Quando mi capita di leggere un aneddoto carino, da qualche parte, me lo appunto per non dimenticarlo: così ora ho un piccolo mazzo di aneddoti che ogni tanto racconto. Pensavo di farci un libro, un giorno, ma forse è più carino pubblicarne uno, ogni tanto, sul blog. Questo ‘ogni tanto’ sarà ogni lunedì.
La rettorica
Carlo Michelstaedter era uno di quei genî che si laurea a 15 anni e mezzo, senza alcuna fatica. Lui finisce per laurearsi a 23, dopo aver girato tre diverse facoltà, in lettere con una tesi dal titolo “La persuasione e la rettorica”. Proprio così, con due ‘t’.
La sua idea, rudemente estratta, era che la rettorica non dovesse convincere gli altri. Che il potere persuasivo delle proprie parole fosse un’offesa alla libertà altrui, e che fosse sbagliato cercare di convincere gli altri delle proprie ragioni. Che ognuno dovesse cercare la propria via in sé, senza il contaminante apporto dei pareri altrui.
Studiando e scrivendo febbrilmente per un anno intero quel librone che sarebbe diventato la sua tesi, si rese conto di come qualsiasi atto espressivo è in sé un atto conativo (persuasivo), di come – anche cercando di non farlo in tutti i modi – il suo scrivere, il suo parlare, avesse un effetto ottundente sul parere altrui. E che, appunto, non fosse possibile esprimere il proprio pensiero senza cercare di convincere l’interlocutore della bontà di esso.
Resosi conto che non avrebbe potuto condurre la propria vita secondo i propri canoni di “non offesa”, e a onor del vero non solo per questo, si suicidò.
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[Qui il primo: Brutti e liberi – qui il secondo: Grande Raccordo Anulare – qui il terzo: Il caso Plutone – qui il quarto: I frocioni – qui il quinto: Comunisti]
Il “suicidio filosofico” di Michelstaedter (con una strana A fra la seconda T e la seconda E) si giustificava soprattutto col fatto che secondo lui era impossibile godersi un attimo, più o meno faustiano, di perfetta felicità , perché ogni momento è inquinato dall’aspettativa del successivo, del futuro, onde per cui l’unico modo per fermare quell’attimo era fermare la vita. E per mille altri astrusi, simpaticissimi motivi fra cui quello che dici. ‘E uno dei miei miti adolescenziali, fa sempre piacere vederlo rammentato. Fra l’altro le sue (poche) poesie sono ganzissime (un adelphino di una decina di anni fa, non so se ristampato).
(Da quando Michelstaedter è un aneddoto?)
La persuasione é “possesso presente alla propria vita”, mentre la retorica è l’altro lato dell’iperbole,dice Carlo.
Se l’uomo della persuasione sa che “la sua maturità è tanto più sapida quanto è acerba la forza del suo dolore”, scegliendo la non retorica Michelstaedter non rinuncia a convincere, semplicemente, i tuoi 18 anni del “nontivoglioconvinceredellemieopinioncine”,sceglie d’astrarsi dal sistema di regole e convenzioni che erano,o si facevano o si fanno,retorica.
Il suo assoluto negativo è esortazione a possedere dentro e non conquistare,se fuori.
“L’arte di persuadere altrui,per attirarlo dentro la rete dei diritti e doveri stabiliti, prevale sull’arte di persuadere se stesso, che porta da quella rete al dolore”.
Questo luneddoto mi suona familiare…
Bah. scrive::
Tu chiamalo, se vuoi, egoismo.
Se voglio, ci sono egoismi di cui s’avrebbe molto bisogno.
Anche il mondo attorno.
@Giovanni Fontana
Dimmi che soffriva di depressione ti prego…
Mah, che storia, nessuno ha provato a non convincerlo a suicidarsi? (negazione+negazione+affermazione negativa!!!)
😉
Io di Michelstaedter ho fatto la mia guida spirituale e mi sorprende che lo conoscano così tante persone, anche se laureati in lettere. Fatto sta che a Gorizia si faceva di sicuro una vita di merda…