Piuttosto che sbagliare

Volevo scriverla da tempo questa cosa – e già questo è un anacoluto come scrivere “a me mi”, però come scrisse qualcuno, citato anche qui (da sempre negli scritti altrui), “l’importante non è fare errori, ma non sapere che lo sono”.

  1. ‘Piuttosto’ significa invece, non oppure.
    es. Possiamo andare al mare piuttosto che in montagna = andare al mare è meglio che andare in montagna
    Spiegazione: piuttosto, più tosto, significa più velocemente. Prima, quindi più graditamente. Fare un lungo elenco intervallato da ‘piuttosto’ è come fare una graduatoria, il 10 piuttosto che il 9, piuttosto che l’8, piuttosto che il 7.
  2. Si dice “nelle file”, non “nelle fila”.
    es. Batistuta entra nelle file della Fiorentina – Ho tirato le fila del discorso.
    Spiegazione: in latino fila e filum sono due parole diverse, così in italiano fila e filo. La fila, al plurale file, è quella che si fa alle poste: non ha dunque senso dire che qualcuno fa parte delle ‘fila’, a meno che non si parli di tessuti. Il filo, quello con cui si cuce, ha due plurali uno analogico ‘fili’, e uno più colto in ‘fila’ (filum è neutro, al plurale ha la terminazione in ‘a’, come ‘braccia’). Entrambi sono più che accettabili, quindi si può dire sia “i fili per cucire” che “le fila per cucire”, con una preferenza per il plurale in ‘a’ nelle espressioni idiomatiche, e quello analogico ‘fili’, in tutte le altre circostanze. Invece dicendo “nelle fila”, si fa confusione fra le due radici.
  3. Si dice “sua sponte“, o “di sua spontanea volontà”, non “di sua sponte”.
    es. ho fatto quella cosa mea sponte, ha fatto quella cosa di sua spontanea volontà.
    Spiegazione: sua sponte è un’espressione latina, e non ha quindi bisogno di alcuna preposizione poiché questa è già espressa nella terminazione. Sarebbe la stessa cosa che scrivere “in grosso modo“. Ovviamente è pienamente ammissibile anche la traduzione italiana di tutta la frase: di sua spontanea volontà. Quindi o tutto in italiano, o tutto in latino, non a metà.

p.s. C’è un pigro tic che fa leva sulla stessa pigrizia: quello di pensare che chi corregge qualcun altro lo faccia per supponenza anziché per dargli una mano. Del tutto affine al ritornello menefreghista per cui “non accettiamo lezioni da chicchessìa”, questa abitudine, invero molto italiana, eleggerebbe la noncuranza quale comportamento da seguire.
Certo, ci sono occasioni e occasioni, non è il caso di far notare un raddioppiamento fonosintattico sbagliato al sermone di un funerale, ma in generale chi corregge qualcun altro dà la possibilità a questo di imparare qualcosa. Se tutti mi fossero stati zitti, avrei continuato a non sapere tanti degli errori che faccio o facevo.
Spiegare dove si sbaglia è altruista, senza spranghe o giustizialismi, ignorare per non fare brutta figura è cieco ed egoista. I care.

p.p.s La nemesi: volendo correggere altrui malcostumi linguistici, avevo fatto uno strafalcione ben più grave io (mia anziché mea sponte, grazie Arianna). Ben mi sta; eterogenesi dei fini, questo mi dà il destro per citare un’altra ragione per cui è giusto arrischiarsi nel correggere gli altri: avere l’occasione di essere corretti a propria volta. [un concetto che mi ha ricordato il punto uno di questo, dagli scritti altrove]

E la nebbia?

Uno vorrebbe liberarsi dai luoghi comuni, prestare tutta la sua apertura di vedute, non dare per scontate le cose, e poi la cruda realtà lo aggredisce: sono 72 ore che sono a Milano e non ce ne sono state 5 di fila senza la pioggia…

Giro delle Fiandre

È come alle rimpatriate con vecchi compagni di classe o quando ti ritrovi con quelli del gruppo con cui hai fatto quella vacanza-studio, molto vacanza e poco studio, in chissà quale paese anglofono, o – immagino – fra ex-commilitoni.

Ti ritrovi, una volta ogni tanto tempo, e stai lì a raccontarti tutte le cose che sono successe. E che tu già sai, e che tu già sai che loro sanno. E perfino, specie le volte successive, che sai già che loro sanno che tu sai. E allora ti ricordi quello che fece Beppe, e quello che fece Valeria, e quando insieme abbiamo fatto quello scherzo, dài che fico, ti ricordi? E quello scemo invece? quello che prendevano in giro tutti, ti confesso che a me – in fondo – è sempre stato simpatico…

Sì che mi ricordo. Perché me l’hai raccontato ciascuna delle altre quattro o cinque volte che ci siamo riuniti, e io ti ho risposto «sì, sì davvero…e invece ti ricordi..» ricominciando a narrarti le gesta di Matteo, che ho rivisto – a proposito lo sai che l’ho rivisto (sì che lo sai, te l’ho già detto l’ultima volta). Accidenti quanto era cambiato.
E ti senti in un mondo molto esclusivo.

Ecco, il ciclismo è così: ci sono quei commentatori, che non si sopportano mai, e a cui si trovano tutti gli errori del mondo, e poi ne arrivano altri e dici “ah, com’erano meglio i passati”.
E con loro hai il rapporto dei vecchi amici, iniziano a raccontarti ogni anno le stesse cose, e tu le apprezzi. Le sai già, ovviamente, tutti gli appassionati di ciclismo sanno che «ah, il Muro del Grammont.. se lo dici ai fiamminghi… si chiama Geraardsbergen… anzi, ti dicono che non sanno dov’è, se gli dici il Grammont». Lo sai benissimo, però ogni volta che lo senti dire ti senti confermato nelle tue sicurezze, parte di un mondo, un mondo molto esclusivo: come il mondo di quelli che sanno di quella volta che Carlo si arrampicò su una finestra del college per entrare nella camera della ragazza, e sbaglio camera.

Poi ti ricordi di quando te l’ha spiegato qualcuno, perché qualcuno te lo deve spiegare, te lo sei segnato con cura, e ti sei sentito ammesso al circolo. È lo sport più romantico del mondo, non può essere che un po’ conservatore, e un po’ aristocratico.

devolder.jpg

Ah, il Fiandre l’ha vinto Stijn Devolder, uno che sta sempre per. L’anno scorso stava per vincere addirittura la Vuelta, poi crollò. Stavolta ha fatto il gregario, ha rincorso, è andato in fuga. Insomma ha fatto tutto, gli mancava di vincere. Quelli dietro si rialzano, non c’è accordo, è fatta. Il distacco aumentava. Poi proprio quando sembrava ovvio che stesse per vincere parte Flecha e dietro Nuyens, si riportano a 9 secondi. È cotto, ha troppi km nelle gambe, l’hanno ripreso. Invece, inspiegabilmente, il distacco ha ricominciato ad aumentare e proprio quanto stava per vincere – per una volta – ha vinto.

NYT

“Mr. Veltroni, a mild-mannered former Communist, has adopted Barack Obama‘s “Yes We Can” slogan for his campaign. But he probably can’t.”

Troppa poca vita davanti

Io invece l’ultimo film di Virzì l’ho visto. Non dico che nonostante tutto è fatto bene, perché sia dire «nonostante tutto» che dire è «fatto bene» è da esperti di cinema, cosa che non sono. In realtà anche il dire di non esserlo, è un po’ da esperti di cinema, ma la falsa modestia non alberga qui.

Dunque posso solo dire che valeva la pena vederlo – e non solo per non essere escluso dalle conversazioni di amici; che certe cose sono raccontate proprio come mi piace che siano (a me persino il narratore fuori campo è sempre piaciuto, fin dai Laureati di Pieraccioni), altre sono banalizzate a tal punto che in certi momenti mi sono domandato: «ma lo sta facendo apposta?», per poi controdomandarmi «perché dovrebbe?».

Cerco di fare un post senza spoiler, quindi per quanto riguarda la trama dico solo che il finale è un po’ troppo prevedibile (e io sono un che i finali li azzecca solamente nei film horror/thriller, o più propriamente nei pochi horror/thriller che ho visto).
Effettivamente alcune scene sembrano decisamente macchiettistiche, immaginare che esista una casa in cui durante un preteso ritrovo molto chic ci siano televisori (credo al plasma) in tutte le stanze, accesi e sintonizzati sul Grande Fratello, non per burla o auto-ironia, né come condizione straordinaria, ma dipingendo il fenomeno come la più ordinaria assurdità della società d’oggi, è da pregiudizio culturale de sinistra. È la mutuazione decenni dopo, del Berlinguer che-la-televisione-a-colori-è-capitalista. Cioè essere conservatori. Il male, appunto della sinistra attuale.

In più lo scenario è surreale ma viene presentato come fosse ovunque così: ha forse ragione Akille a dire che (in alcune) società gli incaricati alla motivazione sfiorino il ridicolo, quel ridicolo del «Ma dove andremo a finire?», ma è categoricamente impossibile che non ci siano dubbi o lamentele, che questo meccanismo così oleato salti soltanto quando qualcuna viene licenziata per poca produttività o per una plateale crisi di nervi. La vita ha molte più sfumatore, almeno la metà di quelle dipendenti troverebbe ridicolo fare un balletto prima di entrare a lavorare (forse lo farebbe, per conformismo, ma lo troverebbe uno dei prezzi da pagare di quel tipo di lavoro).

È caricaturale presentare invidie sotanto fra le due migliori centraliniste del mese, e non se ne intravvedano nel maremagno delle altre ragazze la cui unica aspirazione sembra quella di essere premiate come dipendenti del mese. Una folla di persone che si lancia ad abbracciare la ragazza che ha vinto un portachiavi (sic!), ancora, non perché sotto al gioco psicologico, ma per pura spinta d’animo, beh è assolutamente inverosimile.

E poi l’ossessione del Grande Fratello: ho sentito Virzì a Condor raccontare di un giornalista con la puzza sotto al naso che gli avrebbe cercato di estirpare qualche censura del fenomeno reality, rimanendone deluso. Ecco, io avendo pur ascoltato le parole del regista mi trovo nella paradossale condizione di legittimare la domanda del giornalista. Anche qui, poi, tutto sempre esasperato, finto: io mi son trovato a contatto con ambienti ancor più abbrutiti di un pullman di centraliniste, e non mi è mai capitato di avere a che fare con una ventina di persone che dicano in coro «Non guardi il grande fratello…?!?», dopo averne parlato ininterrottamente per qualche minuto. Mi sembra una di quelle descrizioni dei ggiòvani d’oggi che si trovano sugli inserti dei quotidiani, oppure Bruno Vespa che parla dei blog: ehi, il mondo non è questo. Le persone sono più varie, la vita è più varia, c’è chi va a mangiare ad Ariccia e suona la chitarra, la ggente (così affine ai ‘ggiovani’) non è lo stereotipo immaginato dallo stereotipo dell’intellettuale radical-chic con una vista così miope da non arrivare a vedere il mondo: c’è tanta altra vita davanti.

Ovviamente da supercriticone quale sono ho parlato prevalentemente dei lati negativi, lascio quindi al voto che ho dato di riequilibrare questo commento venutomi fuori così ingeneroso:
Voto 6.5 con freccia in sù. Sono un classificatore (oltre che un ortografo vezzoso).

Sinceramente di sinistra

silvio_berlusconi.jpgA me tutto questo giubilo per la pretesa ammissione di incapacità da parte di Berlusconi genera un po’ di imbarazzo: nessuno è stato colto in castagna, non si tratta di dichiarazioni strappate. Sono parole di Berlusconi in un’occasione pubblica.

Il capo dello schieramento avverso – come lo chiama Veltroni – ha sempre dimostrato di essere molto più in grado della sinistra di fare una cosa molto di sinistra, ovvero quella di non prendere l’etichetta alla lettera. Se alle volte il suo fare marpionesco, e la trivialità del personaggio hanno connotato negativamente questo tipo di uscite, non bisogna confondere la forma con il contenuto: delle altre volte la sostanza è stata all’altezza e per nulla mal calibrata. Come in questo caso o come quando disse che «L’Islam è indietro di qualche secolo» (ehi, ma un capo di governo non lo può dire!), parlando certo semplicisticamente, ma dando voce a un pensiero che ognuno sa essere fondato.

Come già scrissi, trovo il concetto di ‘opportunità’ molto instabile: figlio di una concezione della politica nascosta sotto il tappeto. Dei vizi privati e delle pubbliche virtù.
È chiaro, niente di quello che dico va estremizzato, ma se dovessi giudicare soltanto da questa vicenda e da queste dichiarazioni, avrei l’impressione – davvero, come titola Sofri – che Berlusconi sia l’unico sincero (oppure qualcuno dubita che Prodi, per dirne uno, abbia maggiore dimestichezza con la rete?). E temo che questa sia proprio l’impressione che – una volta di più – ha dato il ‘nostro’ aitante candidato.

P.s. Ovviamente non ho dubbi nella malafede di Berlusconi, convinto come sono, che se Veltroni facesse una dicharazione simile, il Cav. sarebbe pronto ad azzannarlo sotto al collo, citandola in ogni occasione. Ma questo conta poco, tantopiù che discettare sulla buona o la cattiva fede, non è esercizio da elettore, ma da amico (o da prete).