Veltrusconi

Realacci applaude il discorso Berlusconi perché, dice, si è inveltronito.
Federica Mogherini dice che era un discorso pieno di «ma anche».

Sarà mica che bisogna ribaltare questo teorema?

S’io fossi

S’io fossi Antonio Bassolino, chiamerei i miei amici camorristi (Antonio Bassolino non ne ha, ma li avrei io, s’io fossi Antonio Bassolino) e riempirei Napoli di monnezza ancor più piena di com’è, infiammerei ben bene gli animi degli abitanti di ogni buco dove è possibile piazzare un termovalorizzatore o una sezione di raccolta. Poi, fascia tricolore da Governatore, vestito grigio-zoccola, cacaglio arguto, accoglierei in città il Presidente del Consiglio dei Ministri (di lì deve passare, l’ha promesso lui, prim’ancora di diventare premier) e, nello stringergli la mano, gli sussurrerei: “Silvio, vediamo come te la cavi”. S’io fossi Silvio Berlusconi, risponderei ad Antonio Bassolino: “I miei amici camorristi (Silvio Berlusconi non ne ha, ma li avrei io, s’io fossi Silvio Berlusconi) sono più potenti dei tuoi. Facciamo una bella guerra di camorra, ti va?”. Non ci badate, son partenopeo, ho il gusto per la sceneggiata.

Malvino, oggi.

Anche in una società più decente di questa

Oggi Zoro in versione Nanni Moretti, commentando l’incontro con Gore, dice che in Italia “si passerebbe per comunisti marxisti leninisti” a dire le seguenti cose:

  • “la guerra in Iraq è stato un errore”

Marxisti leninisti? Ma se lo dicono tutti. Se non c’è una conversazione, in macelleria, in parlamento, fra quindicenni o settantenni in cui non si dica che la guerra in Iraq non si doveva fare, e che Bush l’ha fatta solo per il petrolio e tutte quelle altre pretestuose argomentazioni ripetute a pappagallo da chiunque senza alcuno spirito critico, senza ragionarci sopra: come se il giudizio sulla guerra in Iraq fosse già passato in cavalleria. Come se per essere persone civili bisognasse essere contrari. C’è una e una sola persona di sinistra – anche moderatissima – che avete mai sentito dire “io sono a favore”?

Il paradosso è che proprio in America, invece, il dibattito è meno piatto: la maggior parte della gente – ora – è sfavorevole, ma c’è un’ampia fetta di americani che rimane favorevole (spesso con motivazioni ancor meno commendevoli di quelle di chi è pregiudizialmente contrario).

  • un video contro il Papa lo manderei senza problemi,

Qui c’è qualche dubbio di più, però anche qui: conosco veramente poche persone – anche cattoliche – che non considerino sbagliate (sull’aporia teologica di questo concetto non mi soffermo)  molte iniziative del Papa, e che magari ridono alle mille imitazioni che subisce.

  • se la politica controlla l’informazione è a rischio la democrazia,

Sì, questa è una cosa scontata. Davvero non immagino un solo uomo politico, anche il meno “marxista leninista” dell’emiciclo che dica l’opposto. Persino Elio Vito direbbe che “la politica non deve controllare l’informazione”. Ovviamente non si parlava del conflitto d’interessi, di cui – cosa che è ormai citata ovunque da qualunque destrorso – Gore ha detto che in America non costituirebbe alcun problema.

  • non c’è stato un dibattito tra i vostri candidati?

Ma se persino lo stesso giornalista che moderava il dibattito con Gore gli ha detto che la loro emittente si sarebbe offerta di mandare in onda il dibattito! E se nelle due settimane precedenti alle elezioni la televisione era tutto un lamentarsi (da Vespa a Mentana, a Piroso, a tutti) che non ci fosse stato un dibattito.

Ora,  Zoro esagera sempre e dice tutto in tono scherzoso – fra l’altro sottolinea anche lui che sono ovvietà – però mi sembra che fra di noi ci sia ancora qualche reminescenza di quell’infelice Complesso-del-club-esclusivo, quello per cui è bello essere diversi, e sentirsi in minoranza, anzi – come direbbe Moretti – inevitabilmente in minoranza.

Perché chi boicotta la fiera del libro di Torino è antisemita

C’è bisogno di scegliere da che parte stare..?

Bruciano le bandiere israeliane e americane a torinoRaccolta delle olive di solidarietà in PalestinaSpesso l’accusa di antisemitismo viene estesa abusivamente a chiunque critichi scelte politiche dei governi isreliani. È una cosa spiacevole perché strumentalizza, riduce a clava politica, un problema che invece è vivo e presente – e che dovrebbe essere considerato un abominio per la coscienza di tutti e di ognuno.

Tuttavia, proprio perché è una questione infelicemente esistente, vi sono casi in cui l’antisemitismo della parte più comunistoide e conservatrice della sinistra si palesa, e lo fa nella forma e negli slogan più scontatamente fascisti: è il caso del boicottaggio alla Fiera del Libro di Torino.
È sufficiente leggere le dichiarazioni dei sedicenti leader del movimento Free Palestine o dei partiti comunisti presentatisi alle elezioni (insieme hanno totalizzato a stento l’uno percento), per evidenziarne la pretestuosità, per decifrare quale sia il vero obiettivo, quale il fastidio che ottunde le loro menti artate: l’esistenza di uno stato con una maggioranza di ebrei.

In questo caso non si riesce a riscontrare un solo argomento: l’idea di fondo è quella di boicottare (già il boicottaggio come forma di protesta è un dispositivo mentale precario e petulante) qualsiasi cosa provenga da Israele – fossero anche le migliori idee; l’anno scorso gli ospiti d’onore della Fiera sono stati gli scrittori egiziani, non risultano manifestazioni di protesta al riguardo. Per rendersi conto di quale sia la vita sotto al regime di Mubarak basta guardare l’annuale report di Freedom House che attribuisce un punteggio – più basso è meglio è – agli stati per libertà civili e libertà politiche, la somma delle due fa 2 per l’Italia, 3 per Israele, e 11 per l’Egitto.

Uno si dovrebbe domandare quand’è che – secondo i boicottatori – gli scrittori israeliani potrebbero presentare i loro libri, le loro idee, e la loro cultura. La risposta, evidentemente, è «mai». Il paradosso è poi che sono spesso gli scrittori israeliani ed ebrei – celebre è il trio David Grossman / Amos Oz / A.B. Yehoshua – ad avere le posizioni più critiche nei confronti dei governi che si sono succeduti alla Knesset, oltre che i principali promotori di processi di pace alternativi, della creazione dello stato palestinese, e di iniziative tese alla riconciliazione dei due popoli: come l’ormai nota raccolta di olive insieme ai palestinesi.

Cercando bene, ravanando nell’interno, grattando il fondo del barile, rimestando in quelle schematiche coscienze, non si riesce a strappare un solo argomento per questa nuovo brivido censoreo, questa smania antilibresca. Non un argomento plausibile, ma un argomento qualsiasi: anche uno implausibile però stabile.
E davvero viene fuori che a muovere queste per nulla spontanee manifestazioni è soltanto una cosa: l’odio per una cultura, e quindi per la cultura.

Il risultato però è questo manipolo di scemi e farabutti farà solo una gran bella pubblicità a Yoshua, Oz e Grossman: e questo è un bene.