Cioè, Del Piero è stato ufficialmente registrato a inizio competizione come capitàno, quindi è ovvio che quando gioca lui, sia lui con la fascia. Qualora, invece, non giocasse la fascia continuerebbe a indossarla Buffon (non può essere indossata da uno in panchina).
Invece la Gazzetta monta una storia sul fatto che Donadoni non avrebbe gradito alcune dichiarazioni del portierone italiano, punendolo con la revoca della fascia di capitàno. Che noia, dovrò incignare una categoria a sé stante: “dietrologie”.
Per astruse ragioni di aggeggiamenti, stavo appunto aggeggiando con un back-up di un vecchio hard disk e ci ho trovato un file scritto esattamente oggi di tre anni fa. Una persona mi aveva chiesto «ma cosa abbiamo in comune io e te?», e per rispondere a questa domanda avevo pensato che la soluzione migliore fosse prendere 100 cose che facevo/pensavo/volevo, metterle su un foglio, e far compilare i “sì” o “no” alla persona in questione. Dimodoché se ne potesse tirare fuori una percentuale.
Ovviamente ora il gioco era vedere quanto io fossi d’accordo col me stesso di tre anni fa; mi è venuto fuori un dignitoso 87% che mi ha lasciato piuttosto soddisfatto: non sono una foglia al vento, ma neanche uno che non è disposto a cambiare idea.
Insomma, l’esperimento è stato bellino: certo, ora sarebbe ancor più carino vedere con quanto di questo ottantasettepercento sarò d’accordo fra tre anni, se sarà l’ottantasette percento dell’ottantasette percento oppure di più, oppure di meno. Oppure ancora se – l’eterno ritorno? – tornerò a pensarla come sei anni prima.
[l’immagine è un omaggio a colui di cui Churchill disse: «Il problema dell’economia è che se dài un problema a due economisti, ti daranno due soluzioni diverse; E se uno di questi è Lord K. te ne daranno tre».]
Ma se come si dice da tutte le parti, ora con quella sentenza della cassazione (sì, avete capito quale non me la fate andare a cercare) ti becchi multa e punti malus se ti trovano, non a parlare al cellulare, ma anche solo a aggeggiare cercando un indirizzo perché non si devono – quantevveroiddìo – staccare le mani dal volante… con le sigarette, che volemo fa?
Della serie belle idee che non si realizzaranno mai, ho letto oggi dell’iniziativa lanciata su questo sito, e rilanciata come testimonial da Lilian Thuram – calciatore sui generis, da sempre impegnato contro antisemitismo e islamofobia – di disputare i mondiali di calcio del 2018 (i primi a non avere ancora assegnazione) in organizzazione congiunta Israele-Palestina, per favorire il dialogo e il processo di pace.
Ovviamente non si farà mai, per mille e più ragioni, di cui qualcuna anche comprensibile: ma lo sanno anche loro, e ci scherzano su.
Anche se Volavola è proprio da schiaffi: “Vola il pavone e vola il cardellino” – seguono puttanate sul grano e la farina, da canzone popolare antica confezionata per lo sdilinquimento degli amichetti del Tenco – quando poi partono i mandolini e le Sparagnate, vien proprio da mandarlo affanculo, al vecchio Ciccio. E alla fine, perché no? Ogni uomo manda affanculo la cosa che ama, diceva (all’incirca) Oscar Wilde: il problema è liberarsi della ragazza la cui faccia ricorda il crollo di una diga, degli aerei che stanno al cielo come le navi al mare, dei matti che vanno contenti, e persino degli uomini col machete sui fuoristrada. Okay, fatto – vaffanculo, Francesco De Gregori. Fottiti, Principe, Bacio Perugina in carta stagnola rossiccia, tu e il tuo elegante articolino sulla “gente senza cuore in giro per la città”. Vai in mona, col tuo sospiro sulla “sinistra che era paralizzata e la destra che lavorava in certe stanze stanche dove discutono di psichiatria, terrorismo e fotografia”. Va’ a dà via i ciapp, con le tue musiche orrende, pensate in mezzo minuto, che quella meno scontata è un esercizietto di ironia intitolato Carne umana per colazione – e suona come Live is life, mondo schifoso. Vattela a pijà ‘n der culo, De Gregori, che dispensi con abilità frasine a effetto tue o scelte laddove il tuo laureato pubblico le potrà riconoscere (“Non ci si può bagnare per due volte nello stesso fiume”). Vacci, Francesco, tu e quel poetarvi addosso che Berlusconi realmente non può chiedere di meglio. Vacci con Walter e Nanni e tutti gli amichetti – e se ci trovate anche dei fiori in questa storia, sono vostri.
Queste sono chiacchiere melliflue e tanto paracule quanto gli ultimi dischi del presunto* De Gregori ai degregoriani comeannoi. Qual miglior artifizio del cercare di beccare tutte le citazioni? Bene. Però c’è tanta di ragione in essi, tante parole ammodino. Perché er Principe che fine c’ha fatto? Effettivamente, sta roba nun la fa più: insomma, tutto quel che resta è tutto quel che, ora, manca; tutto quel che avevi.
*Perché presunto? Ovvio, perché De Gregori è morto – ucciso dai suoi ultimi LP – dopo Amore nel pomeriggio. Avete presente la storia di Paul McCartney? Eh, si son sbagliati. Era Degregori. De Gregori è morto. Anzi, De Gregori era morto. L’ha scritto pure lui.
Al contrario di quello che leggo da Christian Rocca e Luca Sofri, a me il discorso di McCain era sembrato efficace. L’ho soltanto ascoltato, perché stavo aggeggiando sul PC, e quindi non ho visto le smorfie e le risatine di cui parlano i due – ed effettivamente riguardando gli spezzoni su youtube l’impressione peggiora. Però, retorica a parte, mi sembrava anche solido, come discorso. Viceversa il discorso pronunciato da Obama negli stessi momenti, a nomination ufficiosamente raggiunta non mi era piaciuto: davvero mi aspettavo qualcosa di più. Mancava di quel passo immaginifico che oramai siamo abituati ad aspettarci da Obama. Oggi, invece, ho visto il discorso che ha tenuto all’AIPAC (l’American pro-Israel Lobby, quindi una platea più congeniale a McCain) ed è stato un bel discorso, riacquisiva quella portata intellettuale e anche quell’ispirato rigore solitamente comunicato dal senatore negro. Per nulla veltroniano – ho contato un solo “but” a inizio frase – e molto fermo nei propri commitments.
Mi sono convinto allora di una cosa, e cioè che Obama se la cavi molto meglio nelle condizioni di debolezza, quando ci si aspetta una risposta da lui, come era stato per il bellissimo discorso sulla perfettibilità dell’America (quello che è sciocco chiamare “sulla razza”). Non è uno che sa vincere le vittorie, lui sa vincere le sconfitte. O per meglio dire ribaltarle. D’altronde anche il famoso Yes we can, quello che oltre alla canzoncina con Scarlett Johanson, diceva un sacco di belle cose era arrivato dopo una sconfitta (in New Hampshire), anche se nessuno se lo ricorda più. E cos’è che continuiamo a dire dall’inizio? Che era il candidato sconfitto in partenza.
Il discorso farebbe venire l’urticaria a una larga maggioranza dell’emiciclo italiano per il suo sbilanciamento a favore d’Israele. D’altra parte vien da pensare a quanto sia azzeccata quella scioccheria scritta da Haaretz (l’avevo già segnalato), che un Obama servirebbe così tanto a Israele. Il video è questo, vale la pena buttarci un occhio e due orecchie:
Il titolo, Tikkun Olam, è un espressione ebraica citata da Obama – letteralmente “mettera a posto il mondo” – che dà un nome alla necessità di una pressione etica in ognuno perché il mondo sia reso migliore. È bello, io l’ho imparato oggi.