Sabato 2 agosto / sera

Solo qui (cit) – Diario dalla Palestina 26

Uno di quei bei post incoerenti che tanto garbano alla diciottenne sorella.

Ho visto il mio primo poligamo dichiarato in vita mia. Dici, ne senti parlare, spesso si argomenta, ma effettivamente – ci ho pensato – non ne avevo mai visto uno, di uomini sposati con più di una donna. E invece capita anche questo, in Palestina.

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Cingolati: ecco un’altra cosa che non avevo mai visto, sulla strada vicino al centro si vedono i segni dei carri armati israeliani, perché quella è la strada che usa(va)no nelle incursioni, sono segni belli tosti: ai buchi delle pallottole, che effettivamente dovrebbero suscitare più angoscia, ci si è più abituati, i segni dei cingoli – invece – fanno un certo effetto.

Volevo far la foto, ma non vengono bene.

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Un’altra cosa che mi ha stupito, ricordo di essermi stupito – quasi scioccato – quando ho saputo che fino a qualche tempo fa sulla carta d’identità israeliana c’era scritto “ebreo” per gli ebrei. Certo, non è che non lo sanno se sei mussulmano, arabo, basterebbe anche il nome, ma il fatto di avercelo scritto sulla carta d’identità ha un connotato simbolico molto forte. Menomale che non c’è più.

Invece in Palestina c’è. L’ho scoperto oggi. Si diceva che, appunto, la religione è un fatto identitario e – appunto – per nulla personale, per nulla religioso? Ecco, non solo se nasci cristiano sei cristiano, non solo è un fatto d’identità, ma ce l’hai scritto sulla carta d’identità, cristiano o mussulmano. Effettivamente di conversioni non ne ho mai sentito parlare. «Hai mai provato a dire che sei ateo?» mi ha chiesto un amico franco-indiano-palestinese «non ti crederebbero, sei italiano, quindi sei cristiano. E basta.»

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Infine due foto, un po’ particolari – anche queste solo in Palestina.

Un bambino palestinese con il cappello dell’esercito israeliano:

israrmi.JPG

E un passo carrabile un po’ particolare:

passo-carrabile.JPG

Sabato 2 agosto / mattina

Come nuvole – Diario dalla Palestina 25

Ieri abbiamo letto la favola della cicala e la formica, poi abbiamo chiesto cosa pensassero della formica, cosa pensassero della cicala, e cosa pensassero del narratore, di de la Fontaine: lui per chi parteggiava? Tutti hanno evidenziato che effettivamente il narratore era dalla parte della formica, ma c’erano molti dubbi su cosa pensare del resto.

Poi ho letto loro, traducendolo dall’italiano all’inglese, e poi in arabo attraverso Ahlam, la lettera di Gianni Rodari Alla formica che fa:
Chiedo scusa alla favola antica
se non sto dalla parte della formica
Io sto dalla parte della cicala
che il più bel canto non vende, regala

Poi, allora, abbiamo chiesto loro di raccontare una storia breve, cosa sarebbe successo nell’inverno secondo Rodari, prima di leggere la vera versione: abbiamo spiegato loro che il titolo era “rivoluzione”. È sintomatico dell’ambiente in cui si trovano a vivere, che alcuni non sapessero cosa significa rivoluzione, che lo considerassero un sinonimo di guerra.

Sono venute fuori delle versioni carine, Mariana ha detto che la cicala se l’era cavata nell’inverno grazie all’elemosine raccolte in una scatola durante l’estate, e che anzi aveva offerto riparo alla povera formica che aveva finito le provviste, e che ciò era servito a quest’ultimo da lezione. Sawsan, ancor meglio, ha raccontato che la formica e la cicala avevano redatto e firmato un contratto per cui la cicala avrebbe allietato le giornate della formica, la quale in cambio avrebbe spartito con lei le provviste. Ahlam ha commentato che quest’ultima era una conclusione molto mediorientale.

Questa invece la Rivoluzione di Rodari:
Ho visto una formica
in un giorno freddo e triste
donare alla cicala
metà delle sue provviste.

Tutto cambia: le nuvole,
le favole, le persone…..
La formica si fa generosa…..
E’ una rivoluzione.

Tutto cambia, speriamo.

Venerdì 1 agosto

Potere alla parola – Diario dalla Palestina 24

Oramai ho imparato quelle poche parole dell’arabo parlato (se parli arabo classico ti guardano male) che servono per avere prezzi da locali, e non da turisti.

Sì, dell’arabo parlato, o meglio dell’arabo “di strada” nella vecchia Palestina mandataria pre spartizione franco-britannica, insomma l’arabo che si parla anche in Libano, Siria e Giordania: in Egitto no, quello è un altro continente. Questo che è sempre stato un argomento dei sionisti per sostenere che non ci fosse mai stato un popolo “palestinese” e una nazione chiamata Palestina. Che il nome “Palestina” sia stato inventato dai romani in spregio agli ebrei, etc. Ovviamente la verità è nel mezzo, ma è curioso che in conversazioni informali questo dato sia sempre raccontato (quando dico che voglio imparare il palestinese, mi dicono sempre «non esiste un palestinese, è l’arabo di strada!»), ma poi negato quando la discussione si faccia politica.

Hai imparato l’arabo dunque, anzi l’arabo di strada? No, in due settimane e con quel tanto di pigrizia, figuriamoci: ho imparato quelle poche parole utili. Una cosa che mi piace molto, ed è un po’ strana per un europeo è che qui, ovunque tu vada, non soltanto saluti (cosa scontata in Francia almeno nei negozi, ma non in Italia) ma chiunque ti chiede come stai: entri in una farmacia per comprare un ciuccio? il farmacista ti chiederà «come stai?». Ovviamente immagino che le risposte siano abbastanza standardizzate, e difficilmente si dirà al farmacista che va male perché la tua fidanzata guarda troppo nuur – la telenovela – e non si dedica a voi (ma non ci giurerei), però il concetto non mi dispiace.

Questo fatto ha poi un effetto collaterale abbastanza divertente, ovvero che basta imparare come si dice e come si risponde a «come stai?», per essere creduto uno che parlicchia l’arabo. Anche se sai soltanto quelle due parole.

Conversazione tipo:
Io – Marhaba (ciao) ((anvedi, te saluto n’arabbo))
Negoziante – Masa el kheir (buona sera) ((certo che a me me pari proprio’n turista))
Negoziante – Kif halak (come stai?) ((vedemo se ce lo sai parlà davero l’arabbo))
Io – Quays/variantegaggiahamdulillah (bene/nacifrabene) ((tiè, hai visto come j’ammollo n’arabbo?))
Negoziante – – (-) ((‘mazza sto qua l’arabbo ce lo sa))
Negoziante – Hal taarfi lloha al arabìa? (ah, parli arabo) ((ah vabbè sei di’i nostri?))
Io – Shuai Shuai (un pochetto) ((in realtà so solo ste du’ parole ma tu nun ce lo sai))
Io – Khadish ada (quanto costa questo) ((mo me devi fa er prezzo de li ‘bboni)
Negoziante – talata shekel (3 shekel) ((vabbè, se sei dei nostri mica te posso fregà))

Dice, e com’è questo prezzo de li ‘bboni, ecco, ho scoperto che qui non esiste assolutamente economia di mercato, i prezzi sono assolutamente fissati, che sia un supermercato o un chioschetto di periferia qualsiasi alimento o oggetto costa lo stesso, quelli che vengono da israele costano un po’ di più, ma ovunque li si compri il prezzo è il medesimo, senza alcuna concorrenza.
Anche per i turisti il prezzo è lo stesso, ed è la cifra che arrotondata si avvicina di più al 250%, se una cosa costa 3, 4 o 5 shekel, ai turisti costerà 10 shekel.

Shekel, sì: scontato per chi c’è stato, non per gli altri – lo sapete che in Palestina, perfino a Gaza, si usa la moneta israeliana con tanto di magen david su essa?