Il gioco più bello del mondo

Non c’entra nulla con la Palestina, ma ve lo devo segnalare: è finalmente uscito il gioco più bello del mondo.

Lo trovate qui.
Se poi avete l’iphone o qualunque cosa con il touch screen andrete pazzi.

Suonare l’arpa

(roba che avevo preparato, riscritto – che magari in qualche forma avete già letto – poi non è servita, quindi la metto qui)

A Roma, fra i quartieri male, si dice «suonare l’arpa» per intendere rubare: basta provare con la mano a mimare il gesto del suonare le corde dell’arpa, per capirne il perché.

Un vero suonatore d’arpa, invece, non l’avevo mai visto: è capitato a Gerusalemme. Attirato da una musica simile a un carillon intento a suonare l’inflazionato Canone in re maggiore di Pachelbel, sono sbucato su Ben Yehuda che è un po’ il centro della parte ovest della città, quella ebraica, ma anche quella più occidentalizzata. Da più vicino il carillon si è rivelato essere uno di quegli strumenti da dei dell’Olimpo con tanto di suonatrice in carne e ossa.

A giudicare dall’abbigliamento e da altri particolari direi che vivesse di quella musica, e dell’elemosina che gliene derivava. Quasi tutti quelli che passavano lasciavano qualcosa, colpiti dalla regalità dell’arpa e di chi la suonava: c’erano vari gruppi di ragazzi seduti ad ascoltare, come non mi ricordavo d’avere mai visto per un musicista di strada.

Poi sono passato davanti a un suonatore di violino che rientrava molto di più nel cliché del Juif Errant – c’era quel famoso indovinello Yiddish: perché i violinisti sono tutti ebrei? Beh, prova tu a scappare con un pianoforte sulle spalle!

Così gli sono passato davanti, e a lui che non aveva colpito la mia fantasia, non ho lasciato soldi. Poi, però, mi sono sentito in colpa di questa disparità di trattamento.

Mi sto ancora domandando se gli altri spettatori improvvisati abbiano avuto la mia stessa percezione: visto che avevano lasciato qualche moneta a lei dovevano lasciarla anche a lui, o – al contrario – avendo lasciato qualcosa a lei avevano consumato la propria buona azione così da non sentire il bisogno di lasciare qualche spicciolo anche a lui?

Insomma, mi sono chiesto: la suonatrice d’arpa, rispetto al violinista, avrà «suonato l’arpa»?

C’è ancora religione

Non mi ero fatto un’idea sulla questione della preghiera mussulmana in Piazza Maggiore e Piazza Duomo, me la sono fatta fare, con Francesco:

Bisogna mettersi d’accordo: se le preghiere islamiche davanti la cattedrale di Milano non sono gratuitamente provocatorie, allora non lo era manco la passeggiata di Sharon sulla spianata delle moschee. La mia posizione, per inciso, è “chi-se-ne-frega”, dell’una e dell’altra. Ma non si può dire che una non è niente di male e l’altra è gravissima. (Forse sì, vedi commenti).

E con Malvino:

Immaginiamo che in Piazza Maggiore, a Bologna, mentre i musulmani erano raccolti in preghiera, un garzone di salumeria avesse dovuto attraversare la piazza con un bel prosciutto in spalla: (…) Perché  avrebbe dovuto allungare la sua strada, evitando quell’assembramento?

Insomma, fatti questi distinguo, secondo me tirare fuori i teoremi “casa propria” e “casa loro” è un po’ fascista.

Lunedì 12 gennaio

Dài, che la vita è bella – Diario dalla Palestina 132

Grazie al bel regalo dei miei nonni, abbiamo potuto iniziare a vedere dei film insieme ai bambini. In giro per la rete si trovano i sottotitoli in arabo, così non c’è neanche bisogno di passare dall’inglese. I bambini si sono appassionati a Benigni, cosa che mi ha sorpreso un poco, ma sicuramente fatto felice (già immagino il vostro strale: io lo considero l’unica persona veramente innamorata al mondo, pensate un po’). Abbiamo visto la Tigre e la neve, e la Vita e bella. Il primo è stato molto divertente, e i bimbi volevano farmi da interpreti nelle parti in cui si parlava in arabo, è stato delizioso (se vi ricordate il film è ambientato durante la guerra in Iraq). La Vita è bella, invece, è tutta un’altra cosa. Da non esperto di cinema quale sono, quindi solo apprezzandone il godimento, lo considero il più bel film che c’è. Merita un capitolo a sé stante il fatto che il film affrontasse il tema dell’Olocausto, con bambini che non ne sapevano nulla, e che sono educati a odiare gli ebrei fin da bambini. Avevo qualche remora al proposito, ma ho trovato in Ahlam un’insperata molla propulsiva: abbiamo visto la prima parte assieme, e poi la seconda parte l’ha valutata lei prima di farla vedere ai bambini, e il suo responso è stato – dobbiamo farlo vedere ai bambini. Però che Hitler ammazzasse anche gli omosessuali non l’ha voluto dire, lei stessa ha scoperto dell’esistenza dell’omosessualità alle porte dei trent’anni.

L’iniziativa, comunque non è piaciuta soltanto ai bambini, anche Mahdi – il fratello di Ahlam, che la viene a prendere ogni sera perché lei non può camminare da sola per strada – è venuto un po’ in anticipo per partecipare alla visione:

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E poi c’è stata la volta successiva, in cui dovevamo vedere la seconda parte della Vita è Bella, ma Lana, Ghaida, Rowan, Mohammed, Roa, Marah, Tina e Nasri l’avevano già vista, mentre Jaber no. Quindi abbiamo messo Jaber da solo a vedere la prima parte, continuando le nostre attività nell’altra stanza. Ma non c’è stato verso: Lana, Ghaida, Rowan e Mohammed volevano a tutti i costi rivedere anche la prima parte:

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Così non abbiamo potuto far altro… che arrenderci alle cause di forza maggiore:

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E questa? Beh, hanno voluto rivedere la scena finale, e uno di loro – non ricordo neanche più chi – ha preso la macchina fotografica, e gli ha fatto una foto. Eccola qui:

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Passano gli anni passano

Effettivamente c’era da aggiornare il mio profilo, qui sopra, per far capire un po’ meglio chi sono.
Quella era la pagina in cui andrei io, se arrivassi in questo blog per la prima volta, quindi era un po’ trascurata, a cominciare dal dettaglio anagrafico.

Un amico caro e lontano, oltre a tante cose belle (una sua frase diverrà sottotitolo del blog), mi ha rimproverato la struttura temporale invertita, giocoforza quella dei blog, che rende la lettura di chi arriva qui monca delle prime parti e “senza quei primi post, non credo abbia senso leggere null’altro del resto”, dice lui.

Io gli ho detto che ho rinunciato alla perfezione della ricezione dei miei messaggi, poco dopo aver rinunciato alla perfezione, però anche che ha ragione: quindi ho concatenato fra loro, almeno queste prime 3 parti, dopo il chi sono, e ora? (che, dicono essere la parte più importante), poi di lì la prima pagina del Diario, e la prima pagina dalla Palestina.

Se siete sopravvissuti a tutto ciò, beh, ne sapete di me quasi più di me.

Domenica 11 gennaio

Una piccola confessione – Diario dalla Palestina 131

La mia casa, attualmente, è una bella casa. Grande, troppo grande. Abbastanza vicina al Centro di Amal, e abbastanza lontana dal centro di Betlemme (sapete che anche in arabo si usa la parola markez per entrambi i significati di “centro” in italiano?). Qualche perdita d’acqua rintuzzata, ma nulla di che. La cosa peggiore è che la casa è in effetti molto fredda, perché qui in Palestina il riscaldamento non l’ho mai visto. Si va con le stufe elettriche, ma quelle consumano un sacco e – come dice una voce saggia – “non ti riscaldano se non ti ci siedi sopra”. In ogni caso a casa ci sto poco, e quindi poco male.

La casa è così grande, e tutta per me, perché il proprietario la vorrebbe affittare a due persone (in effetti ci sono due stanze da letto), ma è da quando sono qui che non trova un altro affittuario, quindi me la godo tutta io pagando metà affitto, cioè perfino un po’ meno di quello che pagavo nella casa precedente che era un buco. In questa casa posso ospitare chi mi viene a trovare senza alcun problema – se non per il freddo – ma il mio programma era, dalla seconda metà di gennaio, di andare a vivere in un campo profughi.

Un’esperienza che volevo provare e che – ovviamente – avrebbe comportato qualche scomodità in più, specie per l’ambiente attorno: ecco, oggi mi ha chiamato la persona con la quale mi ero messo d’accordo e mi ha chiesto se – per favore – potevo rinunciare perché c’erano delle persone che avevano veramente bisogno di quella casa (mi ha parlato di Gaza, in qualche modo, ma credo fosse un pretesto). Che ovviamente se avessi insistito, l’avrei presa io, ma che a queste persone serviva veramente.

Ecco, devo dire che – alla fine, in fondo – un po’ sono stato contento di rinunciare. Le ho detto di farmelo presente qualora trovasse un’altra casa, e di tenerci comunque in contatto, ma …insomma – nonostante un ragionamento serio che si era concluso con un “è un’esperienza davvero interessante: per un periodo ne vale la pena” – ho tradito una buona parte di me a essere attaccata alla pigrizia delle mie comodità.

«È colpa di Hamas»

Di solito video come questi vengono considerati trofei di guerra, un nemico che dice che la colpa è dei suoi è un boccone così ghiotto. Io lo trovo, al contrario, una dimostrazione di sanità che mi stupisce favorevolmente, per quello che sento tutti i giorni.

Che persino a Gaza, nella roccaforte dei fondamentalisti, ci sia qualcuno che la pensa diversamente e insegna ai propri figli ad allontanarsi da quello che è il pensiero unico in Palestina, financo a neppure citare Israele, è una buona notizia per la Palestina stessa.
Speriamo tanto che quella famiglia, già martoriata da questo bombardamento, non subisca conseguenze da parte delle milizie di Hamas per la pubblicazione di questo video.

Non è anche questo ciò che si diceva quando si diceva che questi bombardamenti avrebbero colpito anche tutti coloro che a Gaza non stanno con Hamas?

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La donna è mobile

(roba che avevo preparato, riscritto – che magari in qualche forma avete già letto – poi non è servita, quindi la metto qui)

Fare volontariato in Palestina attira troppi encomi; così – per sfatare questa nomea di essere tanto buono – racconto sempre di quando vado in bici.

Tutti mi guardano strano perché qui la bicicletta è usata soltanto da bambini e ragazzetti. Ahlam, l’educatrice palestinese che lavora con me, mi ha raccontato che a 13 anni il padre le ha tolto la bici dicendole che non era più il momento di giocare, e che ora doveva essere una donna. In cambio ha avuto un velo con cui coprire collo e capelli. Altri amici betlemiti mi hanno spiegato un altro problema: «se vai in bici significa che non hai soldi per permetterti di meglio, e qui la tua immagine sociale è decisa da ciò che mostri».

Per me, invece, la bicicletta è un mezzo molto comodo – e, appunto, economico – per andare da un capo all’altro della città: Betlemme è piccola; tanto piccola che oramai tutti mi conoscono come quello-della-bici, e chi ha preso confidenza mi chiede «ma perché vai ancora in bicletta?».

Invece di bambini in bici se ne incontrano tanti, in pieno centro o nel bel mezzo del mercato: non so il perché, ma si divertono a terrorizzare i turisti puntandoli e scartando all’ultimo, cosicché i poveri malcapitati si prendano un colpo. Perciò ho perfidamente deciso di prendere contromisure.

Essendo abituato a girare in bici anche in Italia, ho una certa maneggevolezza con il mezzo: così quando fanno per puntarmi contro, io acquisto una faccia ferma e risoluta, quasi da killer, e urlo in italiano qualcosa di insensato: «la donna è mobile!», «qual piume al vento!», «sopra la panca!», facendo finta di essere io il primo a mirarli. Va a finire che sono sempre loro a sterzare, e quando mi giro e li saluto in arabo vedo che si sono presi un bel colpo, ma – forse per lo scampato pericolo – non sono mica arrabbiati: anzi, un paio di volte m’hanno persino chiesto di rifarlo!