Fra il dire e il vedere – Diario dalla Palestina 53
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PO-PI PO-PI PO-PI (sarebbe il suono della sirena)
Avete presente Benny Hill? Tutto quello che succederebbe in una puntata del Benny Hill show, succede negli ospedali palestinesi. Eravamo all’arrivo di Nabil, ci si spiega, gli infermieri dell’ambulanza fanno quindi per portarmi in ospedale. Mi spiegano che devo salire lì. Ovviamente non ci riesco, non riesco a stare in piedi. Allora prendono la barella, la sistemano per bene, e riescono a farmi montare sull’ambulanza: stanno per chiudere il portellone quando gli faccio notare che il mio piede è fuori dal mezzo, se sbattono la porta ora – con il piede nel mezzo – non fanno la miglior cosa. Allora tirano indietro la barella, ancora, e tutto va a posto: lo ripeto, non è che le cose non funzionassero – anche poi in ospedale – erano perfette, ma chi le azionava sembrava un pizzaiolo partecipante alla trasmissione televisiva “fai l’infermiere per un giorno”. Semplicemente non avevano realizzato che fossi più alto dei pazienti che hanno di solito, quando gliel’ho fatto notare hanno subito aggiustato le cose.
Con me in ambulanza c’è un infermiere, l’altro è impegnato a guidare l’ambulanza nel peggior modo possibile, impennando su tutti i dossi di Beit Jalla (l’ospedale è in cima alla collina). L’infermiere mi spiega che devo tenere il ginocchio dritto, gli spiego che se lo tengo dritto mi fa male, allora in tono solenne mi dice che lo posso tenere piegato. Qualche minuto dopo mi ri-intima di tenere il ginocchio dritto, gli dico che è come 5 minuti prima, che se lo tengo dritto mi fa male, e piegato un po’ meno. «Ah, già» dice, e mi chiede scusa. Arriviamo.
OSPEDALE
Arriviamo lì e l’impressione è che non abbiano idea di quello che sta succedendo. Davvero, sono lì seduto sulla sedia a rotelle, con una gamba tutta viola ed escoriazioni sulla faccia, e sulle due gambe. Arriva un infermiere mi fa sedere su di un lettino: mi prende il polso per misurare la pressione, poi mi ficca un termometro sotto l’ascella per misurarmi la febbre!(!!)
Per fortuna arriva Nabil, riescono a capire che mi devono fare una lastra a questa benedetta gamba.
Attese attese attese, mi portano su e giù, nel frattempo varie persone sbattono contro la mia gamba sulla sedia a rotelle; dei vari guidatori che si susseguono al timone della sedia a rotelle, l’unico che non mi fa sbattere contro qualcuno è Nabil, che è anche l’unico a non far parte del personale medico. Avrò sbattuto almeno 8 volte, fra porte, persone, ascensori, macchinari.
Prima di entrare nella sala dei raggi X una signora inizia a farmi un po’ di domande in un inglese assurdo, che non mi sembra con accento arabo: un quarto d’ora dopo scoprirò che è orientale, direi filippina. Un quarto d’ora dopo, perché per tutto il tempo in cui mi parla, io sono stato piazzato precisamente con le spalle a lei, e a lei non viene minimamente in mente di girare la sedia, in modo da potermi parlare in faccia: sosteniamo questa conversazione così, come se fossi un caso umano (sulla sedia a rotelle!) del Maurizio Costanzo Show che non si vuole far riconoscere dagli spettatori a casa.
COMMISSARIATO
Dopo che la radiografia ha escluso fratture, andiamo a portare il referto alla polizia, e a comprare le medicine inopinatamente prescritte da uno sbadigliante primario (?). Arriviamo al commissariato, che è un palazzone con stanze spoglie e puzza di pipì: tutte le stanze sono uguali, vuote con un’immagine di Arafat. La stanza del capo è altrettanto spoglia, con solo alcune bandierine sulla scrivania (più grande delle altre scrivanie), in una stanza più grande, con una foto di Arafat più grande.
Quando arriviamo l’incidentatore sta rilasciando la propria testimonianza, dice che venivo dalla parte opposta a quella dalla quale venivo veramente, e che gli sono andato a sbattere contro io. Scoprirò poi che è in buona fede: non ha nessuna idea di ciò che sia successo, lui dice solo l’ipotesi che a lui pare più verosimile dal suo punto di (non) vista. Fanno entrare noi, alla presenza del tipo, io zoppico vistosamente e non riesco a camminare e per fare le scale avrei bisogno di due persone. Tuttavia basta un’occhiata alla mia gamba, alla bici tutta piegata, o al referto dell’ospedale per dimostrare che la sua versione sta in piedi meno di me (fossi venuto da dove dice lui mi sarei fatto male, semmai, all’altra gamba). Il poliziotto che ci accoglie mi chiede cosa richiedo da lui: dico che a me basta che lui dica come siano andate veramente le cose, che paghi le spese mediche, e che mi riaggiusti la bici, non voglio mica danni morali o che.
In questo momento lui capisce di essere in una condizione di enorme sfavore, e acconsente alle mie richieste. Tuttavia anche il poliziotto capisce la sua situazione di sfavore, e vuole “fargliela pagare”. Letteralmente. Insomma, è più o meno norma della polizia di qui “farci la cresta”, ovvero guadagnare in qualche modo sul soccombente, in questo caso lui. Ci fanno compilare tre volte, in tre diversi uffici, tre verbali esattamente identici, anzi li compilano loro: mi chiedono, fra l’altro, come si chiama mio padre, e qual è la mia religione. È proprio l’elemento religioso che diventa protagonista dell’ultima parte di racconto. In uno dei vari burocratici cambi d’ufficio (per ognuno c’è un’attesa di 15 minuti) Nabil e il tale si presentano: basta il nome perché Nabil capisca che è cristiano «è cristiano, è una brava persona», mi dice. Quindi mi chiede se vogliamo creargli qualche problema.
Gli rispondo che no, figurarsi, tantopiù che ha ammesso di aver fatto una minchiata assurda. Mi dimentico di dire che sarebbe stato lo stesso, per me, se fosse stato mussulmano.
Così da quel momento in poi si invertono le parti, io Nabil e il guidatore che ci prodighiamo per fare sì che lui non abbia la multa e che la polizia non gli crei problemi. Alla fine Nabil riesce a parlare con il capo, e con una via di mezzo fra il ritiro della denuncia, e “le parti si accordano”, riusciamo a non creare problemi a questo cristiano. Lui ci è molto grato.
Restituisce i soldi delle spese mediche a Nabil (per la vostra curiosità, circa 60 euro) e prende la bici per portarla ad aggiustare da un suo amico a Beit Sahour – anche se, per come è messa, dubito che riuscirà a cavarne qualcosa.
NUN CE VO STA’
Uscendo dal commissariato lui chiede a Nabil di andare a vedere la macchina. Nabil, con la faccia da questo-è-matto-davvero-allora, mi chiede di aspettare lì (non cammino ancora decentemente). Io mi dico che non è possibile che dopo tutta questa faccenda, lui ancora non si sia reso conto di quale fosse stata la dinamica effettiva. Invece Nabil torna poco dopo esclamando: «questo non ha visto assolutamente NULLA!».
Il racconto sarebbe finito qui se non fosse che, in una subitanea presa di coscienza del proprio inconscio, l’infermiere che mi aveva testato la febbre si deve essere reso conto dell’inutilità dell’operazione tanto da dimenticarsi (!) del termometro addosso a me: lo conserverò come ricordo e trofeo di questa esperienza.
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P.s. Il termometro segna (e segnerà sempre) 36.9: va’ a vedere che ce l’avevo davvero, la febbre!