Confronti

La rivista Confronti ha fatto, a febbraio, uno speciale sul Medio Oriente. Il direttore mi ha chiesto se potesse pubblicare uno dei miei articoli. ovviamente ho detto di sì.

Domenica 15 febbraio

Eredi – Diario dalla Palestina 167
Il conflitto arabo-israeliano si associa spesso alla guerra fra due religioni, l’Islam e l’Ebraismo. Questo aspetto trascura un fatto: lo scontro aperto fra arabi-cristiani e arabi-mussulmani, un conflitto tutto palestinese. Specie nelle zone come Betlemme, dove i cristiani erano maggioranza e l’altissimo tasso demografico dei mussulmani ha ribaltato il dato, si percepisce nei cristiani una vera e propria sindrome da accerchiamento: nella città della Mangiatoia, ad esempio, erano l’80%, ora sono il 35%.
E sebbene quella minoranza mantenga il controllo economico, tutte le istituzioni pubbliche (tranne il sindaco che per decreto di Arafat è cristiano) sono mussulmane con ciò che ne consegue a livello sociale: perché molta della vita qui ruota intorno alle conoscenze – l’altro giorno mi sono rivolto a un amico palestinese per comprare il pane, questi è andato da un suo amico, il quale a sua volta è amico del fornaio: così, a onor del vero, ho avuto il miglior pane di Betlemme (“casa del pane” in aramaico ed ebraico, effettivamente).

Allo stesso modo se la polizia, quasi tutta mussulmana, ti ferma è probabile che tu – cristiano – abbia una sanzione più pesante di quella di un mussulmano, se non altro perché quest’ultimo conosce la famiglia di quell’altro che conosce etc.
Se un cristiano va in comune ad avviare una pratica, molto probabilmente dovrà aspettare settimane perché sarà scavalcato da tutte le pratiche di chi è mussulmano come gli impiegati. Di contro se sei mussulmano potrai accedere alle scuole private – qui sono le migliori – con qualche renitenza, perché sono tutte gestite dalla Chiesa. Come è ovvio che a Betlemme l’economia giri intorno al Cristianesimo: non solo per il turismo (come aprire un negozio di souvenir senza essere o fingerti cristiano?), ma anche perché la gran parte dei mussulmani sono persone delle campagne circostanti arrivate negli ultimi cinquant’anni a Betlemme, e il centro storico è quindi tutto in mano ai cristiani.

Così i cristiani, tranne poche eccezioni, vanno nei negozi cristiani. I mussulmani vanno nei negozi mussulmani, e via dicendo. E fra i cristiani, che un tempo erano quasi un quarto di tutti i palestinesi, l’ossessione del diventare sempre più minoranza porta a esprimere concetti che in Europa chiunque censurerebbe come islamofobici: c’è chi non esita a dire che non farebbe mai entrare un mussulmano in casa, una ragazza cristiana durante la guerra a Gaza mi disse, parlando delle morti dei bambini nella Striscia: «a loro non importa se gli muore uno dei dodici figli, tanto se succede ne fanno subito un altro».
Anche i simulacri palestinesi non sono immuni: la versione, tutta nuova per me, cristiano-betlemita della Nakba “la sciagura” – ovvero la creazione dello stato d’Israele e l’inizio della questione profughi – è che di sciagura si sia trattato in quanto l’ondata di profughi, quasi tutti mussulmani, proveniente dall’attuale Israele ha islamizzato Betlemme.

Il problema è che qui, credere in un dio, è anche e soprattutto un’identità, prima ancora che una religione: non c’è ragazza cristiana che non abbia una croce al collo, cosiccome le mussulmane senza velo sono pochissime. Non c’è macchina posseduta da un cristiano che non abbia un santino o una raffigurazione di Gesù. Le case degli arabi-cristiani assomigliano di più a delle chiese: ogni balcone ha un santino o una statua della Madonna in mostra, ci sono croci sui citofoni, archi a forma di croce sotto ai quali si deve passare per entrare in casa, e non c’è casa o negozio cristiano che non abbia un quadro di Gesù.
E la propria religione non viene scelta, ma ereditata: sulla carta d’identità c’è una voce che recita “religione”, così se si è cristiani si può entrare in Piazza di domenica, se si è mussulmani di venerdì. Se si è cristiani si può sposare una donna, se si è mussulmani se ne possono sposare quattro. I figli dei cristiani vengono chiamati Aissa, Meriem, Agnes ovvero Gesù, Maria, Agnese, come quelli dei mussulmani vengono chiamati Mohammed, Ahmed o Mohab, cosicché è sufficiente il nome per riconoscere l’appartenenza religiosa.

Purtrppo non c’è modo di uscirne perché proprio i matrimonî sono un fattore fondamentale in questa separazione: non esistono matrimonî misti: una donna mussulmana che volesse sposare un cristiano sarebbe un’onta gravissima per la propria famiglia. Da ottocento anni gli sposalizî sono soltanto all’interno della propria comunità religiosa. Un cristiano che lavora all’Azione Cattolica mi ha spiegato molto chiaramente il concetto: «sai perché ci siamo ancora?» mi ha chiesto, «perché continuiamo a conservare il nostro sangue: noi siamo gli eredi dei crociati».

Venerdì 13 febbraio

Misure di sicurezza – Diario dalla Palestina 166

Effettivamente vale un racconto quello che mi è successo, passando il check-point, proprio il giorno in cui ne ho raccontato l’imbarazzo. Metto lo zaino nel metal detector. Passo, suona, mostro il passaporto. Il soldato, da dentro la cabina, alza gli occhi un attimo, li riabbassa. Riprendo lo zaino, e mi avvio per l’uscita. Una voce dall’altoparlante blatera qualcosa. Torno dal soldato nella cabina: mi guarda come dire «che vuoi? vai». Vado. All’uscita ancora la voce. Stavolta riesco a capire che parla in inglese, un pessimo inglese. Torno dal soldato che, con l’espressione da “‘sti europei so’ proprio imbranati” mi fa un gesto che vuoldire «Sì, sì, vai». Riprendo l’uscita. Ma c’è sempre la voce. Chiede «you are a tourist?». Io mi guardo intorno, di solito ‘sti comandi vengono dal soldato in cabina. Torno da lui, visto che è dietro il supervetro non sente: mentre lui mi dice vai gli indico il cielo, come dire: «ooh, c’è na voce!». Quello non capisce. A questo punto la voce mi chiede: «the laptop is yours?» Il portatile è tuo? Non so dove rispondere, la voce viene dall’altoparlante ma da dove? Mi rivolgo verso il cielo e, sentendomi un po’ un idiota, grido: «yes!». Mi risponde, sempre la signora altoparlante, «ok, go».

Inutile dirvi che sono passato mille altre volte con il laptop nello zaino e nessuno mi ha chiesto se fosse «mio». In ogni caso, nessun altro controllo sulla paternità.È bastato il mio «sì». Ma un «sì» necessario, stavolta, perché la tipa ci ha messo più di qualche minuto a estorcermelo. Un terrorista avrebbe risposto «no»? Non credo.
Però, qualcuno direbbe, funziona.

San Valentino, in Palestina

Marco mi segnala questa foto: è la “foto del giorno” del Telegraph. A Nablus, la città più fondamentalista sia politicamente che religiosamente, una donna molto velata espone lingerie peccaminosa per festeggiare San Valentino.

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Quando vedo queste contraddizioni sono contento, perché la contraddizione è il primo antidoto al fondamentalismo: come quel mio amico che non beve, però una volta che ha bevuto un goccio, si ubriaca. Perché una volta che hai peccato… tanto vale farlo per bene.

Il paradosso israeliano

Tutte le spiegazioni sommarie sul conflitto arabo-israeliano che trovo in giro su internet, specie sui siti italiani, mi sembrano poco accurate e semplicistiche. Un po’ perché spiegare questo conflitto in poche parole è difficile, un po’ perché ognuno coltiva i propri pregiudizî. Così mi sono stupito di come, in poche parole, quelli di Limes abbiano fatto un ritratto semplice e sensato – se qualcuno, completamente digiuno di qualunque nozione sulla questione, vi chiede: «non parlarmi della storia e del passato, dimmi quello che succede ora, in poche parole», potete usare le parole del video di limes che ricopio qui:

Israele non vuole annettersi i territori palestinesi occupati dal 1967 perché un Grande Israele dal fiume al mare avrebbe presto una maggioranza di popolazione araba e perderebbe il suo carattere ebraico o dovrebbe dar vita a una sorta di regime di apartheid.

D’altro canto non vuole consentire la realizzazione
di un vero Stato palestinese perché questo rappresenterebbe l’inizio di duri scontri con i coloni israeliani con il rischio di una guerra civile interna in un paese sempre meno coeso nelle sue varie componenti.

Allo stesso tempo il controllo militare della Cisgiordania
e soprattutto della sovraffollata Striscia di Gaza è diventato impossibile per il continuo logoramento delle forze, ma il ritiro e l’abbandono di questi territori consente ai gruppi palestinesi di colpire lo stesso il territorio israeliano, con i razzi o con i kamikaze.

Il risultato per ora è che per i leader israeliani
la soluzione più facile è mantenere due ghetti palestinesi, Cisgiordania e Gaza, ai propri confini con periodiche guerre limitate o operazioni di polizia militare giustificate dall’assenza di soluzioni strategiche. E’ il caso della recente guerra di Gaza.

Dal canto suo il fronte palestinese è iperframmentato e impegnato soprattutto in una guerra interna tra fazioni.

Giovedì 12 febbraio

Fedeltà – Diario dalla Palestina 165

Di solito quando ci sono gli incontri con i bambini, tutti arrivano un po’ alla spicciolata: così faccio in modo di essere sempre già qui, per non lasciarli fuori dalla porta anche se arrivano in anticipo. Così, se siamo già in tanti, inizio qualche attività. Però è capitata una volta in cui c’era solo Mohab, e allora gli ho dato il Joypad per giocare a Pro Evolution Soccer – che è anche l’unico gioco che ho installato sul pc (a ragione).

Così succede che lui viene sempre un po’ prima, per farsi un paio di partite. Per chi ne sa, la modalità diventa “un mito”. Intanto, mentre lui gioca, finisco di preparare le cose, o giro su internet sul fisso dell’ufficio. Oggi ho visto un video bellissimo, ma proprio bellissimo, sulla proposition 8, la legge (semplifico) che andrà a cancellare i matrimonî omosessuali contratti in California prima del referendum di novembre. Talmente bello, il video, che mi sono commosso. Io ero dall’altra parte della scrivanìa, e Mohab deve essersene accorto, perché poco dopo l’arrivo di Ahlam lei mi ha chiesto: «perché piangevi, prima?».

Non mi stupisce, perché anche qualche lacrima di commozione, per un maschio – qui – sono è cosa incredibile. Ahlam non la pensa così, ma Mohab deve aver registrato il fatto. Così quando Ahlam me l’ha domandato ho detto, beh, era per un video… poi ho aggiunto: dài, te lo faccio vedere. «Then you’ll say if it’s disgusting» (come mi dice sempre lei), e così ha subito capito che si trattava dell’omosessualità – delle volte mi domando se anche lei non pensi che io sia omosessuale, come una suora che conosco, perché parlo sempre dell’ingiustizia dei pregiudizî. Lei non ha pianto, però alla fine era molto stordita. Ma non tanto per l’omosessualità in sé, anche se ha scoperto meno di un anno fa dell’esistenza degli omosessuali, ma per un’altra faccenda – mi ha detto: «non pensavo che loro si… possono amare» – eccolo il nocciolo del pregiudizio! – «pensavo fossero interessati solo a… una cosa» «Sex?», le ho chiesto. «Yes».

Ho capito che avrei potuto fare tantissimi discorsi, spiegarle infinite cose, ragionamenti inoppugnabili quanto astrusi, ma niente avrebbe potuto ingenerare lo stesso sentimento di quegli occhi felici e così evidentemente innamorati: in cui l’unica anormalità è quella trasparenza del proprio amore, aura così rara in giro

Ora spegnete le luci, mettete a tutto schermo, e volume abbastanza alto: Fedeltà.


Grazie a River.

Mercoledì 11 febbraio

Passa lo straniero – Diario dalla Palestina 164

L’avevo già accennato una volta in un caso specifico, ma la cosa che più mi piace, e mi dà un po’ di speranza dalla parte palestinese è l’atteggiamento delle persone quando sono in fila al check-point, fatta di un disincanto pragmatico ma ilare. Non ci sono cose stupide, sfide ai soldati, che porterebbero semplicemente a una repressione peggiore. Quello che qualche esagitato sostenitore della causa palestinese considererebbe atteggiamento servile, è semplicemente un confronto dei beneficî e dei danni. Non ho mai visto una provocazione deliberata, anche quando il mio cervello porterebbe a comprenderla – immedesimandomi – come quando il soldato di turno, fa di tutto per esercitare il proprio potere (e la propria funzione, anche utile) in modo intrusivo e arrogante.

Insomma, nessuno si gira verso i soldati e gli dice una parolaccia, ma tra la gente in fila c’è molto più spesso un atteggiamento ironico, che non uno dimesso. Se ovunque si vada, per qualunque cosa, la colpa viene data all’occupazione (non ci sono diritti per le donne? È colpa dell’occupazione. Ci sono gli estremisti religiosi? È solo colpa dell’occupazione. Non c’è lavoro? Senza l’occupazione ci sarebbe molta più… occupazione), il check-point è quasi un isola felice, dove si ride e si scherza.

Come negli aeroporti più controllati, facendo la fila ci si tolgono le scarpe, la cintura, e tutti gli oggetti metallici: stamani si faceva ironia sul fatto che «i soldati ci vogliono nudi»… però non troppo, perché altrimenti (vi risparmio l’ironia comparativa fra mezzi bellici di Hamas, e apparati sessuali). Risata generale.

Se sei occidentale, invece, non ti devi togliere nulla. Metti il bagaglio nel Metal Detector, e passi. Suona, e fai vedere il passaporto. Alle prime tutti pensano “ma non è giusto”. Perché devo avere questo privilegio? Ma poi sono le persone in fila dietro a te a farti capire che è ridicolo togliersi le scarpe, e la cintura per ristabilire una parità presunta, infliggendo a sé stessi lo stesso metro. La prima volta ti viene di farlo, già dalla seconda capisci che a quelli in fila dietro a te – molto pragmaticamente – interessa di più non perdere dell’altro tempo, quello che faresti perdere loro facendo anche tu la trafila, e con il tuo minuto martirio autoimposto, e ti dicono: «vai, vai».

Un’occasione in più, una lezione in più, per non sopravvalutare il valore del candore della propria coscienza: tanto meno importante del fatto che chi sta dietro di te arrivi in orario a lavoro.

A chiamarli sonni tranquilli

Qui sono le 4.30, hanno praticamente finito gli scrutinî e sembra esserci un risultato: ha vinto di un pelo Kadima. Cero sarà difficilissimo per Livni fare una coalizione, e saranno pessime le alleanze, visto il boom delle destre. Ma poteva andare peggio.