Lunedì degli aneddoti – XX – Il gallo nero

Quando mi capita di leggere un aneddoto carino, da qualche parte, me lo appunto per non dimenticarlo: così ora ho un piccolo mazzo di aneddoti che ogni tanto racconto. Pensavo di farci un libro, un giorno, ma forse è più carino pubblicarne uno, ogni tanto, sul blog. Questo ‘ogni tanto’ sarà ogni lunedì.

Il gallo nero

Forse il punto migliore da dove cominciare a raccontarla è la Juventus, i gobbi, come li chiamano tutti i non gobbi.

Che nelle regioni dell’estremo sud, Sicilia, Calabria, anche Basilicata ci siano un sacco di tifosi della Juve è cosa nota, assieme a quelli che tifano per il Milan e per l’Inter: si capisce anche, di squadre con tradizioni calcistiche affermate non ce ne sono molte, e allora si ripiega sulle strisciate.
Ma c’è un altro buco nero di juventinite, in Italia, ed è la Toscana. Ma come? Proprio dove c’è la Fiorentina, la squadra che più odia la Juve? Appunto!
Fateci caso, tutti i posti della Toscana, Prato, Siena, Pisa, Viareggio, anche Arezzo o Pistoia son pieni di juventini. E il paradosso è che, invece, a Grosseto, che è la provincia toscana più distante dal capoluogo sono tutti per la Fiorentina. Sembra assurdo, ma la ragione è semplice: tutte le città, nel medioevo, erano dominate da Firenze, e quindi odiano i fiorentini, l’unica che era sotto Siena, Grosseto, odia i senesi, e tifa la Fiorentina!
Direte voi: ancora? Ma non è possibile, 800 anni dopo quelle battaglie c’è ancora un lascito di quel genere?

Di più. Pensate che ogni anno a Siena-Fiorentina, i tifosi bianconeri – sì, hanno anche i colori della Juve! – espongono striscioni che inneggiano a Montaperti, battaglia campale che vide la vittoria senese (l’unica che vinsero, parola di fiorentino!).
E il Gallo Nero che c’entra? Non è un vino? Sì, certo, è un vino, il Chianti Gallo Nero. Ma da dove prende il nome? Sempre da lì.

Vuole la leggenda che per mettere fine ai reiterati conflitti fra Firenze e Siena, e dirimere la principale ragione di contesa fra le due potenze toscane – ovvero la sovranità di tutta la zona del Chianti, a sud di Firenze e a nord di Siena – si fosse organizzata una tenzone davvero particolare: essendo molto difficile tracciare un confine mediano, anche in ragione dei limitati strumenti del tempo, si decise di lanciare i due migliori cavalieri di ciascuna città in direzione dell’altra: il punto di incontro dei due uomini a cavallo sarebbe divenuto il confine, e avrebbe sancito la spartizione delle colline del Chianti.
I due paladini sarebbero partiti, da dentro le mura cittadine, al cantare del gallo: una delegazione di fiorentini fu inviata a Siena, per controllare la regolarità della partenza, e così una delegazione di senesi a Firenze. I senesi scelsero un gallo bianco, e lo rimpinzarono di cibo convinti che questo gli avrebbe dato più energie al risveglio, mentre i fiorentini fecero esattamente l’opposto: non solo cromaticamente, il gallo nero fu lasciato al digiuno più impenitente.

La mattina della contesa il gallo nero, stretto dai morsi della fame, si destò e cominciò a cantare ben prima dell’alba: il cavaliere fiorentino non aspettava altro, e partì – è il caso di dirlo – a sprone battuto. Intanto a Siena si aspettava ancora il chicchirichì del gallo bianco; anche quello arrivò, ma arrivò – puntuale – all’alba, quando il cavallo fiorentino aveva già calpestato tutto il Chiantigiano: l’incontro fra i due cavalieri avvenne a una dozzina di chilometri da Siena, in località Fonterutoli, sancendo così il passaggio – di fatto – dell’intero Chiantigiano alla Repubblica Fiorentina.
Quando poi, nel 1384, Firenze costituì, in funzione deliberatamente anti-senese, una lega diplomatico-militare fra i propri alleati dell’area, la Lega del Chianti, questi scelsero come stemma – manco a dirlo – un gallo nero.

Grazie a Andrea

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Posso èsse amico tuo?

GRADISCA, PRESIDENTE

L’ultimo giornale che parla di me mi è stato regalato qualche giorno fa da Ludovico Fontana, un giovane giornalista del «Corriere del Mezzogiorno»

Ho appena scoperto che la quindicesima parola del libro di Patrizia D’Addario parla di mio cugino!

(sono invidiosissimo)

Il simbolo dell’Occidente è toglierlo

Ecco, lo so, partire da un gruppo di facebook come argomento di un post è davvero facilone. Effettivamente si potrebbe sfruttare un gruppo di facebook come pezza d’appoggio per fare un post indignato su qualunque argomento sulla Terra. Però mi ci è capitato l’occhio, e allora mi è venuta voglia di rispondere.

Sono anche in ritardo, come non si fa, ma vabbè: cosa ne penso del crocifisso è scontato. Va tolto, per tutte le ragioni del mondo, senza che questo ne faccia – dello staccamento del crocifisso – una questione di impellenza e rilevanza dirimente.

Il gruppo è questo. In due parole dice: “cari mussulmani, non potete venire qui a casa nostra chiedere di togliere un simbolo dell’Occidente come il crocifisso”. È un’obiezione che mi fa imbufalire. Intanto, sì, per la miseria del mancare di valutare una richiesta, o un’affermazione, sulla base della bontà degli argomenti portati ma sull’identità di chi è a proferirli (“cari mussulmani”, “casa nostra”), rimodulazione del concetto di autorità anziché di autorevolezza.

Ma poi la questione è tanto peggiore in quel “crocifisso simbolo dell’Occidente”. È invece l’opposto: l’Occidente è diventato il miglior posto dove vivere proprio quando ha rinunciato a quei simboli.
Ciò che ossequiamo – e giustamente – dell’Occidente, è essere riuscito a produrre un consesso di esseri umani che i nostri antenati, soltanto cento anni fa, avrebbero considerato una mirabile utopia. È essersi liberato dallo spettro della teocrazia e della religione di stato. È l’aver fatto del libero pensiero il metro e la morale di ciascun individuo. È ciò che, ancora, nella maggior parte dei paesi islamici non si è riusciti a fare.

Chi pensa di difendere l’Europa dall’oscurantismo dell’Islam agitando i crocifissi è, piuttosto, un nemico dell’Europa.
Il simbolo dell’Occidente, ciò che lo fa differire dall’Arabia Saudita, non è il crocifisso – quello c’era anche e più quando l’Europa era oscurantista e retriva come l’Arabia Saudita – ma è l’Illuminismo.
Il simbolo dell’Occidente, e il suo genio – quello che vorremmo per tutto il mondo – non è il crocifisso, ma l’avere le pareti sgombre.

La mia infanzia

Lei ha aperto un tumblr, dove mette le cose sfiziose che trova su internet.
Fosse solo questo. Ma ci ha messo questa, che insieme a quella che segue – che trovai sul New Yorker di qualche tempo fa – è il racconto della mia infanzia:

"È una gran bella giornata oggi, voglio davvero che tu esca fuori a giocare"
"È una gran bella giornata oggi, voglio davvero che tu esca fuori a giocare"

Ero un filosofo fin da bambino:

La mia infanzia
"Tutto considerato, io credo che un'infanzia felice sia più importante di una tavola apparecchiata, non concorderesti anche tu?"

Caro profeta tifoso della Roma

Caro lettore tifoso della Roma,
non conosco il tuo nome: eri venuto qui nei momenti giusti, per te, a commentare. Mi avevi scritto che la Fiorentina sarebbe stata buttata fuori dal preliminare di Champions League. Non è successo. E dopo il successo contro lo Sporting Lisbona eri tornato, almeno coraggioso, facendo la profezia: tanto a gennaio siete già fuori.
Io ero stato zitto, e tu eri ricomparso nei momenti più opportuni: quando la Roma aveva vinto, e quando la Fiorentina aveva perso.
Io, l’ho detto, ero stato zitto. Ero stato zitto quando alla Fiorentina era stato sorteggiato il girone più difficile di tutti. Ero stato zitto quando la Fiorentina aveva battuto il Liverpool 2-0. Ero stato zitto quando a metà girone la Viola, nonostante le avversarie molto più forti, era la squadra italiana con più punti. Anche quando abbiamo vinto la terza partita di fila, sì, ero stato zitto.

Ecco, caro tifoso della Roma, volevo dirti solo una cosa:

Scrivimi presto.

Lunedì degli aneddoti – XIX – (Very) Nouvelle Cousine

Quando mi capita di leggere un aneddoto carino, da qualche parte, me lo appunto per non dimenticarlo: così ora ho un piccolo mazzo di aneddoti che ogni tanto racconto. Pensavo di farci un libro, un giorno, ma forse è più carino pubblicarne uno, ogni tanto, sul blog. Questo ‘ogni tanto’ sarà ogni lunedì.

(Very) Nouvelle Cuisine

Delle volte mi chiedono «che hai studiato?», io rispondo Filologia Romanza e la domanda diventa «che hai studiato?!?». Allora a quelli più romantici racconto di Lancillotto e Ginevra, di Tristano e Isotta. A quelli più pragmatici racconto questo: le lingue sono corpi pieni di storie, aneddoti, prese in giro, raccontate dalle parole, dai nomi di luoghi e di persone. Così, per esempio, tutte le “rive” sopra a Rimini e La Spezia rimangono rive, come la Riviera Ligure o Riva del Garda; invece tutte le rive al meridione di Rimini e La Spezia diventano (in realtà è vero l’opposto, son le ripe a diventare ribe e poi rive) “ripa”, come Bagno a Ripoli, come Marina Ripa di Meana, come via di Ripetta, dove un tempo passava il fiume.
Per tutte le parole? Beh, no. Quelle facili. Dicevamo fiume, ecco fiume. Il fiume in latino era flumen. Poi “fl” non riescono più a dirlo e diventa “fi”. Come il florem, diventato fiore. E quelle difficili? Beh, quelle no. Quelle rimangono ancora per un po’ in latino, e difatti ce le ritroviamo con un bel “fl” intatto: floreale, fluviale – gli aggettivi relativi, già son più difficili. Però che vuoi che cambi. Fiore, floreale, siamo lì. Macchiato, maculato, stessa solfa, anche se – certo – se proviamo a chiedere al bar un latte maculato il barista ci guarda un po’ storto.
Poi però arrivano gli inglesi. Cioè, quelli che arrivano sono i francesi, perché gli inglesi sono – ehm, perdonate – dei buzzurri. O meglio, quelli che non sono del volgo – quelli che frequentano l’alta società – parlano in francese. Così arrivano i francesi e gli insegnano tutto, gli insegnano tutto e glielo insegnano in francese. L’inglese non è una lingua latina, però se andate a vedere tutto il lessico più del 70% è di origine latina diretta o indiretta: solo che son le parole difficili! E così “re” si dice “king”, che è germanico, ma reale – sempre l’aggettivo relativo – si dice royal, che se lo pronunciate con l’accento sulla “a” sapete da dove viene. E sinistra? Beh, sinistra si dice “left”: non è latino, perché è facile. Però in italiano si dice anche una cosa sinistra, un concetto un po’ meno immediato. E come si dice in inglese? Già, “sinister”.
Ma la cosa più bella, io dico, è questa: quelli, dicevamo, non sapevano far nulla: neanche cucinare! Arrivano i francesi e glielo insegnano. Bravi. E allora che succede? Che i nomi degli animali che si mangiano, in inglese, si dicono in francese: direte, ma come, “Cow” “Lamb” “Pig”, per dire i tre animali che si cuociono di più, non suonano mica latini. Appunto! Perché quegli stessi animali, cotti, diventano francesi: beef, che viene da boeuf, bove. Mutton, il montone, Pork, il porco. E pensate un po’ che ci sono anche quelli che fanno avanti e indietro, come il bove, diventato beef, poi beef steak, pezzo di carne, e tornato al di qua della Manica e al di qua delle Alpi come beef-steak, bistecca. Magari una bella Fiorentina.

[Qui il primo: Brutti e liberi qui il secondo: Grande Raccordo Anulare qui il terzo: Il caso Plutone qui il quarto: I frocioni qui il quinto: Comunisti qui il sesto: La rettorica qui il settimo: Rockall qui l’ottavo: Compagno dove sei? qui il nono: La guerra del Fútbol qui il decimo: Babbo Natale esiste qui l’undicesimo: Caravaggio bruciava di rabbia – qui il dodicesimo: Salvato due volte – qui il tredicesimo: lo sconosciuto che salvò il mondo qui il quattordicesimo: Il barile si ferma qui qui il quindicesimo: Servizî segretissimi qui il sedicesimo: Gagarin, patente e libretto qui il diciassettesimo: La caduta del Muro qui il diciottesimo: Botta di culo]

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Into the wild

Il fascino che hanno per me le belle fotografie è proporzionale alla mia incapacità a farne di decenti. Molte di queste sono bellissime.
Ma alcune sono davvero strepitose:

montagna

*

mare

*

alberi

Posteria numero mille

Ho scoperto che questo è il post numero mille del mio blog, e non sapevo che scriverci. Uno dovrebbe in qualche modo, chessò, festeggiare. Però ci ho pensato un po’, ho pure chiesto consiglio, ma senza arrivare a nulla. Insomma, non so che scrivere.

Allora ho deciso di scrivere dei post su cui non so che scrivere, e degli argomenti che passano senza che qui li abbia commentati – sopravviverete? – dando l’impressione che non mi interessino, o che non li trovi gravi o rilevanti.

Invece non è così, delle volte non so proprio che scrivere, perché tutti coloro che ho letto hanno detto tutto quello che c’era da dire, e l’hanno detto anche bene. E, invece, l’unico contributo che potrei dare io alla discussione è «che scandalo, che vergogna, sono dei criminali!»
In questo caso mi riferivo al caso Cucchi.