Continua dalla prima parte.
Dialogo tra un cristiano e un non so, parte seconda.
11 maggio – da Giovanni Fontana a Marco Beccaria
Caro Marco, registro con piacere ciò su cui siamo d’accordo, sono dubitoso rispetto alla tua mancata risposta, e rigetto lo straw man argument odifreddesco.
Non mi soffermo su nessuno dei tre, ma sento di doverti confessare che il piacere dell’essere d’accordo sul primo punto non è interamente genuino! La metà cattiva della mia letizia per il nostro accordo è che quell’assunto mi sembri un tuo autogol. Mi riferisco – so che sai dove andrò a parare – a quando dici che ogni “credenza senza dati” è il vero germoglio – che alcune volte fiorisce, e altre no – di un atteggiamento violento, del male dell’uomo. Sarà usata contro di te in tribunale!
Per risponderti ti prego di seguirmi, in Africa.
Come sai l’ultimo genocidio della Storia si è presentato in uno dei pochi paesi africani a maggioranza cristiana (95% della popolazione), in Rwanda nel 1994, con un milione di morti – una cifra spaventosa.
C’erano preti che trucidavano bambini piangenti a bastonate, che facevano a pezzi altri essere umani a colpi di machete, che fracassavano il cranio a gente che implorava pietà. E la trovavano la cosa più Giusta da fare, in nome di Cristo.
C’erano preti che si limitavano a battezzare e dire messa alle persone che di lì a poco sarebbero state uccise, perché quello era il bene più grande, senza muovere un dito per salvare la vita di quegli individui, rassegnandosi al volere di Dio. Sempre in nome di Cristo.
E c’erano preti che davano alle fiamme la Bibbia – la carta era l’unico combustibile rimasto – per dare da mangiare, scaldare, o tenere fuori gli assassini; e far così sopravvivere, magari anche solo un giorno di più, quei fratelli esseri umani. Ancora una volta in nome di Cristo.
Sono felice di essere persuaso che, se avessi incontrato un prete di nome Marco Beccaria a Kigali quindici anni fa, questi avrebbe affermato categoricamente che l’unico atteggiamento cristiano, di questi tre, fosse l’ultimo – e che Don Marco si sarebbe comportato di conseguenza: bruciando bibbie e seggiolini della propria parrocchia per salvare – certamente – quei corpi, prima che – forse – quelle anime.
Probabilmente ne sarei stato addirittura commosso, se ti avessi visto, sapendo quanto sei legato alla sacralità di quel testo.
Però poi, intorno al fuoco, ti avrei chiesto: «Marco amico mio, ma cosa ti dice che sei tu, davvero, a operare in nome di Cristo?». Anche quel prete col machete pensa di farlo. «Ne sei convinto? Anche lui ne è convinto». Siete pari. «Lo senti? Anche lui lo sente». Anche un kamikaze sente che Dio gli dà ragione. «C’è scritto nel Libro? No, il Libro dà torto e insieme ragione a entrambi». Per ogni parola in difesa dell’amore del prossimo ce n’è almeno una, o forse due, per l’odio del diverso. «Lo interpreta in modo banale? Dài, a fare interpretazioni ardite siete entrambi, l’uno e l’altro». Sant’Agostino era uno stupido? Eppure aveva letto il testo più di noi – sì, anche il Vangelo – e considerava la tortura degli eretici quale unica interpretazione sensata di quelle parole.
Questo ti avrei chiesto.
E tu come faresti, se lo incontrassi, a dire a quel prete col machete che ha torto, che sbaglia di grosso a pensare che quello lì sia il vostro Dio?
21 maggio – da Marco Beccaria a Giovanni Fontana
Caro Giovanni,
scusa se questa mia risposta s’è fatta attendere qualche giorno. Andiamo verso la fine dell’anno scolastico, puoi immaginare il consueto putiferio.
Mi fa piacere che tu rigetti l’accostamento a Odifreddi come uno “straw man argument”, perché significa che anche tu percepisci Odifreddi come qualcuno che non ti corrisponde. Ne sono felice. La mia, in effetti, era una provocazione infingarda.
Ti seguo in Africa. Continue reading “Dialogo fra un cristiano e un non so /2”