Qualche sofisma sui sofismi su Israele

Non avevo commentato questo post di Leonardo, e i seguenti, nonostante avessi qualcosa da dire e il tema fosse – come sapete – di mio interesse, per non tormentarlo, dopo aver provato a fare debunking su alcuni luoghi comuni su Hamas in cui mi sembrava essere incappato. Inoltre Leonardo scrive tanto bene che il dubbio più sciocco che c’è, ovvero quella di essere invidioso, sarebbe venuto anche a me. Poi due persone via email e una qui mi hanno chiesto di scriverne, di scrivere il mio parere su quelle cose, così lo do evvìa, senza voler diventare il “critico quotidiano di Leonardo”. Uso come premessa, che vale per me, parole che nei commenti qui Leonardo riferiva a sé stesso:

io non mi considero un grande esperto di questione israelo-palestinese, e se ho deciso di dedicarci così tanto tempo e sforzo da parte mia è soltanto perché continuo a vedere dei professionisti (es. Santoro ieri sera, appunto) che svolgono un pessimo servizio. Quindi provo a far di meglio nel mio piccolo: però non posso garantire un servizio professionale.

In generale credo che dica molte cose vere, e alcune approssimative. Credo anche che il mio approccio sia diversissimo dal suo, volendo sintetizzare al massimo, mi sembra che io ragioni sugli individui e lui sui popoli. Questo ci porta a fare considerazioni molto differenti sulle conseguenze di certe situazioni. Mi sembra inoltre che molti suoi nessi causa/effetto, alcuni dei quali poi non condivido, secondo me, siano giustificazionisti nel senso che detraggono responsabilità individuali, appiattendo meriti e soprattutto orizzonte d’aspettativa. È come se ai palestinesi chiedesse di meno che agli israeliani, per qualcuno sarà una cosa ovvia, per me è una rinuncia etica pericolosamente collimante col razzismo.

Tutto questo in genere, sui punti di Leonardo (il corsivo è un brevissimo riassunto fatto o estrapolato da me, quindi leggetevi l’originale, questo è solo per ricordare di cosa parla):

1. Mozione degli affetti: critica a chi dice “se non sei israeliano non puoi capire”

Completamente d’accordo con L. Accettando questo argomento, si è a favore della pena di morte.

2. Il meno peggio: si può dire di Israele solo se oggi non è peggio di ieri

A me, l’ho scritto anche in un commento, sembra che L non accetti le gradazioni del male. Come dice anche lui Israele è meno peggio di Hamas (e ci vuole poco).  Israele continua a esserlo anche se peggiora. Ovviamente noi non auspichiamo che Israele sia meno peggio, ma che sia buono, come del resto lo auspichiamo per Hamas. Ma questa, comunque, è una considerazione descrittiva. Quindi tutto sommato sono d’accordo, quando si parla delle azioni, dire che “Israele può ammazzare cento palestinesi per ogni sua vittima perché è meno peggio” è illogico e farabuttesco.

Quanto a Arafat, invece dissento fortissimamante: dire che “gli israeliani non hanno accettato di fare la pace con lui”, è preciso preciso il sole che gira intorno alla terra. L mi aveva già risposto su questo punto, dicendo che Camp David + Taba 2000/1 era una pace che “Arafat non poteva accettare” (tra l’altro, quindi e appunto, è Arafat che non ha accettato?), se – come credo, insieme a quasi tutti – quella (94% + 3% della Cisgiordania, + 100% Gaza con Geru Est capitale) è la miglior offerta di pace che i palestinesi avranno nella Storia, Arafat non poteva, ma doveva accettare. Se non per sé, per la sua gente. Difatti, dopo l’ennesima guerra persa (la catastrofica seconda intifada), la prossima pace sarà peggiore di quella lì. E così via.

E poi non ho capito perché il ragionamento del meno peggio va bene per l’interlocutore (Arafat vs Hamas) e non per gli stati (Israele vs Gaza/Hamas).

3. Il cratere: a Israele viene perdonato tutto perché potrebbero fare di molto peggio

È chiaro che chi dica “Israele potrebbe radere al suolo Gaza e non lo fa, quindi è bravo e buono” è in malafede o un po’ scemo, ma io questa argomentazione l’ho sempre sentita usare in risposta a degli altri argomenti più disonesti: “Hamas è uguale a Israele”, “Israele vuole sterminare tutti i palestinesi”, oppure proprio quello che si domandava L sul punto precedente: “Sicuri che [Israele] sia ancora [il meno peggio]?”. In questo caso mi sembra molto consistente l’argomento: no, se Israele si comportasse come Hamas raderebbe al suolo Gaza. È come dire “Israele fa cose molto sbagliate e Hamas fa cose sbagliate, ma Israele non fa cose enormemente sbagliate perché non vuole, Hamas perché non può”. È un modo per essere onesti intellettualmente, mentre chiediamo che Israele la smetta, ringraziamo il cielo che Hamas non abbia quella potenza militare.

4. UDMO: Israele non è l’unica democrazia del mediooriente (Turchia) e comunque che c’entra con Gaza?

Anche io trovo spesso fuori luogo l’argomento dell’unica-democrazia-in-Medio-Oriente. Per quanto io sia un fan sfegatato della democrazia (a occhio e croce direi che L, invece, è un moderato estimatore) non capisco cosa c’entri questo con Gaza. Può avere avuto a che fare con le guerre passate, ma l’attacco a Gaza non ha a che vedere con la prassi di governo. Anzi, sarà anche un argomento usato da chi ha pregiudizi, ma è vero: senza le elezioni israeliane l’attacco non sarebbe avvenuto o – forse più probabilmente – sarebbe finito prima.

Poi vabbè, credo che l’obiezione della Turchia sia un po’ sciocca, nel senso che è scendere sullo stesso piano linguistico/pretestuoso di chi fa quell’obiezione (anche se capisco che talvolta scendere sullo stesso piano sia utile), perché è chiaro che chi fa quell’obiezione intende dire che intorno a Israele ci sono un sacco di stati che nel corso della storia gli hanno fatto guerra e questi non sono democrazie. E quindi che la Turchia ci sia, o non ci sia (fra l’altro proprio nella pagina linkata da L la Turchia è fra gli stati “talvolta considerati Medio Oriente”) cambia nulla.

5. Morte potenziale: se anche i palestinesi vogliono distruggere Israele, poi muoiono più palestinesi

Secondo me questo argomento si esaurisce nel secondo. Poi il fatto che muoiano più palestinesi che israeliani non toglie il fatto che la gran parte dei palestinesi vorrebbe distruggere Israele. Certo è che calcolare i morti come fa Kissinger è chiaramente un modo propagandistico filo-israeliano per cercare di mescolare le carte in tavola. Io non l’ho sentito mai fare, comunque e per fortuna, ma anche L dice che “oggi non va più per la maggiore”, quindi molto probabilmente è per questione d’età.

Aggiungo che, dando per scontato che ciò che sta succedendo a Gaza non è paragonabile, non ho mai trovato un modo che non mi sembrasse stonato per “contare” il danno arrecato dai Quassam. Perché da una parte c’è il danno potenziale e quello reale di come è costretta a vivere la gente (enorme), dall’altro quello reale dei morti (quasi nullo), e qualunque idea che provo a farmi, non mi convince in un senso o nell’altro. Mi ricorda un po’, a parti invertite (e ovviamente non al di fuori della green line ), la discussione sul Muro.

6. Matrimonio gay: perché è il metro di laicità? E poi c’è perché sono ricchi (a scapito dei palestinesi)

L si domanda perché il matrimonio gay sia cartina tornasole della laicità di una nazione. A me sembra ovvio: perché i fontamentalismi di Ebraismo, Islam e Cristianesimo ce l’hanno a morte (letteralmente) con i gay. Quindi come siano trattati è un buon metro per stabilire quando una nazione sia laica, e cioè libera dai dettami di tali religioni.

Anche per questo fa bene L a citare tutte le contraddizioni vive in Israele (non si celebra il matrimonio civile, ma gli omosessuali possono adottare bambini). Trovo che invece faccia malissimo a dire cose come “Troppo comodo accusare i palestinesi di oscurantismo a pancia piena”. Ma che vuoldire? Ci sono un sacco di stati oscurantisti che hanno i quattrini, e che restano oscurantisti. Ma poi proprio che vuoldire, cosa significa? A me non sembra per niente “comodo”, o facile come detto altrimenti, dare diritti alle donne e agli omosessuali. Cioè, fosse per me sì, anche a pancia vuota, ma basta guardarsi intorno.

Che poi il fatto che a Betlemme non esista una libreria (non religiosa) sia – in parte – colpa degli israeliani è assurdo. Cioè, sull’economia ci sarebbe da discutere, ma che l’apertura della e dalla cultura israeliana sia costruita a scapito di quella palestinese (semmai è il contrario) è un nesso causa-effetto che non capisco, di quelli a cui accennavo sopra. E ancora un altro poco stabile nesso causa/effetto quando si dice che la militarizzazione del conflitto è – in parte – data dal fatto che in Israele l’economia va male. A me tutte queste “parti” sembrano completamente prive di senso. Tutta questa “ovvietà” non ce la vedo.

7. Indignazione selettiva: parlo di Israele e non del Darfur perché penso di avere più cose (interessanti/originali) da dire

Sì, ha ragione L e capisco benissimo il punto. In un confronto di idee, si confrontano le idee, sul Darfùr si è tutti d’accordo. Io uso un argomento affine soltanto quando penso che ci sia un pregiudizio nell’interlocutore (e perché su x la pensi diversamente?): ma non so se è il caso di L.

8. Bambini morti: se non mi convincono gli argomenti non mi possono convincere le foto

Delle volte le immagini servono a spiegare cose che con le parole si fatica a fare, o ci si mette molto più tempo: non è sempre per suggestionare. Con questa precisazione, completamente d’accordo.

9. Antisemiti: se Israele si comportasse meglio io non criticherei Israele quindi non c’entra l’antisemitismo

Rispetto ai punti  qui sviluppati penso che: esistano gli antisemiti di  sinistra, che sono molti meno degli antisemiti di destra. Anche perché per essere di estrema destra devi essere antisemita, e non vale il viceversa. È anche vero che è molto più facile individuare l’islamofobia, perché è abbastanza collegabile con una parte dell’arco politico (qui non tratto del razzismo di riflesso di chi, di sinistra dice “i mussulmani non sono pronti per la democrazia”), più a destra si va più si è islamofobici, con l’eccezione dell’estremissimissima destra che vede nell’Islam una società che ha mantenuto quei valori di un tempo, etc. L’antisemitismo è un po’ più sparpagliato.

Però c’entra molto meno spesso di quanto venga tirato in ballo con la questione di Israele, è vero che sovente critiche al governo israeliano sono bollate come antisemite, e questo solo per agitare il simulacro dell’Olocausto. Talvolta sono cose con pregiudizio antiisraeliano, altre volte sono critiche sensate, e quella è una scorciatoia facile e insana.
Chi difende Israele, nella maggior parte dei casi, dovrebbe parlare solo di antiisraeliani. E dovrebbe (giustamente) censurare la cosa come tale.
Possiamo fare un esempio su questi punti: nessuno di questi è minimamente antisemita, qualcuno è un briciolo anti-israeliano, ma non mi stupirebbe che qualcuno accusasse Leonardo di antisemitismo per le cose che ha scritto.

Ovviamente qui parlo dell’Italia e dell’Europa, perché negli Stati Arabi l’antisemitismo è una componente inscindibile, non solo in quanto ebrei (ovviamente anche) ma anche in quanto appartenenti a una diversa religione. Nella società araba l’odio per gli appartenenti a un’altra religione, in quanto tale è molto vivo. Per dire, i cristiani di Betlemme ce l’hanno a morte con i mussulmani di Betlemme, ben più che viceversa.

10. Muftì: i palestinesi si sono alleati con Hitler? Embè? E comunque nei campi profughi non ne sanno più nulla

Non è vero che nei campi profughi non ne sappiano nulla, ci sono svastiche su un sacco di case e mi è capitato più volte di sentire persone che inneggiano a Hitler. Che conseguenze ha questo? Boh, sicuramente che facciano più paura a Israele.

Dopodiché il fatto che i palestinesi fossero coi nazisti (nel senso in cui lo erano gli italiani) e gli ebrei con gli alleati è stato una parte di quel 53% a 47% della risoluzione 181 di creazione di Israele e Palestina, magari senza di ciò sarebbe stato un 40 a 60% con i deserti ai palestinesi. Come se, più grave, i palestinesi avessero dichiarato il proprio Stato anziché dichiarare guerra a Israele avrebbero da sessant’anni la metà di quella terrà anziché dover lottare per il 22%. Ma queste sono responsabilità collettive e solo argomentazioni storiche. Se anche il trisnonno di Ahmed è stato nazista, questo non dà all’esercito israeliano un motivo in più per bombardarlo.

Fine, fine, fine.

Venerdì 16 gennaio

Lost & found – Diario dalla Palestina 136

A testimonianza dell’assurdità della storia della bicicletta bomba, ieri abbiamo passato metà pomeriggio con i bambini a fare un indovinello su cosa fosse successo alla bicicletta, e ci hanno messo veramente tantissimo per indovinarlo. Quando ho rivelato l’arcano e ho fatto vedere loro le foto, sono andati a raccontarlo ai loro genitori, e i loro genitori gli hanno detto “no, ti stava prendendo in giro, è uno scherzo: non è mica possibile”.

Intanto ho perso una bici ma ho guadagnato un negoziante di fiducia, l’altro giorno mi aveva dato 10 shekel di resto in più, e io gli avevo detto “la, la”, no-no, lui aveva fatto la faccia incazzosa pensando che mettessi in dubbio la sua onestà, e quando ha visto che invece gli stavo dando indietro i dieci shekel si è illuminato. Ci sono tornato ieri, e mi ha trattato con una gentilezza incredibile.

Aggiornamento

Nuove teorie accreditate sulla faccenda Bicicletta bomba: mio nonno (lui dice di aver letto molti libri sul Mossad) sostiene che la bici perforata di colpi sia chiaramente un avvertimento ai miei danni, da parte dei servizi segreti israeliani, che non sarebbero felici del fatto che faccio il volontario in Palestina.

Soltanto che lui ci crede davvero.

LA BICICLETTA BOMBA

SUICIDE BICYCLE – Diario dalla Palestina 135

Preparatevi ad ascoltare la storia più assurda del mondo. Più assurda dell’incidente con il matto + incontro con sanità palestinese? Peggio, molto peggio. Calmi. Tranquilli. Ben adagiati sulla sedia.

Ora lo sto scrivendo, domani lo pubblicherò: ho paura di non crederci più, domani, da quanto è incredibile.

Antecedenti: i miei giorni liberi sono il lunedì e il mercoledì, che sono i giorni in cui non lavoro con i bambini, l’insegnamento dell’italiano non l’ho ancora ricominciato, né ho cominciato il monitoraggio ai check-point. Quindi o di lunedì o di mercoledì, spesso, vado a Gerusalemme. A fare compere, a fare un giro, a prendermi una birra (che a Betlemme è più difficile trovare).

Ho una bici. Avevo una bici. Questa bici multa per aequora è il mio mezzo in Palestina. Ed è anche stata protagonista di varî aneddoti, ma questo supera qualunque cosa: altro che aequora!

Quando vado a Gerusalemme vado con la bicicletta. O meglio, d’estate andavo in bici, ora è troppo freddo, e allora mi faccio quel paio di chilometri che separano casa mia dal check-point in bici, supero il check-point e lego la bici in fondo a una discesetta. Ho chiesto un paio di volte ai soldati dove metterla, una volta mi hanno detto «dove vuoi», un’altra mi hanno detto «lì», indicando una specie di ringhiera. Così è lì che la lego sempre. Faccio così perché superare il check-point in bicicletta anziché a piedi è molto più facile, quando c’è fila. Certo, le macchine impiegano molto più tempo a essere controllate, però quando sei in bici non fanno nessuna perquisizione cosicché posso passare avanti a tutti senza arrecar loro nessun danno, faccio vedere il documento ai soldati, loro di solito manco mi guardano, e delle volte non devo neanche fermarmi. Passarlo a piedi invece è molto più complesso, varî metal detector, e se c’è fila bisogna aspettare.

***

Stasera tornavo a Betlemme dopo la giornata a Gerusalemme, e arrivato a un mezzo chilometro dal check-point vedo una fila bella lunga. E lo spiazzo di fronte al parcheggio completamente libero. Fanno così quando pensano ci sia una bomba. Mi era già capitato una volta in autostrada, si aspetta, e poi si riparte.
Però con me ho la mia macchina fotografica, e decido di scendere per vedere quel che succede, e fare un po’ di foto da lontano (perché i soldati non sono mai contenti che li si fotografi): chissà, mi dico, magari interessa a qualcuno dei miei amici vedere cosa fanno quando pensano ci sia una bomba.

Questo è lo scenario che mi si presenta. Ancora non so a cosa sto andando incontro:

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Mi avvicino e vedo dei mezzi militari che non ho mai visto in vita mia, uno è un antimine, si riconosce da degli aggeggi che ha sopra, altri non so. Così mi avvicino, penso: accidenti dovrò aspettare, non posso neanche fare il giro lungo da Beit Jalla perché la mia bici è nella zona bloccata. Così mi avvicino.

Mi avvicino ancora, ora sono quasi al bordo del cordone di polizia dove i curiosi si affacciano, e vedo una cosa stranissima, incredibilmente simile ai robottini che si vedevano in certi cartoni animati; questo robottino sta attorno a un oggetto metallico, in mezzo alla strada, con delle cose che sembrano braccia (poi scoprirò essere bocche di fuoco). In quel momento cerco con gli occhi, in lontananza, la mia bicicletta. Non c’è. Volto lo sguardo di quel poco per focalizzare sull’oggetto metallico e: «oddio… quella è LA MIA BICI!!!».

Per un attimo penso: “Che ho fatto?”. Un dubbio di colpevolezza che potrebbe venire solo in questa maledetta situazione fra israeliani e palestinesi, ché qualunque cosa tu faccia potrebbe essere sbagliata, e tanto basta per farti stare sempre sulle spine: avrò fatto qualcosa di male? Qualcosa che non si può?

Poi penso che no, non c’è nulla che abbia fatto di male, nulla che non abbia fatto le altre volte. No, non era oggi che mi era caduta una penna dalla tasca alla sbarra del check-point. Non era oggi che sono passato e quella al check-point m’ha richiamato per un altro controllo. Ripeto a tutti i soldati che mi dicono «non puoi passare», «that is my bicycle!!!», tutti hanno una faccia stupitissima, e mi lasciano passare. Intanto che mi avvicino alla bicicletta penso: ecco, è la volta buona che qualcuno ha cercato di rubarmela, so che tutti i lucchetti sono “rompibili”, con del tempo da perdere. Ho sempre questa paura quando torno dalla mia bici, di non trovarla più. Mi succede anche con il motorino, a Roma. Eppure non mi hanno mai rubato né la bici, né il motorino. Penso: qualcuno avrà provato a rubarla, sarà arrivato un soldato e quello è scappato. Poi pensando chissà che cosa fosse hanno fatto dei controlli.

Sono sulla bicicletta. I soldati intorno a me non dicono nulla. La vedo, la tiro su, dal mezzo della strada, e mi prende un colpo: la vedo perforata di proiettili. E vedo i proiettili per terra. A quel punto, in un attimo penso davvero di tutto: penso al tassista con cui mi sono lasciato a male parole qualche settimana fa – mia sorella mi aveva domandato «ma non hai paura che si ricordi di te?». Penso a qualunque cosa.

Riappoggio la bici dove stava prima, voglio chiedere ai soldati se hanno visto il lad… in quel momento faccio due più due, vedo la bici, vedo i proiettili per terra, vedo quel robottino che cammina in mezzo alla strada, mi volto verso quello che capirò essere della squadra anti-bombe e con una faccia che doveva essere sconvolta, a mani congiunte, esclamo: «what have you done?!?». Quello mi guarda, non parla inglese, forse è russo, dice solo: “security”.

Questo è l’aspetto che ha la bici quando la riappoggio alla ringhiera: il cerchione è divelto, e la ruota davanti ha un buco largo metà spessore, quello dietro sembra solo scheggiato in punta ma la camera d’aria dentro è come se non ci fosse più. Il telaio ha tre buchi di una larghezza incredibile per dei proiettili, e sembra bucato come fosse gomma. Il lucchetto, mi avevano assicurato fosse resistentissimo, è completamente scardinato (dovevo inventarmi che chi me l’ha venduto abbia detto “resiste anche all’esercito israeliano”, no?):

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Queste sono i bossoli dei colpi che raccolgo da per terra, mi domando come un coso del genere possa fare tanto, ma suppongo sia normale:

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Tutti quelli che arrivano lì fanno quelli molto incazzati, quando gli dico che un loro collega mi ha detto che la potevo mettere lì, che se lo vedo in faccia so dir loro qual è, che è da quest’estate che metto la bici lì una volta a settimana, si zittiscono e l’unica cosa che riescono a dire è “security”.

La cosa assurda è che la bici non era vicino al check-point, cioè era oltre il parcheggio delle macchine (e mi pare più probabile, o almeno più provata una “autobomba” che una “bicicletta bomba”).

Gli dico che sono completamente matti, e ora che cosa faccio con questa bici? È completamente inutilizzabile. Il tipo russo dell’antimine, sembra Homer Simpson bianco bianco, mi dice che non mi devo preoccupare che mi ridaranno i soldi.

Così mi danno questo foglio, scritto solo in ebraico e in arabo e compilato in ebraico dicendomi che devo portarlo in un posto a Gerusalemme, per farmi ridare i soldi. Un modulo tipo standard, in carta copiativa gialla: certo non è da tutti i giorni avere un modulo dell’antiterrorismo.

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C’era poco più in là un soldato che avevo visto un paio di volte, lui mi dice “you can dream”, cioè i soldi te li sogni. Io sono veramente curioso di questa cosa, perché potrebbe essere un buon esempio di come funzionino le cose in Israele. Sono pazzi scatenati con la sicurezza (e per molti versi è comprensibile) e sanno di esserlo, o sono pazzi e non se ne rendono conto? Perché ho avuto racconti in tutti i sensi, cioè persone a cui l’esercito ha detto “per ragioni di sicurezza ti dobbiamo tirare giù la casa, porta fuori la tua roba”, ma poi gli hanno dato il doppio dei soldi, oppure altre volte che se ne sono proprio fregati dicendo solamente “security”.

Certo, si trattasse di una macchina sarei più in pensiero per i soldi, ma così sono proprio curioso di sapere se mi ridaranno ‘sti soldi. Se me li dànno devo organizzare qualcosa, magari una cena offerta con quei soldi solo a chi raggiungerà il risorante in bici. Vi terrò informati.

È finita che ho saputo che avevano chiuso il check-point e tenuto la gente bloccata in fila per due ore (DUE ORE!) dopo che la bici era lì da forse 8 (quindi per 6 ore non aveva costituito un pericolo, poi sì). E non era stata un pericolo tutti gli altri lunedì/mercoledì in cui ero andato a Gerusalemme/Tel Aviv/etc e l’avevo lasciata esattamente nello stesso posto.

L’unica ipotesi che ho fatto è che sia passato di lì un grande capo della sicurezza, e qualcuno animato da uno zelo diverso da quello da quest’estate a qui ha pensato furbescamente: “Facciamogli vedere come siamo efficienti”. Magari mancavano i soldati che mi avranno visto passare mille volte, e così hanno chiamato tutto l’ambaradàn.

Il tassista che mi riaccompagna a casa, con la bicicletta nel bagagliaio (la mia nemesi, proprio ieri facevo ironia sul fatto che i tassisti si fermassero per me anche quando ero in bici: cosa pensano che voglia montare sul taxi con la bici? Ecco, me lo merito), mi ha detto che oggi devo andarlo a raccontare alla TV palestinese.

p.s. Mi è venuto in mente il colmo di tutto ciò: chi mi ha dato la bici, me l’ha data con una catena incastrata sul manubrio perché aveva perso la chiave: è ancora lì, perché non ho mai trovato come toglierla, e me ne ero comprata un’altra. Una volta avevo chiesto a un soldato se potevano tagliarla loro e questo soldato mi aveva risposto: «non abbiamo niente per farlo».

Mercoledì 14 gennaio

Speriamo questa guerra finisca, anche per questo – Diario dalla Palestina 134

È da ieri sera, quando è successo, che mi sto domandando se sia peggiore il fatto che due miei amici palestinesi – per altri versi molto per bene – esultassero al video mostrato da Al Jazeera della morte di un soldato israeliano, se invece sia peggiore il loro “certo” quando gliene ho chiesto conto, o se infine sia peggiore il pensiero di coloro che li giustificherebbero perché è-ovvio-che-eccetera trattandoli come una colonia batterica.

Tutte e tre le cose mi suscitano una costernazione di un genere molto affine a quella che sento, quando vedo le morti dei bambini di Gaza, sebbene queste ultime – purtroppo – non siano solo nella mia testa.

Auto pedofilia

Beh, forse in Palestina le ammazzerebbero direttamente, ma almeno non sarebbe così ridicolo – la storia è questa: tre ragazzine americane (minorenni) si fanno delle foto nude o mezze nude con i telefonini (e poi le mandano a altri ragazzini) e vengono arrestate per pornografia infantile – di loro stesse.

Il parere è mio, e me lo gestisco io

Io non sono d’accordo con Luca S quando, secondo me, sottostima il bene che può ispirare il credere in Dio: per dire, io sarei tanto più contento di credere, che tutto non finisse nel nulla, e che insomma il senso non si ricavasse (spremendo) dal solo intervallo di tempo fra il nascere – casualmente – e il morire – talvolta altrettanto casualmente.

Però quando censura il luogo comune più venefico che c’è – quello secondo cui cercare di convincere l’altro delle proprie ragioni non sia una cosa altruista (perché in fondo, che ti frega?) ma una cosa negativa – mi viene da fargli tanti applausi.

Così ricopio qui una parte di quello che scrissi a 18 anni (sì, ho detto a diciott’anni, quindi siate clementi con lo stile un po’ arioso):

LA FIERA DELLE BANALITÀ / parte terza (grazie a Enrico)
Ovvero: – il carro dei millantatori poco convinti.
“Non ti voglio mica convincere delle mie ragioni”

Poniamo il frequente caso in cui dopo ore di discussioni (e magari fossero ore)
i due dialoganti giungono alla bieca e triste convinzione,
sempre troppo presto per quanto mi riguarda,
che ognuno la pensa come la pensa e chi vivrà vedrà

quando capita mi domando sempre perché mi ostini a tentarla una discussione
ma è più forte di me:
vorrei, vorrei parlare
sarei addirittura disposto a fare la parte del reazionario di destra
o dello stalinista del socialismo reale,
o del cattolico osservante per poter parlare un poco.

ma il peggio giunge
quando nell’ultima dissertazione,
e ti accorgi che è l’ultima poprio da questo arguto incipit,
uno dei due dialoganti sostiene:
“io non ti voglio mica convincere della mia idea”
come se cercare di provare concretamente
la propria opinione fosse un’offesa
un attacco
che parlo a fare se non vuoi che dimostri le mie ragioni?
è ovvio che voglia dimostrartele, voglio farti vedere che ho delle prove concrete riguardo a ciò che dico
e spero tu non sia da meno.

non mi offenderò se tu alla fine del dialogo rimarrai stretto avvinghiato alla tua ottica,
ma il mio intento è proprio dimostrarti le mie ragioni,
sperando che possano esserti utili per modificare e accrescere il tuo pensiero
tanto quanto il tuo medesimo comportamento servirà a me.

Quindi basta finiamola.
Sì che vuoi convincermi della tua idea
non con un coltello puntato alla gola
ma con la semplice idea
il gentile e innocuo scambio di opinioni
dove la mia opinione esce fuori, fa capolino,
ma non ti tocca e la tua fa lo stesso
non è fertile

produce chiacchiere certo,
ma non è fertile

Il problema è che:
a questo uomo qui non va proprio giù
l’idea stessa del “movimento”
la Storia.

e pensare che incontrare qualcuno che infonda in te uno stimolo a modificare la tua propria idea
è così amabile.

Quando i bambini hanno capito tutto

Le norme che regolano gli spostamenti in Israele e nei Territori Occupati sono estremamente complesse, c’è sempre una diversa fattispecie, un’eccezione non contemplata. Per fortuna delle volte questi pericolanti compromessi servono a districarsi fra le mille ragioni di sicurezza vere o presunte. Come nel caso di Karimi, un ragazzo che studia al lycée française di Gerusalemme. Far studiare i propri figli alla scuola francese è un modo per dar loro una via di fuga, e magari ottenere il visto per la Francia. Lui però vive a Betlemme, e ha il “documento verde”, quindi non può mettere piede in Israele. Così si è stabilito che quella scuola, in realtà un convento affittato all’ambasciata francese, viene considerato territorio francese. E persino il pulmino che lo va a prendere, gli fa passare il check-point e lo porta a scuola è ufficiosamente riconosciuto come suolo transalpino. In teoria Karimi, nei 10 chilometri che separano Betlemme da Gerusalemme, non potrebbe scendere per fare pipì: ma questo è lo stratagemma ingegnato per permettere a tutti di fare il proprio dovere, anche ai soldati al check-point.

Come in tutte le scuole francesi sparse per il mondo, non si insegna solo il francese, ma anche l’arabo e (facoltativo) l’ebraico, quali lingue locali. E certe volte sembrano essere i bambini ad aver capito tutto delle contraddizioni di questo conflitto: una maestra di francese mi ha raccontato di un bambino, figlio di due arabi-israeliani, che non sopporta l’insegnante d’arabo. Per quanto quella sia la lingua madre di entrambi i genitori, e l’unica lingua parlata in casa. L’altro giorno è andato dall’insegnante in questione e gli ha detto: «Ho deciso che non devo più fare arabo». Allora il maestro gli ha chiesto: «E perché..?» E lui, inventando di sana pianta: «Perché mio padre è ebreo, e mia madre francese».

[Unità, ieri]

Martedì 13 gennaio

‘zo vuoi? – Diario dalla Palestina 133

Qui in Palestina, per le ragioni più volte spiegate, non sono proprio abituati alle bici in strada quindi tutta la segnaletica – che chi è abituato ad andare in bici conosce – non viene compresa. Neanche la più intuitiva. E poi succede che qui non ci siano veri e propri mezzi pubblici, ma macchinoni lunghi lunghi adibiti a taxi collettivi, e almeno il 30% dei mezzi che girano sono taxi o Service, che sarebbero questi altri. Così capita che quando io indico a quello dietro a me che sto per girare a sinistra, se sull’altra corsia passa un taxi o un service (cosa abbastanza comune), il conducente non capisce che gli sto indicando una mia svolta, ma pensa, dal gesto con l’indice puntato, che io stia cercando di fermare il taxi.

Mi è capitato più volte che quelli, vedendomi in bici, mi facessero una faccia come dire “ma che vuole questo? Montare con la bici sul taxi?”.