologna, era andata sotto di un gol: stava perdendo in casa. Poi segna Mirko Vucinic.


video

Cosa sentite dopo il gol? Fischi. Sì, la Roma è in casa. E no, non stanno fischiando per le proteste del Bologna. No, fischiano Vucinic. Perché? Perché ha fatto gol. Per la Roma. Ora, per i non addetti, fischiare la propria squadra quando segna un gol è una cosa inaudita. In tutta la mia carriera di tifoso, non l’ho mai visto fare. Vucinic non aveva ancora segnato in campionato. Aveva fatto zero gol in dieci partite, non che nell’anno precedente avesse brillato per il numero di marcature: Vucinic è un attaccante strano, delle volte fa delle cose strepitose, altre sbaglia dei gol incredibili davanti alla porta – ha un po’ la fama dell’Inzaghi al contrario, dell’attaccante bravo col pallone fra i piedi ma che non segna mai. Almeno fino a qui. Torniamo all’Olimpico. I fischi, assordanti fino a  lì, si placano un po’. Poi lo speaker dello stadio, con voce mesta, annuncia il gol e il nome del marcatore, Mirko Vucinic. Di solito in questo frangente parte un esultanza supplementare. Invece altri fischi, un’altra bordata, in spregio all’attaccante montenegrino che non segna mai.

Da quel momento, dopo quel gol, la Roma farà un altro gol e vincerà la partita. Poi farà tanti altri gol, altri 23 risultati utili consecutivi, Vucinic ne segnerà undici – più di Totti o qualunque altro romanista, e la Roma arriverà in testa alla classifica. E tutto alla faccia di quelle trentamila persone che – al gol di Vucinic – fischiavano contro, come se da quel gol di quel pippone non potesse venirne nulla di buono.

Tutto questo per dire cosa? Certamente che i tifosi sono un po’ teste di cazzo, primo fra tutti quello che sta scrivendo.
E poi che anche nella situazione peggiore, quella in cui ti sembra davvero di aver toccato il fondo e di stare cominciando a scavare, quando nessun passo in avanti ti sembra sufficiente perché risibile rispetto agli altri passi indietro, beh, Vucinic può diventare un goleador.

(la mia nonna, che è molto cattolica e non le piace quando parlo male dei preti, mi ha detto che le piaccio quando scrivo di calcio)

L’equivoco di fondo su Emergency

A me le accuse ai tre medici italiani sono sembrate fin da subito assurde, e ora che ci ho ragionato sopra un po’, ancora di più. Che abbiano preso parte all’organizzazione di attentati del tutto assurdo, che abbiano ucciso l’interprete di Mastrogianomo impossibile  – e difatti è subito stato smentito. Mi sembrano ridicole anche tutte le altre ipotesi di complotto che si fondano sull’obiettivo di “dare fastidio a Emergency”, quando il governo afgano – volesse – potrebbe chiudere l’ospedale di Emergency in quattro e quattr’otto, come del resto avevano fatto i talebani.

Per questo, alla notizia parsami incredibile, della confessione di colpevolezza da parte dei medici apparsa sul Times di Londra, ho aperto un thread su Frienfeed il cui titolo era: «mi spiegate cosa devo pensarne?», proprio perché non ne avevo idea. Ne è venuta fuori una discussione a cui hanno partecipato in molti e che è servita a scartare alcune ipotesi, e a rendersi conto che – a quanto se ne sa ora – non si può arrivare a una ricostruzione attendibile.

C’è tuttavia un equivoco di fondo, su Emergency, che è venuto fuori più volte nella discussione e che mi pare utile fare presente. Provo a raccontarlo qui senza pretendere che sia necessariamente l’atteggiamento di tutti coloro che in queste ore «stanno con Emergency» ma mi pare il “modus discutendi” di moltissimi di coloro con cui ho avuto modo di affrontare la questione.

Il primo riflesso è sempre quello di rivendicare la potenza etica delle posizioni di Emergency, ieri ho addirittura letto “la totale chiarezza delle opinioni di Gino Strada”, l’idea che in qualunque conflitto Emergency sia neutrale. Vale lo stesso discorso per i finanziamenti governativi: “Emergency non prende soldi dai governi”, come se fosse una cosa positiva. Quei soldi dei governi potrebbero salvare molte più vite e tu ti curi di non prendere denaro da chi non ti sta simpatico?

L’argomento filosofico su cui si fondano questi encomî è turpe, e tutti se ne rendono conto dopo un paio di obiezioni: come si può essere contenti di essere neutrali nei confronti di assassini sanguinarî? Difatti quando poi si fa presente quest’ultimo aspetto – la connivenza insita in qualunque tipo di neutralità – l’interlocutore recede e rivendica la necessità di una tale posizione per operare in contesti di guerra. L’appeasement.

Ora, io lo trovo un discorso del tutto logico. Emergency deve intrattenere rapporti con personaggi immondi per operare in Afganistan e in altre parti del mondo, e  – in linea di massima – fa bene, perché il loro obiettivo è più importante. Soltanto un egocentrico o uno stupido può pensare che la pulizia della propria coscienza sia più rilevante rispetto a salvare la vita a delle persone. Per quanto la cosa mi causi qualche perplessità in più sono anche d’accordo che l’ospedale di Emergency curi degli assassini spietati senza poi consegnarli alle autorità afgane, per ragioni simili a quelle per cui ho considerato questa come la legge più indegna proposta dal Governo Berlusconi. Trovo per questo comprensibile che Emergency abbia rapporti con i talebani, e non mi stupirei troppo neppure se – sottostando a qualche ricatto – avesse fatto un ragionamento di maggiore realpolitik. “Sporcarsi le mani”, talvolta, è una cosa necessaria. È un compromesso irrinunciabile, a cui tutti vorremmo rinunciare, ma purtroppo non è possibile.

Quindi, però, non bisogna confondere l’ideologia con la strategia. Ciò che si può dire per difendere Emergency è: sono costretti ad adottare la neutralità come metro, anche se questa è una posizione disgustosa. Per un bene più grande, ovvero curare le persone, si trovano a fare una cosa indegna: ovvero essere neutrali rispetto a idee, come quelle del fondamentalismo dei taliban, per cui qualunque persona con un abbozzato concetto di etica proverebbe repulsione. Il problema è che Strada non dice nulla di tutto ciò, e anzi rivendica la sua equidistanza, il suo non prendere parte, come un concetto onorevole. Ed è un problema grave perché fonda l’equivoco principale su cui, secondo me, proliferano molte delle critiche che arrivano a Emergency anche da persone in malafede.

Insomma, il giorno che Gino Strada salirà su un palco e dirà:

«a noi non piace l’indifferenza, sappiamo bene che la neutralità è una forma di connivenza, come sappiamo che non prendere parte è una posizione acclaratamente immorale. Siamo perfettamente consapevoli che la neutralità di fronte a un’ingiustizia non esiste, non fare nulla per evitarla è prendere una posizione. Sappiamo tutto questo e vorremmo essere in grado di professarlo nella maniera più limpida. Purtroppo per operare in queste aree siamo costretti a fare finta che l’idea che i taliban hanno delle donne e degli omosessuali non conti nulla, ci tocca ignorare le loro posizioni sull’uccisione di tutti gli infedeli e la soppressione di ogni libertà personale, ma lo facciamo per un bene più grande, ovvero l’incolumità di tutte queste persone. Il giorno in cui ci sarà permesso di operare senza essere neutrali, parteggiando per chi ha a cuore le donne, gli omosessuali, e tutte le persone più sofferenti, saremo felicissimi di farlo. Fino a quel giorno ci tocca sporcarci le mani»

Ecco, quando Gino Strada farà un discorso così avrà, fra i tanti applausi, anche il mio: non solo per quello che fa – che già c’è – ma anche per quello che dice.